Intervista a Dragan Travica


Dragan Travica, per chi non lo conoscesse, è il palleggiatore della squadra Campione d’Italia (Cucina Lube Banca Marche Macerata) e della nostra Nazionale. Un VIP della pallavolo italiana e internazionale.

Potrei scrivere molte altre parole sulle sue capacità sportive, ma quello che rende Dragan Travica un vero campione nella vita è la sua disponibilità e gentilezza. Caratteristiche che lo hanno portato (ancora non so perché) ad accettare di fare una chiacchierata con me e con la mia amica di (dis)avventure, Maria Costanza.

A Macerata, abbiamo avuto la possibilità di porgli qualche domanda, alla quale ha risposto con una spontaneità ed una sincerità comune a pochi.

Ecco quello che ne è scaturito dalla nostra chiacchierata. Enjoy it!

Il 2012 è stato un anno pieno di grandi successi: lo Scudetto, l’esperienza olimpica conclusasi con il bronzo e la Supercoppa. Cosa ti aspetti dal 2013?

Mi aspetto di migliorare. Questo deve essere sempre la benzina di ogni  uomo, soprattutto di ogni atleta quando si parla di sport. È vero che è stato un bellissimo anno, però nel 2012, se vogliamo essere precisi, abbiamo perso una Coppa Italia e una semifinale olimpica. Quindi nel 2013 non ci saranno Olimpiadi, però alle prossime Olimpiadi si deve e si può puntare a fare ancora meglio. Però credo che la cosa più importante, al di là del risultato, è che ci sia sempre dietro il lavoro e la volontà di migliorare.

Ci racconti un aneddoto divertente sull’esperienza di Londra?

Ce ne sono tanti. Il primo che mi viene in mente ha a che fare con i pasti fuori ordinanza alla mensa, che era aperta 24 ore su 24. Quindi capitava che a mezzanotte ti venisse l’acquolina in bocca, scendevi in mensa e lì trovavi di tutto e di più: sembrava che fosse l’ora di punta del pranzo. Ci si preparava latte e cereali, latte e biscotti, quello che magari non potresti mangiare, che però fai lo stesso perché c’è la possibilità. Ed è anche bello condividere questi momenti con tutti gli atleti del pianeta. Questa è una cosa che di solito quando sei in ritiro non si fa, soprattutto con la nazionale, quando hai orari, pasti prestabiliti e comunque un certo stile di vita. E inoltre la convivenza con i miei compagni di squadra: di solito quando si è in nazionale o anche col club si è in due in camera, invece a Londra c’erano dei miniappartamenti dove stavamo in sei. Per 3 settimane ci si alzava al mattino e si accendeva la musica, si andava in terrazzo dopo una sconfitta e si “bestemmiava” in gruppo, oppure si gioiva per una vittoria. La convivenza e il lato umano sono quelle che mi hanno più coinvolto in questa esperienza, condividere la quotidianità con delle persone a cui comunque voglio molto bene.

La partita più memorabile della tua carriera?

La partita più positiva, memorabilmente parlando, è stata quella con gli Stati Uniti nei quarti di finale dell’Olimpiade. È stata una partita dove dovevamo tirare fuori tutto quello che non avevamo tirato fuori in quelle due settimane, nel momento più difficile e con la squadra più forte. Era proprio su quel campo che si decidevano quattro anni di lavoro e anche più. E abbiamo messo in campo una partita caratterialmente e tecnicamente perfetta, cosa che neanche forse ci aspettavamo tanto, però è arrivata il giorno dopo di una riunione, un confronto diretto tra delle persone mature che volevano tutte la stessa cosa ed è scaturita una reazione non solo pallavolistica. E questa è la cosa che mi ha fatto capire, ma che sinceramente sapevo già, che lo sport non è solamente la palla, salti, bagher e schiacciate, ma anche una vera e propria correlazione di personalità.

La partita memorabilmente più negativa è stata la finale dell’Europeo 2011. Quella è stata, al contrario, una partita che non ci aspettavamo assolutamente di perdere. Avevamo veramente la vittoria nelle nostre mani, nelle nostre teste, eravamo convintissimi, è una sensazione che si prova, e non è stato così. Quella è stata la delusione più grande della mia carriera e di quel gruppo, secondo me. Perché comunque noi abbiamo fatto un torneo, tecnicamente parlando, bellissimo. Eravamo alla prima grande occasione e l’abbiamo persa, secondo me, soprattutto per inesperienza. Anche se può sembrare riduttivo. Tuttavia io per due mesi facevo fatica ad addormentarmi, mi svegliavo incazzato o nel bel mezzo della notte. Non è mai successo, di solito lascio passare l’incazzatura abbastanza in fretta. Però quella è stata la delusione più coinvolgente della mia vita.

Il momento più bello della tua vita corrisponde a quello più bello della tua carriera?

Credo di sì. Sì, perché io ho 26 anni e ho sempre reputato la pallavolo il cardine della mia vita. Ho investito tutto quello che so, tutto quello che avevo, tutte le mie energie in questo sport e la mia felicità era spesso parallelamente proporzionale ai risultati sportivi. Quindi sì, io credo che la pallavolo è il terreno in cui mi sento maggiormente me stesso e quando le cose vanno bene è la cosa che più mi rende felice.

Il tuo lavoro prevede molte trasferte e vari traslochi negli anni. Come vivi questa situazione da giocatore e come l’hai vissuta come figlio di un pallavolista?

Tutti dicono che noi siamo dei privilegiati ed è vero, perché comunque giochiamo con un pallone, ci divertiamo e guadagniamo sicuramente quello che non riesce a guadagnare un operaio, però il lato più complicato è la lontananza dagli affetti, quindi dalla famiglia e dagli amici nel mio caso. All’inizio è stato difficile, anche se avevo un buon insegnamento da un padre che pur essendo spesso distante è sempre stato virtualmente molto presente, quindi avevo una buona base. Però, all’inizio, quando io sono uscito di casa, a 14 anni, è stato difficile crescere da solo, anche se poi ho avuto sempre il sostegno della famiglia. Detto questo, è stato anche la mia forza, perché mi sono arrangiato a farmi le prime volte il letto, a farmi da mangiare, a soffrire magari  per una ragazzina oppure per un amico con cui litigavo. Non sapevo con chi sfogarmi e quindi mi ascoltavo molto, mi parlavo molto e ho avuto piano piano sempre più autostima di me stesso e mi ha fatto crescere in tutte le tappe della mia vita.  Oggi riconosco che mi dispiace molto non condividere determinate cose con la mia famiglia e i miei migliori amici, però è vero anche che quando li rivedo è Natale, è domenica, quindi assaporo veramente la bellezza di avere una famiglia unita, di avere degli amici che mi vogliono bene, al di là della distanza che mi ha fatto…soffrire, è una parola grossa, però sicuramente non mi ha alleggerito le giornate.

A cosa stai rinunciando e hai rinunciato per la pallavolo?

Non mi è mai pesato niente. Quando ero un po’ più giovane, ai tempi della scuola, rinunciavo magari a qualche leggerezza che fanno i ragazzini: andare in discoteca, fare tardi quando si ha voglia, bere un po’ di più, quindi fare le superficialità che giustamente un ragazzino tra i 15 e i 17 anni vorrebbe fare. Sinceramente ne ho fatto anche a meno, non dico volentieri, però non mi è pesato particolarmente. Una cosa che magari mi pesa ogni tanto, a cui sto attento in questo periodo della mia carriera, è l’alimentazione. Io sono goloso, quindi rinunciare a qualcosa per me è un peso grosso, però lo faccio per una buona causa.

Quante ore al giorno ti alleni e come è strutturato l’allenamento?

In una settimana tipo, con una partita la domenica, noi ci alleniamo tutti i giorni tranne il lunedì con due allenamenti al giorno, tranne il giovedì e il sabato, il giorno prima della partita, in cui si tende sempre a fare poco. Quindi ci alleniamo “male” che vada 6 ore al giorno, “bene” che vada 3 ore al giorno. Non c’è solo l’allenamento in palestra, ma c’è anche l’allenamento col riposo, perché anche quello è un allenamento. C’è l’allenamento con l’alimentazione, con le terapie, quello tattico a video. Allenarsi comprende tutto, secondo me, anche la psiche, che in questi sport e a questi livelli è una cosa fondamentale. Trovare un equilibrio, che devi ricercare nell’arco di una settimana per arrivare alla partita, è tutto un allenamento. Solitamente noi la mattina facciamo un lavoro fisico in palestra pesi, con all’inizio della settimana dei carichi un po’ più alti e poi nella seconda seduta, il giovedì o il venerdì, alleggeriamo un po’ i carichi per essere un po’ più dinamici, più leggeri per affrontare la partita in maniera perfetta. C’è qualche volta, dopo i pesi, mezz’ora o un’ora al massimo di tecnica individuale: io sono un palleggiatore quindi palleggio e basta, non c’è squadra, non c’è sei contro sei, quindi si fa tecnica su un fondamentale. Il pomeriggio invece c’è squadra, c’è prevalentemente il sei contro sei. Io sono da due anni con Giuliani, a cui la mattina piace molto stare in palestra. È vero che siamo anche un gruppo di giovani, quindi non ci sono grosse noie fisiche. Un giocatore giovane, che sta bene fisicamente, la mattina, dopo i pesi, fa una mezz’ora o un’oretta di tecnica, mentre il pomeriggio due ore, due ore e mezza al massimo. I giocatori un po’ più anziani la mattina tendono solo a fare palestra pesi e il pomeriggio fanno squadra come tutti quanti.

Come è il clima nello spogliatoio della Lube e in quello della Nazionale?

È molto simile. Intanto è un gran bel clima. A Macerata, accendiamo subito musica a palla: siamo patiti di musica, abbiamo un impianto stereo che abbiamo comprato con una colletta all’inizio dell’anno, quindi ci divertiamo così. C’è qualche pazzo che si dimena in qualche ballo, non da vedere, per favore [ride], però ci divertiamo proprio  perché è davvero brutto. Siamo molto autoironici, siamo veramente dei ragazzi come tanti altri.  Ci piace molto prenderci in giro: Parodi ha il naso grosso e lo prendiamo in giro per questo. Ci piace così, cose molto semplici. Perfino quando si perde, ci si fa una risata per sdrammatizzare.  Anche queste cose aiutano a sapere chi hai di fianco. In Nazionale e nella Lube, io stimo tantissimo le persone con cui gioco e questo sicuramente è un valore aggiunto, perché vivere con qualcuno che stimi è  utile per la crescita individuale. Da questo punto di vista, io ho sempre avuto la fortuna di giocare con  gruppi molto buoni, e devo dire che, in Nazionale e a Macerata, è un piacere venire in palestra.

Ci sono alcuni compagni che frequenti fuori dal palazzetto?

Sì. Noi qua a Macerata praticamente ci frequentiamo tutti. C’è chi ha famiglia, quindi torna a casa dai bambini come Henno, Monopoli, Stankovic; però con Simone [Parodi], Ivan [Zaytsev], Podrascanin, Pajenk, Lampariello e le rispettive fidanzate, con Sava [Cristian Savani] e anche mia sorella usciamo spessissimo a cena fuori tutti insieme. Ogni tanto ci riuniamo a giocare a carte a casa mia o a casa di Sava,  c’è una sorta di cabala:  almeno una volta a settimana bisogna trovarsi a cena,  giochiamo a carte, ci sfidiamo, oppure giochiamo a un gioco in scatola che ci diverte tanto. È una scusa per passare insieme una serata, scannarci un po’.

Hai qualche rito scaramantico?

Sì, ho un rito scaramantico. Diciamo che lo ero molto, adesso un po’ di meno, però il giorno della partita faccio le stesse cose a casa. Sono poche cose, però faccio le stesse cose prima di uscire. E poi quello che faccio sempre prima di entrare in un campo da pallavolo è il modo in cui mi allaccio le scarpe: prima mi metto la destra poi la sinistra, poi mi allaccio la sinistra e dopo la destra. Se in tutto questo iter c’è qualcosa che non va, mi si slega la scarpa o me l’allaccio male, devo ricominciare tutto. È un tic, è più forte di me. Devo togliermi tutto, mettermi a posto i calzini e rifare la stessa cosa. Prima di entrare in campo ho questa mania qua.

C’è una canzone che ti piace ascoltare prima di una partita per darti la carica?

No, però quando ero un po’ più piccolo sì. Ascoltavo sempre una canzone di Robbie Williams, Let me entertain you. Mi ricordo che ascoltavo questa canzone scaricata live, stupenda! Però adesso no. Ascolto musica prima della partita, nel tragitto per arrivare al palazzetto, che poi sono 3 km, quindi una canzone. Ascolto la canzone del momento. Adesso ne sto ascoltando una di Rihanna, del suo album nuovo, che si intitola Half of me. Fra l’altro è una canzone molto romantica, molto tranquilla, non è assolutamente carica. Non sono più patito come prima, che dovevo ascoltare per forza quella canzone altrimenti non mi caricavo. Adesso sono anche un po’ più razionale di prima, quindi ho bisogno non tanto di adrenalina pura, ma anche di concentrazione.

Se non avessi avuto la possibilità di giocare a pallavolo, cosa avresti fatto?

Avrei studiato psicologia. Ci ho provato anche, però è durato un anno. Ho dato qualche esame, andavo anche bene, però c’era la frequenza obbligatoria e sicuramente non avevo tutta la spinta che avrei avuto senza la pallavolo, quindi ho lasciato perdere. Però mi sarebbe piaciuto molto fare psicologia, ma parlo di 5-6 anni fa. Adesso se dovessi smettere con la pallavolo forse [ci pensa]…mi piace molto scrivere e forse farei il giornalista. Anche se non mi piacciono tanto i giornalisti, o meglio, non mi piace come è improntata la comunicazione che c’è nel mondo: sempre al negativo, basata sul gossip o simili.  Mi piace molto raccontare emozioni, perché, secondo me, anche se è difficile, si possono raccontare. Credo di essere abbastanza sensibile da poterlo fare: è una cosa che mi viene abbastanza naturale, non mi pesa farla. Quindi se adesso dovessi scegliere, scriverei.

Hai mai pensato di diventare allenatore come tuo padre, quando lascerai il campo?

No. Credo che non mi piacerebbe farlo. È un lavoro che non ti dà nessuna sicurezza, perché appena c’è qualcosa che non va, l’allenatore è eclissato, anche se non ha neanche tutte le colpe. È la cosa più comoda da fare: lui è uno, i giocatori sono dodici, quindi si fa presto a liquidarne uno. Ci vuole tempo affinché un allenatore faccia assimilare alla squadra la propria idea di pallavolo; magari non ci può riuscire in fretta ed è subito il primo colpevole. È vero che mi piace parlare di pallavolo, cercare di dare un consiglio, ma non è proprio lo stress a cui mi piacerebbe sottopormi. Piuttosto, se devo rimanere nella pallavolo mi preferirei fare il direttore sportivo, quindi essere un po’ più esterno e costruire una squadra insieme al mio allenatore. Allenarla mi piace meno che pensarla, che costruirla.

In poche parole descrivici il Dragan Travica giocatore in campo, il Dragan Travica personaggio pubblico e il Dragan Travica uomo.

Uomo: sincerità, onestà, pulizia, purezza. La mia ricerca della felicità è sempre la ricerca della verità, qualunque essa sia. Mi dà molto fastidio se non viene fuori una cosa che, pur essendo vera, viene nascosta. È più forte di me non dire la mia, sempre in maniera costruttiva ed educata. Ho provato ogni tanto a lasciare perdere. Anche mio padre me lo dice. Mi dà sempre il consiglio: “Lascia perdere”. Io all’inizio gli davo ascolto, ma poi mi ricordo che un paio di volte ho litigato con lui, dicendo: ”Ma lascia perdere un corno, se io mi sento di dire questa cosa, io non la lascio perdere! ”.  Si diventa molto scomodi  a essere così, però mi fa stare bene, quindi non mi importa delle conseguenze che ci possono essere. Credo che non possano essere  gravi a tal punto da non poter essere  onesti con se stessi.

Sportivo: competitivo. Ho sempre interpretato lo sport come una competizione. Mi piacciono molto le sfide. Odio molto più perdere che vincere. Questa è una sottigliezza però quando vinco sono felice, ma guardo sempre al giorno dopo, penso: “ Domani è ancora più dura: bisogna lavorare!”. Quando perdo per me il giorno dopo non esiste. Soffro, se perdo, molto di più di quanto sia felice quando vinco. Competizione che spesso mi porto anche nella vita normale: spesso nei rapporti cerco di sfidare gli altri ed è una cosa, secondo me, bruttissima. Spero di togliermi questo vizio, che  prima avevo tantissimo. Sto cercando di imparare  a lasciare un po’ perdere.

Personaggio pubblico: polemico. Mi hanno additato come un polemico. Chi è d’accordo chi no. Sì, sono uno a cui piace sempre polemizzare.

 

 

PS: vorrei approfittarne per ringraziare

–                    Maria Costanza (finché sarò in tua compagnia non conoscerò la noia!),

–                    mio fratello Antonio (il tuo aiuto e i tuoi consigli sono stati fondamentali)

–                    e tutti i  miei amici, che hanno sopportato i miei deliri pre-partenza e pre-intervista.

F.A.P.

3 Comments

Aggiungi
  1. Luana

    Complimenti Francesca,intervista davvero bella e con domande originali,ne invadenti ne scontate.
    Dragan,per chi lo apprezza davvero,è sempre un ragazzo disponibile a dire ciò che pensa,ma sopratutto a far ‘vincere’ la verità!

+ Leave a Comment