Un respiro profondo
Apro la porta, sono in giardino, un respiro profondo.
E’ freddo , c’è la neve. Tutto è ovattato dalla sottile coltre bianca. Qualche cinguettio, il vapore del respiro e la tristezza del romanticismo di un cespuglio senza foglie. L’aria entra nei polmoni, congela il naso, rinfresca la mente, rinvigorisce il corpo. Eccolo, ancora, puntuale, a fine dicembre – inizio gennaio, intenso, travolgente, inebriante: profumo di Calicanto.
Piano piano qualcosa affiora. Chiudo gli occhi per inspirare meglio; di nuovo questo profumo e di nuovo quella sensazione… un pizzicore. Tutto dorme, tutto tace, tutto è apparentemente morto, ma lui no, lui fiorisce. E’ il profumo che mi guida, non le foglie, che pendendo sembrano lacrime, o i piccoli fiori gialli, che timidamente escono dai rami; bensì il suo odore, la sua essenza. Così il Calicanto si impone, potentemente, all’attenzione di che passeggia.
Ma la sua forza è maggiore. Il profumo di quei piccoli fiori fa riemergere un ricordo proprio quando pensavo che non ci fosse più niente da ricordare. Mentre in me tutto dorme, assopito dal freddo invernale, e il corpo stanco si muove goffamente, quel dolce odore porta la mente indietro di molti anni.
Un giardino, un altro giardino, diverso, più grande e alle spalle il muro alto, grigio, di un abitazione. C’è del ghiaccio sul fondo di una fontanella. Un Bovaro Svizzero, nero e marrone con il pelo lungo, cerca la mia mano con il muso in segno di gioco e di affetto. Il suo naso è umido, il respiro pesante e caldo. Questo cane è davvero grande o forse è un impressione, sono io davvero piccolo. Sullo sfondo la scena è dominata dalla fragranza dei piccoli fiori gialli. Ora è il pelo ispido, ma non so perché anche soffice, di quel cane che scorrendo fra le dita mi porta fra i granelli della sabbia argentata di una spiaggia affollata.
L’asciugamano è disteso e io, prono, scorro con lo sguardo e con le dita le piccole, infinite dune di sabbia. Molte persone camminano e davanti a me sfilano i loro piedi che alzano la polvere, qualcuno corre, un bambino cade; alcune dune scompaiono sciogliendosi sotto il peso delle ginocchia, ma altre nascono. La mia mano continua a scivolare sulle piccole montagnole. Sul palmo sudato restano attaccati alcuni granelli, altri incastrati sotto le unghie, così provo a toglierli, ma qua e la, uno o due restano. Li conto: cinque… dieci… venti… trenta… trentasei… quarantatré…
Ora sì ch’io son contenta:
sembra fatto inver per me.[1]
Un grande teatro, centinaia di persone in attesa dell’inizio, atmosfera vibrante. Luci soffuse, sempre più, appena fioche. Gli affreschi del soffitto e delle pareti dei palchi scompaiono, la tappezzeria rossa diventa nera, gli stucchi dorati sembrano spegnersi. Ora è buio. Solo le luci degli spartiti dell’orchestra, inizia la musica, si alza il sipario e l’Opera ha inizio.
Dopo un’ora la luce torna, è giorno, iniziano gli applausi, piove. E’ la fine del primo atto.
Clap, clap, clap, pesanti gocce di pioggia cadono sui tetti, forse è grandine? Corro alla finestra per accertarmene. Il cielo è di un giallo plumbeo; si, piccoli cubetti di ghiaccio si schiantano sul terrazzo e si frantumano. Altri centrano le foglie del platano difronte. Minuti di impotenza, di impeto e tempesta, poi la calma . Un raggio di sole penetra le nubi, un segno di vita si posa sui piccoli fiori gialli.
Ora il sole, come il profumo intenso del calicanto qualche istante fa, apre una breccia nella mia memoria.
Fra la moltitudine caotica dei vaghi ricordi, la memoria, con i sui voli pindarici, ha portato una sorta di ordine che attraverso piccoli stimoli ai sensi può riesumare momenti e sensazioni che pensavo destinati all’oblio. Da un profumo, un gesto, uno sguardo o anche una parola torna la memoria, cioè la consapevolezza di ciò che siamo attraverso ciò che siamo stati. L’aspetto che trovo proprio della memoria è che permette di essere liberi ed autentici, infatti ci lascia ricordare o dimenticare, rivivere o archiviare; permette insomma di selezionare ciò cui siamo fluiti attraverso vita natural durante e permette perciò di capire chi ora siamo e che personaggio vogliamo interpretare d’ora in avanti. Grazie alla memoria scegliamo da quali ricordi e sensazioni la nostra anima sarà animata.
Più di tutto però sovrasta la coscienza che per ricordare, cioè per avere memoria, bisogna conoscere, cioè avere consapevolezza. Solo quando un fatto, un concetto, una storia o un dramma sono diventati nostri poiché li abbiamo conosciuti, allora li possiamo anche scordare.
Dimenticare mai perché si ignora qualcosa, ma dimenticare perché si sceglie consapevolmente di non rivivere quella cosa.
Sono ancora in giardino, fa freddo.
Meglio rientrare.
[1] “Le Nozze di Figaro” musica di Wolfgang Amadeus Mozart, libretto di Da Ponte. Atto primo, scena prima.
bravo nipote!! scrivi proprio bene
Grazie mille! :=)