Compro oro
L’insegna del Compro oro in via Rizzoli aveva qualcosa di sbagliato, in un modo che nemmeno il signor Fausto Morosini riusciva a definire di primo acchito. Forse erano i caratteri maiuscoli e di uno sgargiante blu elettrico con cui era scritto il nome del negozio, oppure l’aspetto assolutamente dimesso e minimale – per non dire squallido – dell’ingresso e di quella parte dell’interno che si poteva vedere da fuori, attraverso il vetro. E poi, sulla strada lì davanti, una fila di persone silenziose, con la testa bassa e persino un pò imbarazzate di trovarsi lì, alla mercé degli sguardi indagatori e impietosi di qualsiasi passante. Quel negozio era ancora più piccolo di quanto già non lo fossero gli altri, per cui c’era spazio solo per un cliente alla volta. Il signor Fausto Morosini non appena si trovò davanti ad un tipo di negozio della cui esistenza fino a pochi giorni prima dubitava e di cui aveva udito al bar solo voci confuse e preoccupate, percepì che entrare lì dentro non era cosa buona e giusta come mangiare, dormire o fare all’amore. Lui, d’altronde, non aveva scelta.
Era arrivato al negozio presto, alle nove, ma già a quell’ora della mattina aveva trovato in fila una decina di persone, dalla mezza età in su. Stringeva con poca decisione un piccolo sacco di tela spessa contenente gli ultimi gioielli di un certo valore che rimanevano a lui e sua moglie, aspettando che la fila scorresse.
Dopo qualche minuto, alcuni passi veloci alle sue spalle e la figura agile e sottile di un uomo dall’aspetto elegante – un uomo molto più giovane di lui, non poteva avere più di quarant’anni – apparve al suo fianco e prese posto dietro di lui nella fila, rivolgendogli un sorriso brillantissimo e sincero e chinando lievemente il capo in segno di saluto. Prima che Fausto tornasse a girarsi verso l’insegna, l’uomo gli parlò.
-Buongiorno. C’è gente, oggi.
Fausto dette l’ennesima, inutile occhiata alla fila e studiò per qualche secondo il nuovo arrivato, prima di rispondere.
–Pare di sì. Ma è sempre così da queste parti?
-Non lo chieda a me, non lo so. E’ la mia prima volta.
-Anche la mia, se è per questo – rispose Fausto, leggermente stizzito dall’atteggiamento del giovane.
-In questo caso mi scusi. Pensavo fosse venuto altre volte.
-Ma dai. Magari per via della mia età.
Il nuovo arrivato nascose perfettamente il suo imbarazzo e continuò a sorridere. La fila intanto scorreva, seppur lentamente.
-Lei ha ragione, e mi scuso. Ho sbagliato. Ricominciamo da capo, vuole? Piacere, Merli.
Fausto gli strinse la mano riluttante, ma non aveva molta scelta e l’idea di passare il periodo di fila che gli rimaneva in un clima di tesa indifferenza con chi lo precedeva non lo allettava.
-Lei è’ giovane però, per trovarsi qui.
-Un pò. Ma non avevo scelta… se non vendo qualcosa sono nella merda. Ops, mi scusi il linguaggio…
-Ma di che… non è che perché sono vecchio, non mi si può dire “merda”.
-Giusto. Dicevo, sono gioielli della mia fidanzata e di mia madre, e se non li vendo è finita.
Tacque, e Fausto non ricambiò la confessione con quanche rivelazione su di sé.
-E lei? E’ sua moglie che la manda?
-Già. Siamo messi come ha detto lei, senza ripetere il termine… ma Sandra non voleva avere pesi sulla coscienza, perciò ha mandato me. Già l’idea di vendere questi gioielli la affligge abbastanza, senza bisogno che lo faccia di persona. Ma come le ripeto, non abbiamo scelta.
Fausto fece una pausa, osservando il suo interlocutore che lo seguiva attento, cosa che gli diede una certa soddisfazione, e notando altresì che la fila aveva accelerato improvvisamente. Ora aveva solo una persona davanti.
– Se poi me li rubano prima di venderli, pazienza – rise Fausto, cercando di farsi coraggio.
-Anzi sarebbe quasi meglio, che me li rubassero… così non li dovremmo vendere.
-Sua moglie forse sarebbe più contenta.
-E’ probabile.
-Allora, scusi la sfrontatezza ma…
Il giovane uomo fece passare minimo due secondo prima di cocludere la frase, tanto che il signor Morosini ebbe quasi la tentazione di inserirsi con un incitamento verbale, ma si trattenne.
-… li dia a me.
-A lei?
-Ha appena detto che sarebbe meglio che venissero rubati.
-Sì.
-Ma ancora meglio sarebbe se li prendessi io. Lei non subirebbe neanche lo shock del furto.
-E poi cosa racconto a mia moglie?
-Le dice che è stato derubato. Anzi rapinato, suona meglio. Suona tipo ho-provato-ad-oppormi-ma-niente.
Fausto soppesava il sacchetto con i gioielli, dal quale provenivano leggeri tintinnii non appena subiva anche solo un leggero scossone.
-E’ che non abbiamo neanche bisogno di soldi, in realtà.
Il giovane uomo taceva, giudicando opportuno smettere per un pò di incalzare Fausto per non interrompere le sue riflessioni.
-E’ che Sandra è preoccupata.
-Lo siamo tutti.
-Non faccia il populista.
-Mi scusi. Però secondo me facendo come le ho proposto potrebbe davvero alleviare l’animo di sua moglie. Avreste entrambi la coscienza pulita.
Fausto Morosini guardò negli occhi il suo interlocutore per un minuto buono, studiando quel viso radioso e volitivo e valutando nel suo cervello quello che gli stava proponendo. Cosa ne avrebbe saputo Sandra, in fondo?
Fausto stava ancora pensando, quando sentì una voce chiamarlo da dentro il negozio.
-Signore? Prego!
Si volse spaesato verso il negozio e si accorse stupito che la fila era terminata. Era il suo turno. L’impiegato del Compro oro parlò con voce calma.
-Tocca a lei. Entra?
-Io la saluto. – così dicendo Fausto fece atterrare dolcemente il piccolo sacco con i gioielli sul palmo della mano dell’uomo e, senza guardarlo una volta di più, gli volse le spalle e si incamminò su per via Rizzoli.
Il giovane uomo non disse nulla, né un cenno di saluto, di ringraziamento o di incoraggiamento per quanto – presumibilmente poco – restava da vivere al vecchio. Soppesò il sacchetto sulla mano, fece per aprirlo ma poi, come se si fosse improvvisamente ricordato di un dettaglio fondamentale, lo richiuse con un gesto rapido e volse lo sguardo al negozio.
-Tocca a lei! – latrò la voce dell’impiegato all’interno.
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