Kobe Bryant, where amazing happens


Non c’ è nulla che non sia stato detto, scritto, persino pensato su Kobe Bryant. Sin dai tempi delle accuse di stupro, della rivalità neanche troppo celata con Shaq e della sua presunta impossibilità di vincere senza di lui, dell’ ossessione di raggiungere Jordan e i suoi livelli, del rapporto con Phil Jackson, delle vittorie con Gasol e Fisher (e Artest, nel 2010) e infine della sua influenza nello spogliatoio Lakers, prima ignorata (nel 2011, al momento dell’ ingaggio di Mike Brown come coach) e poi riconosciuta (quando quest’ ultimo è stato poi cacciato).

Kobe Bryant, al momento, è il basket nel mondo. Con buona pace di LeBron, Wade, Durant, Rose, Anthony, Paul, Howard. Perché i nessuno di questi ha vinto un titolo, a parte i primi due che per provare a spezzare il dominio gialloviola si sono uniti nel 2010, cioè quando entrambi erano nel pieno della loro carriera (a differenza di Kobe che era giovane quando vinse con Shaq). Kobe è l’ emblema del basket nel mondo, la bandiera che ogni amante della pallacanestro deve sventolare per poter esserne ritenuto degno adepto. Per un motivo molto banale: ha iniziato a giocare a basket in Europa, in Italia, quando era sono il figlio di Joe “Jelly Bean”, per poi completare la sua istruzione (cestistica e non) negli Stati Uniti, alla Lower Marion High School, Philadelphia. In sintesi, Kobe si è abbeverato alle fonti europee e a quelle americane, mettendo insieme un bagaglio unico e irripetibile di esperienze. È per questo che parte in palleggio non commette passi una volta su due come succede a James, che è visto come il suo antagonista per eccellenza. E qui conviene spendere due parole sul perché Kobe sia migliore di LBJ.

Primo: è più completo, discorso che deriva da quanto scritto poche righe più sopra. Il Prescelto ha un repertorio molto scarno di soluzioni, che prevede sostanzialmente partenze di palleggio con schiacciate e qualche occasionale tiro da fuori. Per carità visto il fisico imponente che ha può permetterselo, ma insomma dal “migliore di sempre” (definizione azzardata da qualche individuo per il quale consiglieremmo un test antidroga) ci si aspetta un pochino di più. Quello che offre Bryant, per dire: step- back, palleggio- arresto- e – tiro, reverse, slalom con piroette tra difensori che portano a conclusioni o assist per i compagni. Tutto materiale sciorinato in quantità industriale negli anni dal 24 gialloviola. Secondo punto importante: gli allenatori. James è stato allenato sinora da coach che contavano poco o nulla, non supportati da società (Cleveland in particolare) tutte impegnate a servire e riverire il Prescelto. Kobe no: ha trovato Phil Jackson sulla sua strada, uno che ha fatto un mantra della frase “hit the open man” (“date la palla all’ uomo smarcato”). Certo, anche PJ ha lasciato una certa autonomia a Bryant, come è giusto che sia, ma sempre all’ interno dell’ attacco Triangolo che ha permesso all’ ex tecnico di vincere undici titoli, più di tutti. Anche Mike Brown, quando è arrivato ai Lakers, ha deciso di mostrare più polso verso la sua star, memore dell’ esperienza fallimentare ai Cavs. Il risultato è stato però identico: il licenziamento. Terzo punto: la fame. Sin dal suo arrivo nella Lega a James è stato prospettato un mondo dove lui era la star del presente e del futuro, in cui sostanzialmente tutto gli era consentito e dovuto in nome dello stipendio che prendeva. Kobe no, Kobe è arrivato e aveva davanti Shaq, Jordan, negli ultimi scampoli di carriera, Iverson, Garnett, David Robinson. Insomma, non è stata proprio una carriera in discesa, e quello che ha conquistato, lo ha ottenuto anteponendo la sua fame di vittoria a qualunque altro obbiettivo o ostacolo presenti. Per dire: l’ infortunio subìto ad aprile al tendine d’ Achille avrebbe dovuto tenerlo fermo almeno fino a febbraio. In questi giorni, invece, lui stesso ha annunciato che presto potrebbe essere di nuovo in campo.

Pazienza se con questo articolo avremo reso scontenti molti fan di LeBron. Abbiamo elencato alcune argomentazioni che rendono secondo noi Kobe meglio di LBJ, magari alcuni sostenitori del Chosen One ne opporrano altre altrettanto valide. In fondo, è solo un gioco: divertente, appassionante, ma nulla più di un gioco. O forse no.

LA TERZA GIORNATA DEL CAMPIONATO DI SERIE A HA DETTO CHE…

  • Siena fatica in Europa ma in Italia è ancora un altro livello, per mentalità e capacità di azzannare le partite

  • Milano è sulla buona strada per raggiungere la Mens Sana da questo punto di vista, ma deve dare un giro di vite alla sua difesa

  • Roma non ha perso la voglia di stupire, andando a un tiro dalla vittoria ad Avellino, che ha un budget decisamente più elevato

  • Che una classica con dieci squadre in testa alla classifica (su sedici) è un buon segnale per mantenere vivo l’ interesse su un campionato che negli ultimi sette anni ha avuto un solo padrone (Siena) e una sola favorita alla vigilia (Milano).

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