Ho cercato la vita in un futuro
Mai si era fermato cosi a lungo a fissare il vento che si infrange sul muro della Morte, il cielo: esso lo lascia morire lì sulla terra, dove le colline cadono giù sul duro asfalto, dove lui non può aspettare di vedersi morire.
Il rumore di un elicottero di passaggio lo fece ritornare in sé.
Si riaccese la sigaretta tirata su a mano ormai spenta da diversi minuti, diede una lunga boccata, e iniziò a scendere dalla collina. Il sentiero scendeva come un serpente tra la boscaglia, strisciando a onde, fino a sfociare nel mare di alberi, il bosco. Salì sullo scooter appoggiato alla staccionata, e costeggiò tutto il bosco fino a raggiungere la strada asfaltata. In lontananza, la grande Città lo guardava, con il sole che la illumina da dietro, innalzandola come una divinità: malvagia ed eterna.
Dopo circa tre chilometri si inoltrò nella periferia, con il grigio dappertutto, scale antincendio in ferro battuto e screpolato dalla ruggine, cantieri con reti aperte a tutti gli sguardi, individui da passi svelti e testa bassa, lampioni con luce arancione, e la sua casa. Appartamento primo piano, piccolo, ormai segnato da anni di non curanza, ingrassato a dismisura e sempre pieno, ma sua casa dalla nascita. Parcheggiò lo scooter proprio sotto il terrazzo di casa, legò catena e lucchetto, e salì in casa. Luci spente, pensò subito di potersi rilassare in silenzio, oppure con i Daft Punk al massimo.
“Why don’t you play again?” Gli piaceva la musica vecchia.
Ebbe fortuna: aprì la porta e vide che non c’era nessuno in casa. Si svestì velocissimamente e corse verso il frigo, stappò una bottiglia di vino e si versò un bicchierone pieno di bianco frizzante. Si fumò una sigaretta in terrazza, sorseggiando il frizzantino, con lo sguardo di nuovo verso il cielo. Nubi nere coprivano e scoprivano ogni manciata di secondi il sole, che si vedeva laggiù verso il centro, laggiù ci stava il pilastro con il sole.
Ogni tanto, quando c’era molto vento, lo si poteva scorgere: la torre fatta di pietra e acciaio, costruita nel 2020, ricoperta di lastre vetro con cornici di legno, con sopra in punta la grande sfera arancione. Un grande lampione elettrico che si ergeva in mezzo al centro della Città. Da quando il sole se ne era andato, oscurato dai mille strati di nuvole che coprivano i primi strati dell’atmosfera, la terra richiedeva un’altra fonte di luce, per rimandare almeno di un po’ un collasso mondiale. L’Unione dei governi uniti, nonché quei pochi capi di stato delle ormai vecchie nazioni che sono sopravvissuti alla Generalissima Guerra, insieme a quella decina rimasta di ingegneri e scienziati di fare un altro sole, fatto dall’uomo. Fu cosi che nel 2021, il sole di diamante iniziò a dare luce, sotto il cielo nero. Felix ancora non era nato, quando gli operai completarono il sole meccanico. A 21 anni di età, il pilastro del sole, lo aveva solo visto dalla terrazza, proprio come in quel momento. Gli venne il dubbio di quanti soldi poteva avere di là, nell’armadio. Entrò in sala, scostò la tendina di stracci, ed entrò in camera sua. Aprì l’unica anta dell’armadio, quella giusta, e prese la scatolina di metallo che stava sotto le mutande. La aprì e rimase folgorato dal notare che aveva solo una carta da 5. Neanche un hamburger per strada. Doveva fare su qualche soldo, tutti in casa devono contribuire al pagamento della enorme “tassa sulla presenza”. L’esistenza costa ogni mese dei salti mortali per poterla avere ancora un po’. Prese la sedia, la posizionò davanti alla scrivania e tolse il panno da sopra alla macchina da scrivere. Mise un foglio bianco nel rullo, si scrocchiò le dita, e iniziò a scrivere. Stava a testa bassa sulla tastiera, con le dita che con grande frenesia battevano sui tasti, e il rullo mitragliava nella stanza. Si accese varie sigarette, sempre senza alzare mai lo sguardo, e continuò per un’ oretta filata. Dopo aver concluso, prese la ventina di fogli che aveva prodotto e corse fuori di casa giù per le scale. Arrivato fuori iniziò a correre, passando a fianco allo scooter, e prese tre o quattro viuzze a destra e sinistra, per finire in una piazzetta gremita di gente. La piazza era circondata da camionette della polizia piene di sbirri con giubotto antiproiettile e manganello in mano. C’erano i tipi più disparati di persone della Città concentrati nello stesso posto: un indiano che suonava una chitarra seguito da un cinese alla voce con “You’re beautiful”, un pezzo di almeno quarant’anni fa; poi si passava ai mimi francesi e ai ballerini brasiliani, i venditori di scope tedeschi, gli armaioli cinesi, i fiorai giapponesi e altri mille folli.
Felix girò un po’ in mezzo alla folla di persone che vagavano per la piazza, e poi trovò un buon punto libero per fermarsi. Prese due mattoni dal muretto crollato li a fianco, e fece un piedistallo per mettersi in piedi sopra. Iniziò a leggere le poesie scritte a macchina ad alta voce, con gli occhi chiusi, in piedi sopra il piedistallo di mattoni. Leggeva poesie d’amore, di tutti i tipi: di amore non corrisposto, di amore folle, di amore da sesso, di amore di fratellanza, di amore eterno, di amore solo, di amore mai visto, di amore scordato, di amore che ancora esiste, e di amore che muore. Una donna sulla cinquantina, ma per Felix di età indefinibile, si fermò davanti a lui per qualche minuto ad ascoltare le sue poesie. Poi gli toccò la spalla:
“Per queste ultime tre, quanto me le fai?” gli disse con un filo di voce.
“10 carte” gli rispose Felix distogliendo lo sguardo dal vuoto per posarlo su di lei.
“Affare fatto giovane. Sei davvero bravo, vengo spesso ad ascoltarti. Anche se è poco, cerco sempre di poter comprare i tuoi testi. Per fortuna ci sono ancora persone come te” disse allungandogli dieci carte.
“Cerco di fare quello che so fare per vivere” gli rispose Felix con un sottile velo di malinconia, prendendo le carte dalle mani della signora.
La signora lo guardò ancora per un po’ mentre si allontanava dal piedistallo, poi si perse nella folla.
Da un altro punto della folla apparve una ragazza, ricci mori, il viso pulito e i denti splendenti, emergere dalla gente e avvicinarsi al piedistallo di Felix.
Si fermò davanti a lui a guardarlo. Felix si accorse di lei dopo un po’, e rimase un attimo di sasso di fronte alla sua presenza. La guardò con occhi innocenti, colti alla sprovvista, sinceri come la paura.
“Bè, tu non leggi poesie?” esordi di colpo la ragazza.
“Subito, signorina” gli rispose Felix senza distogliere lo sguardo, era troppo attratto, stava assorbendo la sua figura per dargli la forza di leggere.
“Ti ho vista arrivare dalla luce,
tu mia divina,
ti ho vista arrivare dalla luce.
Dalle nubi,
sei saettata quaggiù,
e hai colto me.
I miei occhi ti hanno preso per sempre,
mai te ne volerai di nuovo nel cielo:
Io sarò il tuo cielo e tu la mia stella.”
Poi rialzò lo sguardo verso il vuoto.
La ragazze rimase lì per qualche attimo persa anche lei nel vuoto, per poi guardare Felix eretto sul piedistallo. Una lacrima gli rugò il viso. Felix la vide, scese dal piedistallo e riuscì a tenerla con l’indice. Gli sorrise, gli mise gli occhi sugli occhi, fino a scorgere sfumature e macchie e colori. Distolse lo sguardo per prendere dalla tasca una penna e un pezzo di carta, ed iniziò a scrivere con forza, poi lo firmò e lo porse alla ragazza. Ella guardò il foglio e riconobbe subito la poesia appena cantata. Sorrise di nuovo: Felix non l’aveva scritta prima di arrivare alla piazzetta. Lei gli posò la mano sul petto, in mezzo, e gli regalò un altro sorriso. Felix fece per allungare la mano verso di lei, ma ormai si era voltata e con un cenno della mano se ne tornava in mezzo alla folla. Felix ci rimase un bel po’ male, e il grande gonfiore che aveva in mezzo alle gambe lo dimostrava. Era quasi insopportabile, se lo muoveva dando dei colpi sentiva vampate di goduria. Scese dal rialzo di mattoni, scavalcò il muretto distrutto, e corse giù per un vicolo fino ad arrivare ad un gruppo di bidoni della spazzatura alti tre metri. Si posizionò dietro all’ultimo cumulo, si slacciò la cintura, e si tirò giù jeans e mutande. Iniziò a menarselo per bene, prima solo la cappella, poi con delle tirate belle potenti fino in fondo. Teneva gli occhi chiusi, serrati, con la bocca aperta verso l’alto. Nel buio delle palpebre chiuse vedeva la ragazza, che sotto di lui a occhi chiusi gemeva graffiandogli la schiena. Aumentò il ritmo, la ragazza gemeva di più. Poi insieme. Poi Felix ansimò forte per un minutino, si tirò su jeans e mutande, accese una sigaretta e tornò verso la piazza.
Servivano altri soldi. Servivano altre donne di altre generazioni che hanno letto libri in gioventù. Servivano anziani che lavoravano come insegnanti nel vecchio regime. Servivano ragazze culo e tette per un po’ di piacere. Servivano occhi luccicanti d’oro e di mondo per avere un po’ di amore.
Serviva della vita, una piccola briciola non ancora mangiata dai Grandi.
A Felix serviva la Vita.
Riprese posizione sopra il piedistallo di mattoni, e cominciò a rovistare tra i vari fogli in cerca di qualche buona poesia che potesse piacere al pubblico della piazza. Ne trovò una molto violenta, un urlo di protesta, un grido di dolore contro la sua esistenza vuota e misera, una richiesta di aiuto ad un destino che ancora non lo ascoltava, la possibilità di andarsene da quell’inferno.
“Quand’è che mi ascolterà?
Sono ormai anni,
settimane,
giorni,
minuti,
secondi,
che grido il tuo nome:
destino dove sei?
Aiutami ti prego,
perché qui non resisto.
Il mondo si sta piegando sopra di me,
e il tempo inesorabile sta invecchiando
la mia voglia di vivere,
fino a farmi odiare la terra che calpesto.
Dove sei mondo,
che io non ti vedo?”
Mentre Felix leggeva e rileggeva la poesia, un alone di fumo puzzolente penetrò attraverso i suoi fogli e gli si stampò in faccia.
Alzò lo sguardo dai fogli, e vide un uomo in piedi sotto il piedistallo che stava fumando un vecchio sigaro odoroso. L’uomo indossava un trench giallo canarino lungo fino alle ginocchia, un cappello borsalino che gli copriva la fronte, e guanti di pelli neri lucidi. Alta società, questo fu il primo pensiero di Felix notando le vesti dell’uomo.
“Ha bisogno di qualcosa signore?” chiese Felix con un cenno di strafottenza. Non gli piaceva quel tipo di abiti: erano il simbolo della classe dirigente imperante, di quelle persone che avevano reso cosi dura e impossibile l’esistenza, che avevano distrutto i sogni di una qualsiasi ambizione per un ragazzo qualunque con un talento.
“Tu sai scrivere ragazzo, è già diverso tempo che passo di qui per ascoltarti.” Rispose l’uomo togliendosi il cappello e dando una lunga tirata al sigaro.
“Scrivi grandi poesie, ma sai benissimo anche te che la letteratura è morta da un pezzo. Però sei bravo con le parole, potresti fare qualsiasi cosa con quelle.” Aggiunse l’uomo con un velato sogghigno.
“Che cosa sta cercando di dirmi?” chiese Felix curioso. La sua arroganza stava calando: quell’uomo misterioso doveva aver qualche motivo particolare per fermarsi a parlare con un poeta straccione come lui.
“Calmo giovane, adesso arrivo al dunque.” L’uomo diede un’altra grande tirata al sigaro, e rovistò nelle tasche in cerca di qualcosa. Ne tirò fuori un distintivo di pelle marrone, con un grande stemma dorato sul centro.
“Sono il direttore della sezione giornalismo al Supremo Ministero della Propaganda e Informazione, il mio nome è Sir Francis Bowman. Tu sai scrivere, giovane. Voglio che lavori per me, come giornalista in redazione, a tempo pieno. Avrai una paga fissa, avrai una bella casa in centro, avrai una macchina, avrai belle donne e buona cocaina. Ti sto dando la possibilità di uscire da questa merda in cui vivi. Ti sto aprendo la porta verso un mondo che hai sempre visto da lontano e che hai sempre sognato. So che odi tutta la classe dirigente, il mondo, i capi eccetera eccetera, ma lo fai per il semplice motivo che non ci sei dentro, perché vorresti essere al loro posto, a godere le loro ricchezze. Ora ti sto dando la possibilità di cambiare canale, un pulsante che cambierà la tua vita.”
I fogli di poesie caddero dalle mani di Felix e volarono scortati dal vento verso i tetti delle baracche della piazza. Felix rimase a bocca aperta immobile. Era completamente spiazzato. Mai era stato cosi confuso, non gli si era mai presentata un occasione del genere. Aveva una chance, quell’agoniata chance che aspettava da tutta una vita. E gettarla al vento, come i fogli di poesie, sarebbe stato un errore imperdonabile.
“La sua è una grande offerta. Ma io sono uno scrittore, e sono anche una persona. Ed essendo una persona, ho anche una personalità. Io voglio tutto quello che lei ha detto: voglio una possibilità per andarmene di qui, voglio godere per bene, voglio bere roba buona, voglio scopare quando cazzo mi pare, voglio avere un tetto riparato sopra la testa, voglio avere la sicurezza di poter sopravvivere ogni giorno. Però, sono una persona. E ho una personalità. Voglio avere libertà di stile, cioè che il tema e gli argomenti sono di vostra scelta, anche se dovessi fare qualche gioco psicologico per dissimulare l’informazione alle masse, ma l’importante che lo stile sia mio. Voglio che sia la mia e solo mia tecnica a scrivere la vostra merda.” Rispose Felix tutto in un colpo, senza prendere fiato, con la faccia paonazza per lo sforzo. Mossa molto avventata la sua. Era una risposta molto rischiosa, ma se doveva proprio farcela, lo voleva fare a modo suo.
L’uomo rimase qualche istante in silenzio, prese l’ennesima tirata dal sigaro, e dopo una sonora risata rispose:
“Me l’aspettavo una risposta del genere, giovanotto. Sei uno scrittore, sei un “romantico” dei vecchi tempi. Io ne ho letti di libri amico mio, e ne conobbi di scrittori quando ero giovane. Conosco il vostro carattere, siete dei sognatori, un po’ degli illusi ecco. Però ti capisco. Accetto la tua condizione. Lo stile rimane tuo, rimarrai te stesso. Non saranno le tue poesie, sarà come la chiami te “merda per le masse”, ma a scrivere sei tu e con il saperlo fare. Tu ami scrivere, e ami il tuo stile, i tuoi modi, i tuoi giochi di parole. E ora lo farai per la mia redazione.” L’uomo emise un’altra sonora risata e porse a Felix un bigliettino di plastica.
“Presentati domani mattino all’indirizzo scritto nel mio biglietto da visita. Ti daremo l’alloggio, le chiavi della macchina, un guardaroba nuovo e un piccolo anticipo. Poi nel pomeriggio inizierai a lavorare in redazione. So che non mancherai, quindi a domani giovane!” disse spegnendo il sigaro per terra con la scarpa di pelle lucida. Poi si dileguò da dove era venuto nei meandri della piazzetta.
Felix rimase in trance per qualche minuto ad osservare il biglietto da visita di Francis Bowman, direttore della sezione giornalismo al Supremo Ministero della Propaganda e Informazione, colui che gli aveva dato il telecomando con il tasto “cambia la tua vita e vattene da sta merda”.
Le lacrime iniziarono a scendere sul suo viso, fino a cadere a terra, come una cascata in piena. Ce l’aveva fatta. Felix aveva trovato la vita.
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