Si segna con la tecnica ma si vince col cuore: intervista a Oliver Hutton


HOLLY HUTTONTokyo, luglio 2014. Da una settimana la Germania è campione del mondo in carica, e lo resterà per i prossimi quattro anni, mentre l’ Italia nel 2018 in Russia dovrà riscattare ben due edizioni iridate fallite. Abbiamo viaggiato sino al Giappone per sentire l’ opinione su questi Mondiali di Oliver Hutton, campione conosciuto in lungo e in largo per le sue doti tecniche in campo e per la leadership nello spogliatoio. Arriviamo a casa sua con ancora negli occhi l’ incanto della meravigliosa città che abbiamo appena attraversato,e lui ci accoglie affettuosamente, in quel  puro stile giapponese che vede l’ ospite trattato come sacro. Il tempo di salutarsi e accomodarsi, e iniziamo l’ intervista. 

 

Partiamo subito con il botto: cosa ne pensa Oliver Hutton della Coppa del Mondo appena conclusa?

Sinceramente sono rimasto impressionato. Alcune nazionali hanno messo in mostra un calcio davvero brillante, mi riferisco alla Germania, certo, ma anche a Olanda, Cile, Francia e Colombia.

 

Non è stato però solo il Mondiale dell’ attacco.

E proprio qui sta il bello. Perché ci sono state anche formazioni che hanno offerto una grande solidità difensiva, in cui quelle che teoricamente erano le stelle si impegnavano, correvano e contrastavano. Penso ad Argentina, Uruguay, anche lo stesso Brasile al di là del disastro degli ultimi due incontri.

 

Le formazioni che l’ anno delusa?

Non ce ne sono, e non lo dico per essere politicamente corretto. Hanno messo tutti in campo anima e corpo, non ho visto nessuno in gita premio. Tutti hanno rispettato lo spirito del Mondiale.

 

Andiamo, ci sarà una squadra che da cui si aspettava di più…

Beh, forse il Belgio… Ne tessevano tutti le lodi, con la Colombia doveva essere la sorpresa, eppure non è stato davvero davvero convincente. Molte volte è sembrato guardarsi troppo allo specchio, o viceversa si limitava ad amministrare il vantaggio. Ma era al suo primo torneo importante dopo anni in cui era confinato nelle retrovie del calcio internazionale, ci sta anche che si possa sbagliare approccio, specie per una nazionale così giovane. Sono errori che dati dall’ inesperienza, già dai prossimi europei sarà diverso.

 

E il suo Giappone?

Brutto tasto. Lo ammetto, ci credevo tanto. Gli ultimi tre anni erano stati di crescita costante, il coach Zaccheroni aveva dato un’ impronta definita: bel gioco, tagli, movimento continuo. Non so cosa sia successo, ma è probabile che il clima abbia messo in luce i nostri difetti. Non è una giustificazione, sto semplicemente ipotizzando.

 

Il girone non era impossibile.

Ma nemmeno facile. Lo prova il fatto che avevamo la rivelazione del torneo che si è qualificata come prima e la Costa d’ Avorio, che è sempre e comunque una delle migliori nazionali africane.

 

Ma l’ ha spuntata la Grecia.

Per quello che ho detto prima, la grinta. Al novantunesimo minuto dell’ ultima partita erano gli africani a dover affrontare la Costa Rica, poi il goal di Samaras ha portato avanti la Grecia. È un stato un comune denominatore del Mondiale: ha vinto chi ha resistito di più, chi non si è fatto fermare dalla fatica. In sostanza, più che la tecnica ha contato lo spirito, come sempre a certi livelli.

 

Non mi dirà certo che la Germania ha alzato la Coppa solo per lo spirito.

No, nella maniera più assoluta. Nel complesso è stata la migliore in tutto: tecnica, gioco, sistema. Ma anche lei si è presa un bello spavento in finale, con Higuaìn, Messi e Palacio. Quella davvero è stata la sua forza: credere in sé stessa, non lasciarsi prendere dal panico, rimanere unita e continuare con quello che sapeva fare.

 

Insomma, ha segnato con la tecnica ma ha vinto con il cuore?

Esatto, era il concetto a cui volevo arrivare.

 

Quello che è successo all’ Italia solo nella prima partita e alla Spagna solo nell’ ultima.

Volendo potremmo dire così. Ma penso soprattutto che abbiano pagato il logorio dei loro campionati, come l’ Inghilterra.

 

Ma anche la Germania ha un campionato di alto livello.

Sì, ma a diciotto squadre. Ragioniamo: in Liga e in Serie A si giocano quattro partite in più, e in termini di logorio fisico e mentale si sentono, glielo dico per esperienza. Inoltre bisogna contare anche un altro fattore.

 

Ovvero?

Il Bayern in patria ha fatto un campionato a sé, aveva già vinto sostanzialmente alla fine del girone di andata. Atletico Madrid e Manchester City invece hanno dovuto aspettare le ultime giornate per il verdetto, lottando rispettivamente con Barcellona e con Liverpool e Chelsea. In più, dobbiamo contare anche le scorie della Champions League, che è stata vinta dal Real Madrid contro lo stesso Atletico. Il Bayern, pur se semifinalista, da gennaio in poi sostanzialmente ha dedicato le sue maggiori risorse solo alla coppa. Insomma, la stagione dei club non ha aiutato le nazionali.

 

Non si spiega però il fallimento italiano, anche considerando da una parte la pochezza dimostrata in ambito internazionale e dall’ altra il campionato già chiuso virtualmente a Marzo.

Questo perché nel campionato italiano le pressioni sono maggiori rispetto a qualunque altro paese. Si vive il calcio ventiquattro ore al giorno, ogni settimana, con polemiche, veleni, diatribe varie. Anche questo alla fine incide. Diceva Winston Churchill che gli italiani vivono il calcio come se fosse una guerra, e aveva ragione! Anche se non penso questo sia l’ unico motivo.

 

Quale sarebbe l’ altro?

Che nel resto dei campionati europei le grandi squadre possono anche giocare in modo meno intenso contro quelle più piccole. In Italia no, in Italia le prime non possono mai distrarsi un attimo.

 

Siamo arrivati senza volerlo a parlare di calcio di club. Allora mi dica, la filosofia di quale società si rispecchia più nella sua?

È una domanda interessante. Vede, a me piacciono molto quelle squadre che non spendono cifre da capogiro per un giocatore. Ovviamente il tutto va tarato, nel senso che comunque a certi livelli i movimenti di mercato minimi richiedono 10 milioni. Specificato questo, direi che mi ritrovo nella gestione di squadre come Borussia Dortmund e Atletico Madrid.

 

E invece il suo tipo di gioco ideale?

Questa è facile. A me piace un gioco che esalti le qualità tecniche dei singoli, e che sia a metà tra la ricerca della profondità del Borussia Dortmund e il possesso di palla del Barcellona. L’ Italia dell’ Europeo 2012, o a livello di club il Real Madrid e il Bayern Monaco. Squadre che tengono la palla finché non si apre lo spazio giusto, e lì verticalizzano.

 

Quale allenatore le piacerebbe conoscere?

Mourinho. Lo descrivono tutti come socievole fuori dal campo. E anche Klopp, vorrei vedere se uno così poco tranquillo come sul terreno di gioco (sorride).

 

Ultima domanda, per chiudere, sul Mondiale: il giocatore che le è piaciuto di più?

Io adoro i numeri 10, i fantasisti. Ma quelli concreti, non quelli frivoli che si perdono nei loro mille giochi di prestigio. Per cui non ho dubbi e dico Robben.

 

Lascio casa Hutton con la sensazione di aver ricevuto molto di più di quel che mi aspettavo, da questa intervista. Ho appena incontrato un leggenda, un uomo le cui imprese hanno fatto innamorare del calcio milioni di ragazzini (me compreso), e alcuni tra questi poi sono divenuti  anche importanti calciatori . Il mio vis – à – vis con “Holly” è stato un mix di intelligenza, senso pratico e colpi a sorpresa. Come i goal che segnava quando giocava.

 

 

 

 

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