Ciliegie


Ambra lo aveva notato per via di alcuni appunti.
Era una fredda giornata di Marzo fuori dall’università di Bologna, ma in aula faceva un gran caldo.
Caloriferi a manetta ed “effetto stalla” erano le componenti fondamentali di quell’aria irrespirabile.

Ma lei lo aveva notato, tra tanti.
Se ne stava seduto da solo in disparte, in mezzo a tanti, intento ad ascoltare la lezione di estetica musicale.
Lei si era già accorta di lui da parecchi giorni a dire il vero. Ma non si era mai avvicinata.
La sua non era timidezza,no, Ambra non si era mai fatta avanti per via del momento. Non era mai il momento giusto!
Non è mai stata un tipo timido, ma un po’ bizzarra sì.
E questa bizzarria si vedeva in quelle occasioni… lei riteneva che, quando fosse arrivato il momento giusto per avvicinarsi, lo avrebbe capito.
Forse quel freddo giorno di Marzo, che per tanti era una giornata ordinaria, per lei era qualcosa di più.

Il professore aveva appena finito di parlare e lei, senza velocizzare nemmeno un po’ il rito del mettere il tappo alla penna, riporla nell’astuccio, chiudere l’astuccio, metterlo in borsa, mettere in borsa anche il quaderno e la bottiglietta d’acqua, infilarsi la giacca, arrotolarsi la sciarpa al collo, tirare fuori i capelli restati incastrati, afferrare il fazzoletto contenente le bucce di mandarino della merenda, buttarle nella spazzatura, recuperare la borsa al banco… gli era andata dietro.
No, non era andata dietro al professore, cosa che per altro aveva già fatto mille volte e non per ruffianeria ma per interesse alla materia.
Aveva seguito il ragazzo seduto in fila centrale che, da lontano, sembrava, anzi era certa, prendesse dei bellissimi e ordinatissimi appunti.
Gli era sbucata da dietro, sfiorandogli con l’indice la schiena.
Si era voltato con aria sorpresa e interdetta.
Lei non è timida, non lo è mai stata.
Ma ha conosciuto Mattia “occhi di cielo” con un sorriso ebete stampato in faccia.

Si erano rivisti, mesi dopo.
Erano proprio usciti insieme.
Per confrontare gli appunti, si intende.
Era Giugno e faceva un gran caldo anche sotto i portici di Via Zamboni.
Lei aveva un vestito a fiori, colorato.
Avevano fatto una passeggiata parlando del più e del meno, di tutto e di nulla.
Lui la ascoltava estasiato, una creatura del genere non è cosa di tutti i giorni averla ad un palmo di mano.
Avevano mangiato un gelato, lei cannella e zucca, lui nocciola e stracciatella.
Mattia riaccompagnava sempre a casa le ragazze dopo esserci uscito.
Ma qualcosa, quella volta, lo aveva bloccato.
Ambra si era allontanata sorridendogli e facendo “ciao” con la mano sotto la torre degli Asinelli.

L’estate era passata.
Calda e torrida.
L’estate aveva portato gioia e serenità.
Mattia aveva fatto un Interrail in Spagna e Portogallo con tre amici e lavorato in un bar di Cuneo, sua città d’origine.
Ambra aveva lavorato nell’archivio di una biblioteca di Bologna per mettersi qualche soldo da parte, aveva letto molto, guardato film, era andata qualche volta a ballare, e poi era stata in Svizzera due settimane da una cara amica.

Settembre aveva rivisto Ambra e Mattia camminare nella stessa città, per le stesse strade senza incrociarsi mai.
Ambra una volta aveva creduto di sapere di essere nello stesso posto in cui Mattia sarebbe giunto di lì a poco. Lo aveva creduto davvero, seduta sulla panchina del posto più tranquillo dei giardini Margherita, proprio vicino al ponte con le paperelle e poco lontana da un’uscita secondaria del parco.
Ma era solo il frutto della sua stupida immaginazione, aveva pensato.
Di lì a poco Mattia sarebbe passato davanti a quella panchina, con un amico, ma non vi avrebbe trovato nessuno,solo una forcina per capelli.
Sarà di una ragazza con i capelli lunghi che andava di corsa, aveva pensato Mattia. e senza un perché l’aveva poi incastrata in una tasca dei jeans.
Il sole, tiepido, stava tramontando.

Quella mattina, si sentiva teso.
Era entrato in aula in clamoroso ritardo, guardandosi intorno e così aveva fatto per tutte le due ore di lezione.
La cercava.
La cercava e aveva paura che non ci fosse; oppure che ci fosse ma non riuscisse a vederla

Ambra era arrivata in anticipo, si era seduta nei posti centrali, occupando un posto al suo fianco con la borsa.
No, non lo aspettava.
Non gli stava tenendo il posto. Semplicemente, Ambradetestava stare stretta per cui, si concedeva il lusso,essendo arrivata prima di altri, di mettersi comoda.
A fine lezione Mattia si era precipitato all’uscita.
Chiacchierava con degli amici e intanto cercava di capire se ci fosse ancora qualcuno in aula.
Il fiume di gente sembrava non finire mai.
Ma poi, ad uno sguardo più attento, l’aveva trovata.
Ambra era nel pieno del rito del sistemare i capelli con le forcine, ne aveva una tra le labbra, si stava facendo lacoda e sorrideva.

Si erano incrociati, tempo dopo, nei poco romantici bagni del Cassero.
Era Halloween , Ambra era travestita da gatto, Mattia da zombie.
Lei si stava sistemando il trucco, lui accompagnava un amico al quarto cocktail che non riusciva a camminare dritto.
Un sorriso di lui, una cenno con la testa di lei.
La musica assordante riempiva il vuoto delle loro parole e ne svuotava i pensieri.

Si erano rivisti, qualche giorno prima di Natale.
Avevano provato cappelli, sciarpe e guanti, sfogliato libri che sapevano di “antico”, avevano mangiato zucchero filato, cullati dalla nebbia, qualche luce colorata e musiche tipiche di quel periodo al portico dei Servi.
Mattia, glielo aveva chiesto all’improvviso.
Voleva l’indirizzo di casa di Ambra. Le voleva mandare una cartolina dalla Germania, dove avrebbe trascorso quasi tutte le vacanze natalizie, per lavoro, avrebbe fatto il bar-man in una località turistica.
Ambra aveva una penna in borsa ma non sapeva, dove scriverglielo. E allora ecco l’idea.
Così, come fosse la cosa più normale del mondo, aveva afferrato Mattia per un braccio, gli aveva velocemente tolto il guanto, sotto gli occhi color cielo di lui, aveva scritto con lentezza e meticolosità il suo recapito sulla mano calda. Poi gli aveva rimesso il guanto e insieme, silenziosi, avevano ripreso a camminare tra la nebbia.

Il 3 Gennaio, Ambra, tornando a casa dopo una lunga giornata di compere con sua mamma, aveva trovato una cartolina sul letto.
Se lo sentiva che prima o poi sarebbe arrivata.
Non poteva essersi dimenticato. Non era il tipo.
Per Mattia era più facile perdere il cellulare o non accendere il computer per giornate intere, ma che scordasse di mandare una cartolina era impossibile.
Ad Ambra piaceva tanto questo suo essere all’antica, fuori dalla realtà, come felicemente imprigionato in un’ altra epoca ma consapevolmente vivo anche ai giorni nostri.
Certo, c’erano stati momenti, in particolare tra Natale e Capodanno, in cui aveva seriamente pensato di essersi fatta delle illusioni.
Quel giorno, però, qualcosa le aveva fatto pensare che avrebbe ricevuto notizie di Mattia.
Si era tolta la giacca, i guanti, la sciarpa. Si era andata a lavare le mani, aveva fatto pipì, disfatto la borsa.
Nel frattempo continuava a buttare occhiate al letto.
Poi si era decisa, si era avventata su quel pezzo di cartoncino la cui attesa le aveva trapanato il cervello per tutti quei giorni di festa.
L’immagine raffigurava delle montagne innevate, al centro delle quali vi era un castello meraviglioso.
Ambra era passata poi, con cautela, a vedere cosa vi era scritto.

«Ho assaggiato le Zimtsterne. Non ne ho più potuto fare a meno. Buon anno, Mattia»

Ambra aveva scoperto quella sera guardando su internet che Le Zimtsterne sono dei dolci tipici tedeschi, natalizi, con nocciole e cannella.

Febbraio aveva imbiancato Bologna e il mondo intero.
Ambra, dalla finestra di casa sua guardava la neve cadere, con Dharma, la sua nuova gattina, accovacciata sulle gambe. Il paesaggio era uguale a quello della cartolina che Mattia le aveva mandato. Uguale no, forse. Ma molto simile. Mancava il castello.

Mattia perdeva ore di studio a rincorrersi con i suoi amici, tirandosi palle di neve al parco della Montagnola. Con lui, l’inseparabile Paolo, l’amico che non regge l’alcool ma a cui si possono confidare i segreti più intimi senza la paura che possano divenire di dominio pubblico.

Un sabato mattina, Ambra si era decisa.
Aveva chiamato Mattia, lo aveva invitato da lei, per un the delle cinque.
Così, senza pensarci. Parlava a voce alta, con allegria coinvolgente, mentre piegava i vestiti ammucchiati sulla poltrona.
Così, senza pensarci, Mattia aveva detto che poteva, che ne sarebbe stato entusiasta. Non aveva pensato nemmeno un attimo a declinare l’invito, come avrebbe potuto?
Era completamente coinvolto dal suono melodioso che proveniva dall’altro capo del telefono.
Prima di salutarlo, Ambra si era accertata che il ragazzo avesse capito bene dove abitava.

«Così magari ti ricordi pure di venire»

Quelle parole avevano gelato Mattia.
Nonostante già fosse primavera inoltrata, il ricordo di quella sera freddissima in cui Ambra lo aveva aspettato un’ora in piazza Verdi, gli provocava dei brividi.
Mattia aveva ancora sulla pelle il vento gelido sulla faccia, l’insensibilità alle mani, la scarica di insulti che aveva sfogato su se stesso, mentre correva in bicicletta sperando di trovarla ancora in attesa.
E lei c’era. Un’altra lo avrebbe ricoperto di insulti.
Ambra era lì, tranquilla.

Questa volta Mattia era arrivato in orario e avevano bevuto un infuso ai frutti di bosco.
Avevano ascoltato buona musica, si erano sdraiati sul letto per godersi ogni nota che si diffondeva nella stanza.
Dharma si era posizionata sulle loro pance.
Ambra cercava gli occhi di cielo di Mattia.
Mattia faceva di tutto per non incrociare lo sguardo di stelle di Ambra.

Il suono di una tromba, di un clarinetto e un flauto traverso.
Piazza Santo Stefano.
Il vociare di uomini e donne seduti ai tavolini dei bar.
I sampietrini che fanno venire male ai piedi alle ragazze con i tacchi.
La luce del lampione non troppo forte, non troppo debole.
Un cestino colmo di ciliegie colte con cura dal giardino che dà sul torrente, dietro la casa.
Occhi di Cielo e Sguardo di Stelle sono ancora seduti là.

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