Niente mele per BiancaNeive: solo lievito da Champagne


BiancaNeiveLeggi distrattamente “BiancaNeive” sull’etichetta e pensi a un goffo errore di battitura. Persino il correttore di Word… ehm… di OpenOffice Writer rimane perplesso. Poi ti fermi un attimo a ragionare, e capisci che ancora una volta un mastro birraio ha saputo trovare con sagacia un nome in grado di sintetizzare in modo ironico il carattere di una propria creazione. Comprendi quindi che “Bianca” è un chiaro riferimento allo stile di questa birra e che “Neive” è qualcosa in più di una semplice denominazione d’origine.

Percorrendo la tortuosa stradina che dalla bella località delle Langhe – Neive, appunto – si inerpica tra i vigneti sino alla piccola frazione di Bricco, penetriamo in un mondo da favola che ci accoglie con una graziosa chiesetta e una vecchia scuola elementare in disuso. È in questo edificio dalla mole massiccia che ha sede il Birrificio CitaBiunda – “piccola bionda” in dialetto locale – fondato nel 2007 dal ma(e)stro birraio Marco Marengo dopo una lunga gavetta nei birrifici Le Baladin e Scarambola. Ed è tra queste mura che BiancaNeive apprende le nozioni indispensabili per diventare, dopo un adeguato periodo di affinamento, un birra dalla personalità marcata e distintiva.

“Ispirazione belga” e “Legame con il territorio” sono le due materie preferite di questa candida e diligente fanciulla, che dal lievito Sèlection champenoise trae la propria vivacità. Il suo profumo complesso colpisce per i delicati sentori di fiori d’arancio e un più penetrante aroma di spezie, tra i quali si fa largo una tenue nota vinosa, come di mosto d’uva bianca: poteva forse non essere così, per una birra maturata in una terra da sempre vocata ai grandi vini? Osserviamo la schiuma esuberante svanire lentamente nel bicchiere, apprezziamo il colore perlaceo e tipicamente velato… e poi beviamo, per piacere! Magari non sarà la più calda delle estati, ma siamo pur sempre a luglio e la sete si fa sentire…

Da una blanche che si rispetti è lecito attendersi freschezza e buona bevibilità: qui troviamo qualcosa di più, e anche qualcosina di diverso. C’è innanzitutto una sfumatura acidula, sottile ma ben percepibile, che si sovrappone alle tinte fruttate delle pera e dell’albicocca. C’è poi il frumento, che qui si fa sentire più di quanto in genere non accada nelle interpretazioni più fedeli del genere. E ci sono, inevitabilmente, quelle stesse note vinose che avevano stuzzicato l’olfatto. Il corpo leggero rende BiancaNeive piuttosto facile da bere – ma non facilissima, va detto – mentre la speziatura sostanziosa dà “peso” al finale, facendosi predominante rispetto sia al luppolo – presente in quantità modesta, come lo stile comanda – che al tipico agrumato, al quale è affidato il ruolo discreto del comprimario.

Il miglior modo per apprezzare BiancaNeive? Andare a trovarla di persona! Questa birra dà il meglio di sé in accostamento all’atmosfera senza tempo del luogo in cui è prodotta e, perché no, agli ottimi aperitivi preparati nel locale annesso al birrificio. Un solo consiglio: se qualcuno vi offrisse una mela, diffidate. Non si sa mai…

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