Liberate il criceto Giovanni
Il criceto Giovanni anela la libertà. Ne respira estemporanei brandelli attraverso le sbarre della sua gabbietta, un parallelepipedo di noia e privazioni in cui è confinato ormai da sei mesi. Idea funesta di Rogerio, suo padroncino il quale, probabilmente per compensare l’effetto ridicolo creato dall’italianizzazione forzata che ha originato il suo nome, ha deciso che il suo compagno di vita sarebbe stato lui, l’onesto criceto Giovanni. Svegliato di soprassalto dalla tenera paglia del negozio di animali, separato con dolo dai propri cari e scaricato da solo su una fetida lettiera di ghiaia sdrucciolevole, ora era il suo nuovo amichetto.
Giovanni notava che il suo nome era motivo di ilarità tra i bambini, e in particolare tra i nipoti dell’inerte Rogerio che a volte lo riunivano nelle loro piccole grinfie per lunghissime ore di puro terrore, in cui veniva sballottato, tenuto sospeso a mezz’aria e buffamente vestito con strani copricapi, davanti ai quali la sadica ingenuità dei bambini godeva dello spettacolo. In quei momenti la paura della morte si faceva tangibile, crudamente reale e allora Giovanni si sorprendeva di sé stesso nel desiderare di tornare in gabbia. Lì c’era puzza, cibo scarso e zero contatto sociale, ma era al sicuro da ogni incidente esterno.
Un giorno mentre Rogerio gli rimpinguava la cassetta di semi di girasole, era suonato il campanello e la porticina della gabbietta era rimasta colpevolmente aperta mentre il padroncino andava ad aprire tutto trafelato. Giovanni impiegò qualche istante a capire che poteva sfruttare quei secondi preziosi per mettere prima una, poi due tre quattro zampine oltre il reticolato di metallo e provare a trovare una via di fuga da quella casa. Tentare, almeno. L’aria di fuori, sporto il musetto di qualche centimetro oltre il confine della gabbietta di metallo, aveva un sapore nuovo. Profumava di fiori, pane tostato e lucido per pavimenti al gusto di pino. Rogerio era single ma sapeva trattarsi bene. La porta si chiude, Rogerio ritorna, resta un secondo per sgusciare via prima il suo carceriere si accorga della svista e chiuda l’entrata della gabbietta. Mordergli la mano e scappare, pensa Giovanni. Per poi andare dove? Ma la gabbia si chiude, il pensiero va in frantumi come la grata che si richiude su un impaurito Giovanni, e il suo musetto torna dietro le sbarre e l’aria torna ad odorare di lettiera sporca.
Nonostante tutto, ogni giorno giungeva infine la sera e la luce catodica del Tv color di Rogerio si irradiava attraverso il buio della stanza, lambendo le sbarre della prigione di Giovanni, screziando i suoi occhietti con bagliori molto simili alle piccole e silenziose lacrime di un roditore. In quei momenti Giovanni sognava casa sua. Ancora una volta. Ve lo chiedo di cuore, vi prego, liberate il criceto Giovanni.
Da animalista convinto, devo ammettere, di essere sconcertato. Sconcertato dal constatare, purtroppo, che al giorni d’oggi c’è ancora qualcuno che si permette di scherzare sui problemi degli animali.
Cosa le scorre nelle vene, il ghiaccio forse? Come può, mi chiedo (e come me tutti i miei nipotini che hanno letto orripilati lo scritto), banalizzare un tema così spinoso e problematico come quello della schiavitù – sì ho scritto schivitù – degli animali.
Sugli animali non si scherza. Mai!
Lei sa che in questo esatto momento nel quale mi ritrovo a scrivere, e probabilmente lei si starà mangiando un gustoso hamburger, milioni di cavie vengono torturate e uccise a beneficio dell’uomo?
No, probabilmente non ci ha pensato; probabilmente starà scrivendo qualche racconto sull’allegra carneficina che ogni giorno viene perpetrata negli zoo.
Lei mi sembra il classico radical chic senza radical. Comunque vedo che si sta affezionando, per cui lo prendo come un buon segno!;) Buona giornata.