I Tre Allegri Ragazzi Morti nel giardino dei fantasmi – intervista a Davide Toffolo


Dieci dischi, venti anni di musica insieme, una etichetta discografica fondata nel 2000.
84 canzoni, alcune cover. Un Incontro con Pier Paolo Pasolini, l’apparizione in un film.
Adolescenti di tutte le età. Nove concerti nei principali stadi d’Italia. Basso profilo.
Una città. Una immagine. Una maschera.
Tre Allegri Ragazzi Morti.

Dicevo, dieci dischi. Il più recente si intitola “Nel Giardino dei Fantasmi“, uscito il 7 dicembre 2012 per La Tempesta Dischi, che tra storie cupe, arrabbiate ed evocative continua a nutrire l’immaginario che da sempre circonda Davide Toffolo, Enrico Molteni e Luca Masseroni.
La novità che conferisce il carattere distintivo del nuovo disco viene comunicata da Davide Toffolo stesso attraverso il blog della band, descrivendo così l’album prima della pubblicazione: «L’avevamo immaginato come l’incontro dei nostri fantasmi (il rock, il reggae, il dub, la canzone d’autore, il folk) con qualche fantasma più esotico. Il risultato è una musica etnica, di un’etnia immaginaria, fantastica. La nostra».

È proprio del nuovo disco che ho parlato con il chitarrista, cantante, autore dei testi e penna creativa della band, Davide Toffolo, nell’intervista che segue.

 

Nel Giardino dei Fantasmi” è un disco che ha vari caratteri, e uno di questi è quello etnico. Vorrei sapere come siete arrivati alla scelta di lavorare su questo genere.

Il disco ha elementi etnici legati ad alcune esperienze personali, in particolare mie e di Paolo Baldini, produttore del disco. nel giardinoNello specifico, alla fine della lavorazione di “Primitivi del Futuro” (il disco precedente, ndr) – che era un disco politico, in qualche modo – abbiamo fatto un viaggio in Africa. Io avevo già degli ascolti africani, e alcune delle suggestioni contenute del disco, come i lunghi blues riconducibili ad alcuni elementi di musica africana, sono dovuti a questa prima esperienza.
L’altra suggestione sono stati gli ascolti musicali che in quel periodo ho fatto in modo abbastanza sistematico.

“Nel Giardino dei Fantasmi” ha di fondo questa idea: provare a scrivere canzoni che avessero una natura popolare. Per realizzarla, abbiamo pescato anche da tante cose che avevamo già percorso, come il reggae, la dub e alcuni elementi rock. Perciò dentro al disco si possono leggere anche i fantasmi della musica che abbiamo fatto in questi anni.
Però la componente etnica è quella progettuale, e riguarda non un’etnia riconoscibile, ma una etnia immaginaria.

 

Questo lavoro ha comportato tempi di realizzazione più lunghi per “Nel Giardino dei Fantasmi”, o siete stati nella media?

Tra un disco e l’altro passano fra i due e i tre anni: questo è il tempo che serve per avere un accumulo sufficiente di esperienze che diano alle canzoni un motivo. Se le canzoni hanno un motivo, quindi non sono decorative, per me il disco si può fare. In caso contrario, il disco non si può fare.
E anche per questo disco abbiamo rispettato i tempi consueti.
Poi, tecnicamente, il disco è stato registrato in tempi lunghi, e non in una session veloce, perché eravamo impegnato in altri lavori. Quindi la registrazione complessiva è durata parecchio.
Invece la scrittura delle canzoni è stata abbastanza immediata, come sempre. La scrittura delle mie canzoni è semplice; ci tengo a mantenere questo tipo di semplicità, attorno alla quale viene costruito il sound. E per quest’ultima fase abbiamo impiegato un po’ di tempo, rimanendo nella media.

 

Leggevo che ha partecipato alle registrazioni del disco il coro “i Fantasmi”, nato da un laboratorio di musica di Pordenone. Vorrei sapere com’è nato questo contatto tra voi, e se siano coinvolte nella realizzazione del disco altre realtà di Pordenone.

Il coro dei Fantasmi è la seconda incarnazione del Coro Anni Dieci, un progetto di musica urbana vocale che io stesso ho messo in moto due anni fa sul territorio. Come era successo negli anni precedenti, ero tornato a Pordenone per un periodo e volevo portare in città un po’ delle esperienze che avevo avuto fuori. Era un progetto pubblico, sostenuto dal Comune; nel momento in cui è mancata questa parte, ha cambiato forma, trasformandosi nei Fantasmi.
È stato un lavoro molto bello: una specie di laboratorio di socializzazione che aveva alla base l’arte in generale, da quella figurativa alla musica. È stata una delle esperienze più belle che ho avuto negli ultimi tempi, e uno splendido momento formativo durato due anni.

Altre persone di Pordenone che hanno lavorato sul disco sono il produttore Paolo Baldini e la sua crew di rastafariani, tra i quali il cantante dei Mellow Mood e il loro bassista, Giulio Frausin, che ci ha aiutati con alcune chitarre.

 

La città di Pordenone è fonte d’ispirazione per te?

Sì, lo è sempre stata.
È una forte fonte d’ispirazione anche in momenti in cui sono in conflitto con quel tipo di esperienza; è sempre un luogo importante per la mia scrittura, e per i pensieri rispetto a ciò che succede intorno.

 

La storia che raccontate nella canzone “I Cacciatori” è vera?

No, non è una storia vera. Ma le storie diventano vere quando sono credibili, scritte bene. Perciò, penso che questa storia sia bella e vera in quanto credibile nella scrittura.
È una metafora abbastanza esplicita della generazione di ragazzi che oggi hanno fra i 35 e i 40 anni.

 

Perché avete deciso di titolarla così?

I Cacciatori è il nome che volevo dare a un mio nuovo ipotetico progetto musicale. Poi non l’ho realizzato – anche se non è detto che non riesca a metterlo in moto – ma sono rimasto legato ai cacciatori, e all’evocazione che portano con loro. Sono gli spietati.
Poi, si può pensare che potrebbero essere stati dei cacciatori a uccidere il ragazzo della canzone.

 

Mi piace molto il fatto che abbiate dedicato un brano a quel grande interrogativo che è “Di che cosa parla veramente una canzone?”.
Nella canzone stessa rispondi che non lo sai. È veramente così, o come altri pensi che l’ascoltatore legge nelle canzoni ciò che sente, e interpreta a seconda della sua sensibilità?

È così.
Credo che le canzoni di per loro, quando sono belle, non raccontino niente.
Sono l’incontro fra la musica e delle parole, ma non è obbligatorio che questo rapporto sia completamente risolto, nel senso logico.
Se si separa la musica dalle parole, le parole sono poca cosa: costituiscono una delle componenti, ma non quella principale. Allo stesso modo la musica. È proprio l’incontro di queste due cose che ne costituisce una terza, che non è propriamente la somma delle due: è qualcosa di più forte. Allora, in questo senso, la composizione di musica e parole è un omaggio alla musica nella sua forma canzone.
Le canzoni hanno un significato che va oltre il senso, per questo non so cosa siano; anche quando sono molto dirette, come quelle che facciamo noi.

 

Nei concerti di questo tour, dei tre componenti della band, tu sei quello vestito diversamente. Cosa rappresenta il tuo costume?

Nel-giardino-dei-fantasmiMi piaceva l’idea del primitivo, di possedere una forma fantastica che non avesse più un rapporto con la dimensione fisica e realistica di me.

Per tanto tempo ho provato a costruire un costume che rispecchiasse questa idea. Poi ho trovato una tuta militare che aveva più o meno lo stesso tipo di sensazione visiva, e l’ho adottata come costume. Indossata sui palchi, perde il connotato realistico dell’essere una tuta usata dai cecchini per mimetizzarsi tra la vegetazione, prendendo un’altra forma.
Fantastica, appunto.

 

I Tre Allegri Ragazzi Morti si esibiranno in concerto a Savignano sul Rubicone domenica 30 giugno, in conclusione della rassegna Il Rock è Tratto.
Aprirà il concerto la band vincitrice del contest, decretata la sera precedente in occasione della finale del concorso.
Tutte le informazioni sul concerto di domenica e gli eventi collaterali sono reperibili qui >> Tre Allegri Ragazzi Morti in concerto – Rock è Tratto.

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