Io non voto alle europee (o forse sì)


Ultimamente, ogni volta che l’argomento di una discussione cade sulle elezioni europee del prossimo venticinque maggio, a costo di sembrare insensibile, sterile o poco lungimirante dico che sono seriamente intenzionato a non andare a votare. Lo dico con il cuore in mano e con sincerità, senza tanti giri di parole, non come chi, quando gli viene chiesto “Tu per chi voti?” aggrotta la fronte, scuote un po’ la testa e scheda comincia a dire non so, non è facile, una parte di me vorrebbe votare ma l’altra no, penso che deciderò il giorno stesso, anche se sono più sul no, anche se però… no, io non voto, così facciamo prima.

Il problema è che non votare mi dispiacerebbe, è una cosa a cui non sono abituato. Ho una scheda elettorale piena di timbri, quasi venti tra elezioni politiche, amministrative, ballottaggi, referendum e ricordo che, soprattutto durante le mie prime votazioni a diciotto e diciannove anni, vivevo ogni timbro in più sulla scheda come una piccola medaglia al merito che mi veniva conferita, dallo Stato o da qualcun altro, in ogni caso un segno tangibile del mio grado di partecipazione alla vita politica italiana in veste di elettore.

Oggi purtroppo questo slancio se ne è andato, e se considero la natura del voto che ci aspetta, cioè il rinnovo del Parlamento Europeo, il mio diritto di voto mi risulta totalmente indifferente. Ho studiato diritto dell’Unione Europea all’università, so quali sono le competenze del Parlamento Europeo, le sue funzioni e tutto il resto ma diciamocelo chiaro: dell’Europa non ce ne frega nulla, salvo quando si parla di progetto Erasmus o di Interrail (esiste ancora?) oppure quando si discute, al bar, di Champions League e del ranking europeo per nazioni in cui stiamo scivolando sempre più giù. Le istituzioni europee dovrebbero essere conosciute come – e forse meglio – delle nostre interne, ma non è neanche lontanamente così e se a uno gli si chiede la differenza tra Consiglio Europeo e Consiglio d’Europa lui ti chiede se lo stai prendendo per il culo.

Ho incontrato per caso il grande attore Ivano Marescotti a Cesenatico, mentre sul porto canale faceva volantinaggio per la lista Tsipras, di cui è il candidato di spicco. Mi si è avvicinato, l’ho salutato e gli ho chiesto perché mai dovrei andare a votare alle europee, che utilità può avere un voto di questo tipo per incidere davvero sulle scelte politiche dell’Unione, e lui mi ha detto sì, è dura, ma se si riesce a formare un’area forte e compatta in Parlamento, questa potrà fare sentire il suo peso nell’elezione del Presidente della Commissione Europea e di qualche Commissario. E sono loro che decidono concretamente, alla fin fine, insieme agli altri componenti la cosiddetta “troika”. Risposta chiara, schietta, di chi crede davvero in ciò che fa, e io gli dico che ci penserò, ma i dubbi sull’utilità del mio voto restano.

E poi, i paradossi di avere liste italiane candidate alle europee, il cui programma è l’uscita dalla stessa Europa o dall’euro, o ancora chiedono di votarle per manifestare il proprio dissenso alla votazione stessa (la lista “IO NON VOTO” è qualcosa di straordinario, un paradosso logico degno di Protagora).

Però, alla fine, non votare mi dispiacerebbe. Sarebbe la mia prima volta, e sarebbe come chiedere a mia madre di accompagnarmi in auto da un amico invece che andarci guidando da solo, o tornare a chiedere il permesso ai genitori per uscire e far tardi la sera. Devo votare ugualmente, anche se non sono convinto? Forse un diritto/dovere civico va esercitato comunque, a prescindere dalla nostra convinzione. Forse un giorno ci pentiremo di non averlo fatto.

Io, intanto, continuo a pensarci su.

2 Comments

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  1. Anonimo

    Fragilità di un tempo impolitico e spot elettorali. Io non voto per amore di Mediterraneo

    di Pierfranco Bruni

    Siamo nel fiume delle fragilità politiche. Anzi abolirei il termine di politico. Viviamo in un tempo fragile.
    Tra una Europa che non c’è e il vuoto di etica nelle responsabilità vacue attraversiamo realmente una destrutturazione del concetto di politica nella visibilità della Storia.
    Non è in crisi la politica. Io non ho mai creduto alle crisi. Semplicemente non c’è la politica. Non c’è la politica perché mancano gli elementi culturali per permettere alla politica di occupare la scena.
    Come faccio a sottolineate ciò? Basta ascoltate chi pensa di poter fare politica. È nata una vera e propria “filosofia” del nulla che campeggia nel vuoto delle parole. Non si è in grado neppure di organizzarsi una retorica. Sarebbe uno straordinario e grande affare.
    Ma i “giovani” che avanzano mi sembrano ricchi di stupore, ma privi di una filosofia del minimo e del massimo tra processi metafisici della politica e cultura del progetto.
    Mi sembrano camminare tra il crepuscolo e la notte e non hanno capito che la politica resta sempre una cittadinanza della filosofia.
    Io sono uno di quelli che finora sta decidendo di non votare. Sì, il voto è un diritto, un dovere, è una necessità e una virtù. Ma bisogna avere la possibilità di vivere un processo tra politica, umanitas, cultura e progettualità tra idee e pensiero. Perché votare è delegare una rappresentanza. Chi è in grado di rappresentarmi? Nessuno ha il dovere e il diritto di rappresentarmi perché le mie idee e il mio pensare non è rappresentato da questa futuribile classe politica e amministrativa. Non sono un anarchico. Attenzione. Forse un eretico sì.
    Non riesco a rintracciare in questo tempo delle divaganti leggerezze alcun accorgimento che possa condurmi a ciò. Non credo a questa Europa. Mercati e finanze. Non credo alla geopolitica di questa Europa.
    Io sono un convinto Mediterraneista e se non si parte dal Mediterraneo è difficile parlare di Europa. La politica non è soltanto la prassi del presente o del necessario tout court. È soprattutto la consapevolezza di una filosofia della politica che è filosofia della ragione. Tutto il contorno è uno spot. E gli spot non sono nella mia vita. Certo, forte dalle lezioni di Mann, resto tra le considerazioni di un impolitico.

  2. Fabio Pirola

    Caro Anonimo, condivido le sue riflessioni sull’Europa attuale, nello specifico la domanda che secondo me dobbiamo porci è una: come mai non è consentito votare per la Commissione europea ed eleggerne direttamente i membri e il relativo Commissario? Votare per il Parlamento Europeo può essere divertente e colorato, può farci sentire tutti più cittadini d’europa, ma alla fine è una via molto indiretta per poter incidere sulle dinamiche dell’Unione. Che ne dice?

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