Analisi ipotetica di un paese chiamato Italiopoli


-Questa è pura follia! Non ho mai sentito nulla di così insensato!

Lei è Grazia, la madre di Arduino.

Arduino è un bambino taciturno, moro, occhi dello stesso colore dei vinili che custodisce gelosamente in uno scatolone nella sua cameretta. Glieli ha regalati suo nonno al quale, a sua volta, erano stati donati dal proprio. La custodia di cartone è lisa, consumata dal tempo:  la scritta “Queen” quasi non si legge più. Non sa di preciso cosa siano, ma li ama con tutto il cuore. Probabilmente non funzionano più, ma lui non può saperlo.

Sua madre in questo preciso istante è fuori di sé: il preside della scuola a cui ha intenzione di iscrivere il figlio non è disposto ad accettare tale richiesta a causa del mancato possedimento di un personal computer.

-Farà delle fotocopie, andremo in un internet café… è impossibile che siate così ottusi! Razzismo, questo si chiama razzismo!

Grazia e Gianni, il padre di Arduino, si definiscono bohémienne, hippy, alternativi. Rifiutano la presenza di qualsiasi oggetto che trasudi tecnologia, in una società altamente automatizzata, cibernetica ed elettronica come questa. Ma l’istituto “Mario Draghi” richiede obbligatoriamente il possedimento di una connessione internet nella propria residenza. E non c’è scampo.

Naturalmente, la coppia non è disposta  a cedere. Loro credono in valori migliori. Vestono abiti fatti di fibre naturali, mangiano le verdure che coltivano sul terrazzo, dove alloggiano anche una gallina ruspante (che, come faccia ad essere ruspante in tali condizioni, proprio non lo so) e un paio di cimici, quand’è stagione.

Scorrono i minuti e le facce di questo gruppo di adulti sono sempre più crucciate: stanno diventando rosse come i cerbiatti stilizzati della carta da parati della cameretta di Arduino che, vedendoli, tutte le volte pensa «Che schifo».

Nel frattempo, due piani più sotto, la maestra Angela sta cercando di spiegare i congiuntivi alla sua classe di quinta elementare: inutile tentare di spiegare la difficoltà dell’impresa.

Contemporaneamente, nell’aula adiacente, un gruppo di bambini sta deridendo un compagno di colore, dicendo che avrebbe fatto meglio a restare a morire di fame come i ragazzini che hanno visto in TV, nella pubblicità della Superfabbrica del Sorriso.  Tra l’altro non tutti sono al corrente del fatto che tale iniziativa, portata avanti dalla onlus Mediafred e pubblicizzata dalle maggiori emittenti televisive di Italiopoli, avendo intuito l’inefficienza e l’insufficienza delle offerte dei telespettatori, ha preferito mutare il proprio progetto: invece di finanziare vaccinazioni e istruzione ha preferito far erigere una serie di stabilimenti, dentro ai quali i bambini possano lavorare e spendere i soldi guadagnati come meglio credono. Presto provvederanno alla costruzione di radiotrasmettitori e, invece di combattere l’AIDS, faranno arrivare nelle zone più povere dell’Africa l’ADSL, per poter allestire un set e registrare un reality show intitolato Safari sui tacchi a spillo.

Mentre un autore è impegnato nella stesura della trama di questo programma, la cui personalità dei partecipanti è programmabile meglio delle lavatrici di ultima generazione, lontano dalle grida dei genitori di Arduino o dagli insulti di un gruppo di bambini ignoranti, nel parlamento tricamerale di Italiopoli sta maturando l’idea di realizzare l’evento più inimmaginabile, unico, avventato, sconsiderato, atteso di tutta la storia della nazione: ogni singolo onorevole, deputato, impiegato del governo, dal presidente Milaniano al più piccolo politicuccio portaborse, sta per dimettersi. Sono stanchi di sentirsi derisi, di avere preso il posto dei carabinieri delle barzellette: il presidente del consiglio uscente, Mari, ha appena esclamato «Lo sapevo io. Ci siamo rovinati nel 2013 quando abbiamo lasciato che i comici approdassero in parlamento. Pornostar, evasori, ladri, va bene tutto. Ma non un comico!».

Il momento fatidico è giunto: tutti i parlamentari hanno sulla propria scrivania i documenti necessari per la dimissione. Un paio di firme e il gioco è fatto.

Il ministro degli esteri Xion ha apposto il proprio nome e cognome in calce alla pagina.

Il ministro dell’interno Fumagalli lo ha appena emulato.

Nel frattempo anche l’onorevole Gemma Stellini, responsabile (ancora per pochi secondi) delle scuole, ha fatto lo stesso.

Il capo dell’opposizione, intanto, sta pensando di fregare tutti ed essere l’unico a non compilare i moduli, approfittare della situazione di caos e stupore, fare un colpo di stato e appropriarsi di tutti i poteri.

Luigi Domenican, laureando in psicologia, non aspetta altro che incontrare una persona così per studiarla e scrivere una sensazionale tesi.

Arduino sta pensando che vorrebbe essere dappertutto tranne che nel posto in cui si trova.

Angela sta pensando che vorrebbe essere dappertutto tranne che nel posto in cui si trova.

Il preside dell’istituto “Mario Draghi” sta pensando che vorrebbe essere dappertutto tranne che nel posto in cui si trova.

Il ragazzino di colore sta pensando che vorrebbe essere dappertutto tranne che nel posto in cui si trova.

Gli onorevoli stanno pensando che vorrebbero essere dappertutto tranne che nel posto in cui si trovano.

Ma tutti, proprio tutti loro, nelle loro fragili e acerbe o troppo attempate menti, stanno lavorando come piccole formichine: c’è chi si sta impegnando per arrivare a fine giornata e chiudersi in un appartamento pieno di gatti ciccioni, chi sta escogitando un modo per evitare polemiche e stampa internazionali per ritirarsi (assieme ad un gruzzoletto non indifferente, guadagnato in modo più o meno onesto) su un’isola nel mezzo del Pacifico, chi desidera voler diventare grande di colpo e aiutare le persone bisognose e chi, invece, grande non vorrebbe diventare mai.

C’è un solo ed unico minimo comune denominatore in tutto questo: il disagio. Disagio sociale, disagio individuale.

Forse sarà proprio il disagio di queste incredibili e piccole formichine  il motore pulsante del futuro di un intero paese: l’importante è sforzarsi di preservare l’unica arma che abbiamo per difenderci dalle avversità del fato. L’importante è preservare la speranza.

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