Stai lontana dal fuoco


L’ultima volta che Marzio Pancaldi le aveva detto di non avvicinarsi ai fornelli, nemmeno da spenti, aggiungendo anche – per rincarare la dose – che non doveva nemmeno azzardarsi ad entrare in cucina, Sofia se l’era presa come tutte le altre volte, come se ogni volta quel rimprovero le giungesse nuovo e non riuscisse mai a capire che le doveva fare una cosa sola, per fare felice suo padre: rimanere a distanza di sicurezza dalla zona dei fornelli, stare lontana da tutti quei pericoli e non preoccuparsi di nient’altro. Avrebbe cucinato tutto lui, lei non doveva muovere un dito.

-Voglio cucinare, come faceva mamma.

-Non toccare il fuoco! Non devi stare qui!

Sofia aveva sette anni ma a volte ne dimostrava ancora tre, sembrava non capire che Marzio lo faceva per lei, tutte quelle sgridate e quegli urli che spesso la spaventavano e che alla notte le facevano venire gli incubi, erano per il suo bene. Era per lei che il padre lavorava in una squallida agenzia pubblicitaria occupandosi di materiale promozionale di infimo livello, soltanto perché quello era l’unico lavoro che gli garantisse un’entrata dignitosa, dandogli soprattutto il tempo per stare con lei all’ora di pranzo e alla sera. Ma non c’era verso. Non c’era settimana senza che per due o tre volte Marzio dovesse redarguire sua figlia. Dopo ogni sfuriata, Sofia lo fissava con i suoi occhi grandi e profondi, di un blu elettrico così intenso che non aveva ereditato né da lui né da Erica, e sul faccino stretto e allungato si disegnavano i pochi tratti leggeri di un broncio che sarebbe durato probabilmente per tutto il giorno.

-Torna a giocare, ci penso io qui.

Lei correva a rifugiarsi in salotto, buttandosi sul divano e coprendosi quasi interamente con i suoi due cuscini giganti preferiti, da cui alla fine spuntavano soltanto le piccole gambine chiare. In quei casi il padre non provava neanche a raggiungerla e a spiegarle per l’ennesima volta il perché di quella scelta. Sofia ormai era cresciuta, e il trucchetto dell’uovo rotto sulla testa o una puntata dell’Albero azzurro non bastavano più per calmarla e farle tornare il sorriso. Marzio però era certo che anche sua moglie avrebbe voluto così, se fosse stata ancora con loro.

Erica se n’era andata da un anno e la cucina di casa Pancaldi, un piccolo appartamento nella periferia poco trafficata di Ravenna, era rimasta come l’aveva lasciata lei e soprattutto come lei la voleva. Due spugne, una verde scuro ruvida e una rosa più morbida erano impilate a lato del lavabo, mestoli e presine erano appesi ordinatamente a piccoli ami di ferro lucente fissati al muro vicino ai fornelli, il piano cucina e il piccolo tavolo di legno erano lindi e immacolati, quest’ultimo con una piccola tovaglietta di cotone blu e un buffo omino con la testa formata da una pallina da ping pong come centrotavola, costruito da Sofia a scuola durante l’ora di creazioni artistiche. Quella cucina, semplice e poco appariscente ma funzionale, era così anche il giorno in cui Erica si era presa un pomeriggio libero dall’ufficio per preparare qualcosa di speciale per il compleanno di Marzio e una fuga di gas l’aveva uccisa con lentezza, soffocandola dolcemente come una coperta di pile, mentre si rilassava sul divano dopo aver lavorato ai fornelli per tutto il pomeriggio. Aveva cucinato tutti i suoi pezzi forti, il risotto ai frutti di mare aromatizzato al cumino, la torta salata – o quiche, come la chiamava lei – al prosciutto crudo, fontina e patate e un’altra torta ma questa volta dolce, una monumentale cheesecake con ricotta e frutti di bosco dall’aria compatta come un blocco di gesso ma così tenera e delicata che veniva voglia di affondarci dentro. Probabilmente era stata la soddisfazione per quel risultato a indurla al sonno, in fondo che male c’è se per due minuti chiudo gli occhi davanti alla tv? Ho sgobbato per tre ore. Quando il marito tornò a casa la quiche si era afflosciata leggermente perché era da un po’ che era stata tolta dal forno ed Erica era morta sul divano, gli occhi chiusi, mentre in tv Mara Venier intervistava una donna grassa dagli occhi bovini sulla sua incredibile menopausa prematura, giunta alla tenera età di trent’anni. Mentre la donna si lagnava di non potere più avere dei figli, Marzio componeva il centotredici sul suo smartphone e provava goffamente a rianimare il corpo della moglie, ma dentro di sé aveva capito subito che il talento culinario di Erica ormai aveva già salutato questa terra.

Una sera di novembre con poche stelle in cielo, Marzio decise di lasciare Sofia a casa da sola per un’oretta mentre andava a trovare la sorella, che abitava a dieci minuti da loro e ultimamente non se la passa molto bene. La sua malattia era peggiorata visibilmente e Marzio non voleva che sua figlia la vedesse così. A Sofia aveva detto che sarebbe tornato in poco tempo, resta qui a guardare la tv e soprattutto non avvicinarti alla cucina. Se hai bisogno di qualcosa, suona qui accanto dalla vicina, l’ho già avvertita. Il signor Pancaldi si era preparato con la moka un caffè bello forte, aveva vuotato due tazzine ed era uscito dimenticandosi di spegnere il fornello. Quando le presine appese al muro, complice il venticello serale proveniente dalla finestra non del tutto chiusa, furono raggiunte dalla stessa fiamma che poco prima aveva scaldato l’ampia base della moka, Sofia stava giocando con Rosa, la sua bambola preferita nonché figlia acquisita. Le stava colorando le labbra con uno spesso strato di rossetto viola e delineando il contorno occhi con dell’ombretto e non si era accorta di quello che accadeva in cucina. Quando iniziò a sentire odore di fumo, lo stesso che quando si palesava durante una grigliata suo padre diventava improvvisamente nervoso e decideva che dovevano lasciare stare e andare da Mac Donald’s, non se ne preoccupò. Una parte di lei voleva andare a vedere la fiamma, o come la chiamava lei il fiore, quel girasole danzante dalla corolla screziata di blu e arancione che balenava nell’aria, ma un’altra parte, quella più calcolatrice, decise che era stufa di essere rimproverata dal padre e che stavolta sarebbe rimasta li, lontano dal fuoco. Come voleva lui.

Quando l’aria iniziò a farsi pesante e il fumo cominciò a serpeggiare anche in salotto in lunghe nuvolette grigiastre, la bambina pensò che almeno la porta della cucina doveva chiuderla, se non altro per continuare a giocare tranquilla con Rosa. Doveva ancora vestirla e farle il discorsetto di rito prima di lasciarla andare al ballo con il suo fidanzato. Ma non poteva toccare il fuoco, più che mai quello che in cucina sembrava essere diventato un fuoco enorme, un fuocone. Un gigantesco girasole, pensò divertita.

Quando il signor Pancaldi tornò a casa, i pompieri l’avevano preceduto e avevano deposto Sofia, confusa ma in perfetta salute, sul prato davanti all’ingresso mentre comunicavano in modo sbrigativo che si trattava della cucina, era andata a fuoco e sarebbe potuta andare anche peggio se la vicina non avesse visto tutto e non gli avesse chiamati. Sofia vide arrivare il padre ma non gli corse incontro. Fu lui a doverla raggiungere, proprio mentre un pompiere porgeva alla bimba un bicchiere d’acqua e una seconda coperta di lana con cui ripararsi dal freddo.

-Non ho toccato il fuoco, papà. Ho fatto come vuoi tu, hai visto?

Era felice, un largo sorriso solcava il suo viso da un orecchio all’altro e gli occhietti blu brillavano estasiati, ansiosi di dimostrare al padre tutta la loro gioia.

-Non l’ho toccato perché ho capito che così, oltre a te, anche la mamma è più contenta. 

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