In arte Bugo – intervista


Spesso quando si leggono le interviste ci si aspetta di ottenere risposte.
Un po’ come quando si leggono recensioni e ci si aspetta di leggere definizioni ed etichette che facilitino la comprensione dell’oggetto del discorrere per la nostra mente, costruita su schemi condivisi.
L’intervista che segue ha tanti spunti, inviti, qualche confessione, ma non ha risposte definitive. In parte perché il mio interlocutore è una persona complessa: non difficile, ma articolata; in più perché è un’artista, invincolabile.

Quindi, seppure la lettura di ciò che segue potrebbe non fornire risposte certe, disattendendo l’aspettativa cui si faceva riferimento in apertura, restituisce un ritratto vero, quanto sincera è stata la persona con cui ho parlato.
La persona in questione è Bugo.
Buona lettura.

 

Vorrei partire dalla scelta di tornare a suonare in Italia (in questo periodo vive in India) in acustico. Perché torni in questa veste?

Io non lo considero un ritorno.
bugo intervistaIndubbiamente era da tanto che non facevo serate acustiche: le ultime furono nel 2006, con il tour di “Sguardo Contemporaneo” che in parte fu acustico. Chi mi segue dagli inizi, ha imparato a conoscermi in questa veste, che ho portato avanti per quasi 9 anni, affiancandole pian piano quella rock, e infine interrompendola. Oggi, semplicemente, mi è venuta voglia di tornare a fare serate acustiche. E in quest’ottica non era necessario che presentassi materiale nuovo: cerco di non farmi coinvolgere da regole di promozione. Così ho chiamato l’agenzia, comunicando la mia intenzione di fare un tour acustico in estate. Penso che “Nuovi Rimedi per la Miopia” (2011) rispetto a “Contatti” (2008) (gli ultimi due lavori della discografia, ndr) contenga cose più acustiche. In definitiva, non lo considero veramente un ritorno: avevo voglia di farlo, e l’ho fatto.
Inoltre, volevo fare il punto della situazione con i miei fan dopo aver pubblicato 7 album. Così ho immaginato poco più di un paio di scalette, con i brani che credo mi rappresentino di più, per presentare ciò che ho fatto in 13 anni.
Sebbene prima dell’inizio del tour avessi già pezzi nuovi, non mi andava di portarli in giro in questa circostanza. Ripartirò nel 2014 con cose nuove.

 

Visto che hai già fatto parecchie date in questo tour estivo, come hai visto l’accoglienza da parte del pubblico?

Alcune persone hanno smesso di seguirmi perché non accettarono il fatto che abbia fatto dischi più rock, o elettronici. So per certo di aver perso sostenitori negli ultimi 5 anni, perché quando faccio pezzi molto datati come Spermatozoi (da “La prima gratta”, 2000, ndr) durante i concerti, guardo il pubblico e la conoscono in pochissimi; se faccio canzoni di “Contatti” in acustico, le sanno tutti. Chi ha smesso di seguirmi, oggi non torna anche se propongo pezzi di 10 anni fa. Questo da una parte spiace, perché non ho mai fatto musica contro quella mentalità che tende ad apprezzare un solo lato dell’artista e non la sua evoluzione, o per scelte commerciali; però ho sperimentato che se si cambia genere, si viene subito additati. Le persone si fanno un’idea dei personaggi, che non sempre corrisponde a ciò che diventano crescendo. L’importante è che questo non sia di ostacolo alla carriera dell’artista.
Quindi, se questo da una parte spiace, dall’altra riconosco i miei veri fan: chi mi sostiene continua a farlo, magari più su un disco e meno su un altro. Chi ama Bob Dylan lo ama sempre, anche se fa un disco minore. Anche io sono fan di gruppi che hanno fatto album che mi piacciono meno; non per questo smetto di apprezzarli.
Avevo già assaporato questa realtà quando ho firmato con la Universal, nel 2002. Le persone che mi circondavano tendevano a ingabbiarmi, a volermi far diventare il loro burattino. Appena ho odorato questo rischio, me ne sono andato e appunto sono approdato all’Universal, che mi avrebbe aperto un mondo.

A parte questa piccola ombra, che tocca tutti i musicisti che fanno tanti dischi ed evolvono, c’è una bella accoglienza. Ti porto l’esempio del concerto al Magnolia di inizio luglio: il locale era pieno, il pubblico caldo, e sul mio set sono state scritte tre recensioni, benché non fossi l’headliner, che nel caso di quella serata organizzata da Godzilla Market erano i Ministri. Quindi il concerto ha colpito, e mi ha fatto piacere. Allo stesso modo a Cagliari è andata molto bene, due settimane fa.
È recepito come un tour normale. Ci sono date molto belle, date meno riuscite, come sempre.

 

Posso sapere cosa ti ha lasciato l’esperienza di “Nuovi Rimedi per la Miopia”? In particolare il tour, e quindi l’aver portato e fatto conoscere al pubblico quello che era il tuo ultimo lavoro.

Mi ha insegnato molto, come tutti gli album. Questo in particolar modo mi sta lasciando tanto, perché è l’ultimo e le emozioni generate sono fresche. Inoltre è un disco emotivamente aperto e personale, quindi le critiche si subiscono di più: i giudizi negativi ai tempi di “Contatti” mi sfioravano solo, perché i brani non parlavano di me; mentre un disco in cui parlo di attrazione per le tematiche religiose, di amore, di vita personale e interiore richiede più tempo per l’assorbimento dei risultati che genera.
Detto questo, il tour è durato più di un anno, e solo in poche date ho percepito il pubblico scettico.
In ogni caso, so che ogni disco che faccio contiene il massimo di verità e onestà che posso dare, quindi ne esco sempre vincitore.

Credo che questo tour in acustico faccia parte del tour di “Nuovi Rimedi per la Miopia”, come se fosse una sua propaggine, e chiuderà un ciclo durato più di 3 anni.
Ora sto lavorando ai brani nuovi, radicalmente diversi dall’ultimo album, non solo per tematiche. Mi piace cambiare prospettiva, e la muterò ancora: non faccio musica per accontentar le persone, nè all’opposto per contrariarle. A me piace artisticamente evolvere e non proporre la stessa musica ogni volta. È chiaro che si possa riscontrare una continuità, perché sono sempre io che canto, alcune tematiche tornano, però provo sempre a cambiare visione.

 

Arrivando alla composizione del nuovo disco, sulla tua pagina facebook hai dichiarato di esserti lasciato influenzare dal tema del deserto, quando eri in India. Da dove proviene questa suggestione?

È nata da alcuni viaggi. Mi piace molto viaggiare, anche in India dove sto vivendo. In Oriente ci sono deserti stupendi, e uno che mi ha colpito in modo particolare copre la penisola degli Emirati Arabi, dove son stato tanto tempo da solo: un’ esperienza bellissima.
Intendo il deserto come luogo in cui non si ha niente, ma nel quale si possono trovare gli spunti per ripartire alla volta di cose nuove: è magico.

Quelle che ho raccolto sono immagini e suggestioni; può succedere che nel disco nuovo non ci sia nulla che parli del deserto. Però le immagini ad esso legate mi piacciono molto. A proposito di questo, credo che uno dei brani più importanti dell’ultimo album sia “E ora respiro”, dove io racconto il desiderio di saltare un recinto per andare in uno spazio non conosciuto – come potrebbe essere il deserto per me, un luogo che non conosco e in cui non ho punti di riferimento – e in questo nulla ripartire. Si tratta di un’esperienza che faccio sempre, eppure proprio ora l’ho focalizzata meglio e riesco a comunicarla in questo modo: per me ogni disco corrisponde a saltare il recinto di quell’album e andare in un luogo in cui mi perdo, come un deserto, per poi trovare nuova voglia di ripartire.
Probabilmente questa chiave di lettura mi è stata portata dai vari viaggi che ho fatto, ma non riesco ancora ad analizzarmi: quello che accade oggi lo capirò meglio tra qualche anno.

 

Il tuo prossimo disco sarà il primo cui hai lavorato anche in India? “Nuovi Rimedi per la Miopia” era stato fatto in Italia o ci avevi lavorato anche in India?

Quando è uscito “Nuovi Rimedi per la Miopia” ero in India da un anno, ma il disco era già pronto, e fatto completamente in Italia.
Ora, ho lavorato al nuovo disco in India, ne ho ripreso l’elaborazione questa estate in Italia, ma sono solo all’inizio.

In genere io scrivo tanto; poi, a un certo punto, devo canalizzare con una decisione forte quello che andrò a raccontare. Si tratta di ciò che tiene in piedi un progetto che dura due anni, la filosofia attorno a un disco: elementi tanto importanti da richiedere una decisione forte appunto, di cui devo essere sicuro.
Ad oggi sono davvero in alto mare. È tutto un vulcano di emozioni ed esperienze che sto scaricando nelle canzoni, e deciderò in seguito quali preferisco, e quale taglio dare al disco.

 

Una tua caratteristica evidente che mi va di approfondire con te è l’uso che fai dei social network. Sei molto attivo, e usi la rete per scopi che ho raramente visto fare ad altri, come interviste aperte su facebook e twitter. Pertanto, in prima battuta, ti chiedo di parlarmi del tuo rapporto con la rete.

Uso i social network principalmente perché mi divertono; il fatto che siano utili per lavoro arriva in un secondo momento. Prendo l’esempio di twitter. Io uso twitter in modo molto personale, raccontando ciò che vivo, e ciò che mi viene in mente, che a volte può risultare irrilevante. Per chi lo usa come me, quindi non in modo didascalico o formale, twitter è in grado di rivelare molto delle persone, come alcuni aspetti del carattere.

Arrivando alle interviste aperte sui social network, l’idea mi è venuta nel 2011, quando è uscito “Nuovi Rimedi per la Miopia”. Contattai la Universal per informali dell’intenzione di sfruttare twitter e fare un’intervista aperta – la prima che ho fatto. Loro inizialmente si dimostrarono scettici, poi venne fuori un’esperienza importante, anche per via della collaborazione con Onstage e altre riviste partecipanti.
La rilevanza di questo gesto e l’uso dei social network sono molto soggettivi: c’è chi li ritiene importanti, chi non ne è interessato. Uno dei motivi per cui stimo Vasco, non solo come artista ma anche come comunicatore, è che su facebook scrive candidamente quello che pensa, che non è sempre condivisibile; eppure non ha problemi a dimostrarsi quello che è, con le sue debolezze. Poi sta agli altri valutare.
Allo stesso modo io non mi freno pensando alla reazione di chi legge: cerco di utilizzare il mezzo nel modo più aperto possibile, entro i limiti dovuti al fatto che non è sempre facile rispondere a tutti.

Riconosco anche il fatto che esporsi sui social network sia un’arma a doppio taglio, che negli ultimi anni mi è tornata contro: non mi segue e non mi seguirà solo chi mi apprezza.

 

L’uso che fai dei social network fa sì che affidi molti tuoi pensieri alla rete, i quali spesso sono veri e propri sfoghi. Sembra che tu non sia completamente soddisfatto, è così?

È vero, e sono contento che venga fuori. La frustrazione fa parte dell’essere umano, e per me non è un problema manifestarla. Mi rendo conto che gli sfoghi colpiscano molto: quando scrivo cose negative o spiacevoli le risposte sono innumerevoli, perché scatta l’umanità collettiva di chi mi segue.

 

Sul tuo canale YouTube appare un video nel quale ti interroghi con ironia sull’etichetta di rock fumoso che avevano appiccicato alla musica che fai. Ti stai ancora chiedendo il senso di quella definizione? Hai trovato una risposta?

Avevo realizzato il video per inaugurare il nuovo canale YouTube. Per farlo, ho fatto ironia su questa definizione, che non è la prima volta che viene usata per descrivermi. Ed è vero, penso che la mia musica sia così: non catalogabile, non si capisce dove inizia e dove finisce, proprio come osservava quel giornalista. Non la ritengo una critica.
Un rocker, un cantautore, un nullafacente? Probabilmente sono tutto questo, insieme.

Personalmente, non mi va di catalogare le persone in un’unica categoria; questo non implica che non voglio che gli altri lo facciano con me, perché è inevitabile, però l’essere umano non è catalogabile. Allo stesso modo, ci vuole tanto tempo per comprendere la carriera di un’artista. Benché io ritenga la mia musica molto immediata, mi rendo conto che la cosa più complicata di me sia che non si capisce chi sono io, la mia persona, cosa sto raccontando. Forse perché umanamente sono sempre in subbuglio. Ma non sta a me definirmi.
Di “Nuovi Rimedi per la Miopia” o “Contatti” avremo una visione più chiara tra 5 o più anni. Penso sia così anche in virtù dell’esperienza che sto avendo riguardo a un disco come “Dal lofai al cisei” (2002): tutti me ne parlano, e lo fanno con una visione più chiara perché sono passati 12 da quando uscì.
Ci vuole tempo, e in questo tempo non bisogna farsi prendere da paranoie perché si pensa di non essere compresi.

 

Parallelamente alla lavorazione del nuovo materiale per il futuro disco, hai continuato la tua attività nel campo delle arti figurative?

Sì, certo. Ho fatto un progetto a Ghaziabad, una città vicino a New Delhi. Poi a giugno ho fatto una mostra a Sassari al Wilson Project Space. A settembre ho un’altra mostra nel milanese.
Quindi questa l’attività come sempre continua, insieme a quella della musica.

 

 

acieloapertoBugo si esibirà in acustico venerdì 23 agosto all’interno del programma del quarto appuntamento di “acieloaperto”, alla Rocca Malatestiana di Cesena (FC).
L’evento di venerdì sarà occasione per ascoltare dal vivo anche Diaframma, Colapesce in acustico e Sunday Morning.

La rassegna musicale “acieloaperto” è voluta e organizzata dall’associazione culturale Retropop Live, in collaborazione con Monogawa back to Gawa e Vigna di Porta Santi.

Tutte le informazioni sull’evento sono reperibili qui.

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