Le Bestie stanno arrivando – Intervista a Francesco Motta dei Criminal Jokers


È l’ultimo anno delle scuole superiori per Francesco Motta, e col chitarrista con cui suonava allora, durante un corso di orientamento per l’università, concepisce il nome Criminal Jokers. Appellativo col quale non solo chiama un gruppo, ma più in generale indica la via traversa, l’alternativa: a un percorso di studi, o magari a un lavoro poco appagante.

Col passare del tempo si stabilizza una formazione con Francesco Motta alla batteria e alla voce, Francesco Pellegrini alla chitarra e Simone Bettin al basso; viene prodotto un bel disco in inglese, e pian piano quella via traversa diventa strada principale.

Poi, dopo due anni trascorsi a suonare come band di accompagnamento prima del Pan del Diavolo, poi di Nada, quella formazione torna con un nuovo componente, Alice Motta (sorella di Francesco, a tastiera, violoncello e cori), e un nuovo disco, dal titolo molto suggestivo: “Bestie” (42 recors). Ben diverso dal precedente “This Was Supposed to be The Future”, “Bestie” ha l’intenzione di essere più barocco, per stessa ammissione della band. Molto vario e meno istintivo a livello musicale, acquisisce una comunicatività più diretta sul piano delle liriche, in quanto i testi sono in italiano.

Ora finalmente, dopo due date di presentazione in anteprima del disco nelle prime settimane del luglio scorso , i Criminal Jokers stanno finalmente portando “Bestie” in tour per l’Italia. La prossima tappa sarà il Barrumba di Pinarella di Cervia (RA), mercoledì 31 ottobre, per il primo e finora unico Bitch Party autunnale, organizzato da Retro Pop in collaborazione con Monogawa.

Come di consueto, in attesa dell’evento, ho il piacere e l’onore di scambiare qualche parola con gli artisti che calcheranno il palco del Barrumba.
Ecco cosa è emerso dalla chiacchierata con Francesco Motta, batteria e voce dei Criminal Jokers.

 

Dall’ascolto del disco emergono alcuni elementi ricorrenti nei testi, come la faccia, le immagini forti e apocalittiche, il dolore, lo smarrimento. Da dove arriva l’esigenza di insistere su questi elementi?

Il parlare di queste cose non era programmato.
Mi sono guardato e ho trovato gli elementi che citavi, che non sono rassicuranti. Poi mi son messo a scrivere, e pian piano ho trovato appagante questo modo di ripetere alcuni concetti.
Il filo conduttore tra tutte le canzoni è il fatto che le ho scritte io, e che parlano di me. È stata anche un po’ una prova, capire quale modo di scrittura mi appagasse di più.

 

Agli altri componenti della band non piace dedicarsi alla scrittura di testi, visto che in questo album sono tutti tuoi?

Nel primo disco hanno scritto un testo Francesco Pellegrini e uno Simone Bettin. All’inizio avevamo provato io e Francesco a scrivere a quattro mani. Ma per me il fatto di cantare le canzoni è strettamente legato al fatto di scriverle: è veramente difficile cantare canzoni scritte da altri. Quindi è venuto da sé. Gli altri scrivono cose per conto loro.

 

Oltre a scrivere le liriche, tu sei la voce della band; inoltre hai curato la produzione del disco, e sei tu che rilasci le interviste. Insomma, l’attenzione è molto concentrata su di te. Si tratta di una cosa che nella band vivete serenamente?

Sì, è una questione di organizzazione. Per esempio, per quanto riguarda le interviste, alle domande sui testi posso rispondere solo io. Ora, il fatto di ricevere domande sui testi mi fa piacere; prima non accadeva mai: sono stati davvero rari i casi in cui mi è stato chiesto di cosa parlassero i testi in inglese. In Italia succede che appena si scrive in italiano, si creano gerarchie automatiche su chi canta e il resto del gruppo. È vero che oltre ai testi, io mi sono occupato più degli altri della produzione del disco, però più andiamo avanti, più la musica per noi si fa una faccenda seria, e sta diventando un lavoro. Perciò ognuno ha il suo ruolo, e pensa alle sue cose che non sono meno importanti di altre. E va bene così.

 

In effetti gli elementi ricorrenti, per esempio, si riscontrano nei testi, mentre dal punto di vista strumentale lo trovo un disco molto vario, indice che la sua realizzazione ha visto l’apporto di tutti. Quindi immagino che ognuno abbia un ruolo, anche in questo senso.

Passando ad altro, leggevo in un’intervista che l’ingresso di Alice nella band «era quello che mancava per rendere tutto perfetto». Intendevi dal punto di vista musicale, visto l’apporto a livello strumentale che porta, o anche dal punto di vista affettivo, considerando che è tua sorella?

Adesso sono circondato dalle persone cui voglio più bene in assoluto, quindi è una fortuna.
Alice non solo è mia sorella, ma è proprio il mio complementare, soprattutto sulla voce, sul modo di cantare e suonare. Quindi il suo ingresso nella band è stato utile sia a livello musicale, che di atmosfera, di aria che si respira nel furgone, e tante altre cose. Poi mia sorella è stata la persona che quando ascoltavo musica pessima mi ha fatto la cassetta con Pixies e altre band, consigliandomi di cambiare rotta. Quindi i Criminal Jokers esistono anche per colpa sua.

 

Leggendo interviste e vedendo il modo in cui comunicate “Bestie” attraverso i vostri canali, si coglie molta soddisfazione da parte vostra su questo disco.

Sì, è vero, ora che ho un po’ di lucidità posso dirmi soddisfatto.
Ma il giorno in cui l’abbiamo finito non solo non ero contento, ma mi sembrava non andasse bene nulla: ero un po’ perso. Ora, riascoltandolo, penso che fondamentalmente più di così non potevamo fare.

Il mio problema è stato che prima di registrare il disco avevo quasi tutto in mente: si trattava solo di avvicinarsi il più possibile a ciò che avevo concepito. In effetti il lavoro finito si avvicina davvero tanto a quello che avevo in mente, ma è stato un percorso inerziale, che ho vissuto un po’ male. Mi spiego meglio: sapevo quale fosse l’obiettivo, quindi da una parte il lavoro è stato facile, perché concretamente abbiamo dovuto solo fare e registrare, però ci sono stati momenti in cui mi sarei voluto stupire ed emozionare di più. Non che non sia successo, ma in altri casi è accaduto con più frequenza e intensità.

 

Data la soddisfazione che appunto comunicate, mi chiedo se riteniate di avere margini di miglioramento.

Sicuramente sì. Più passeranno giorni e mesi, più emergerà materiale nuovo per un disco che sarà senza dubbio diverso dai precedenti. La cosa che mi piace di noi è che potenzialmente possiamo fare quello che vogliamo: dal primo disco non dovevamo confermare niente a nessuno, né a noi, né a chi lo aveva ascoltato. E questo succederà anche per il terzo disco. Abbiamo piena libertà di fare un disco come vogliamo, con lo stile musicale che più ci aggrada, o nella lingua che preferiamo.

I margini di miglioramento si vivono, non bisogna pensarci troppo. E dei momenti in cui non ci si pensa si fa poi resoconto mesi dopo, come è accaduto per l’esperienza con Nada. Durante il tour eravamo sempre in giro, e non ci rendevamo davvero conto di quello che stava succedendo. Ora, ripensandoci, tornando col nostro tour e ridimensionandoci come Criminal Jokers, ci siamo guardati indietro e abbiamo realizzato di avere imparato tantissime cose.
Sicuramente ci sono margini di miglioramento. Penso ci saranno per sempre.

 

Tu hai appena citato Nada, che avete accompagnato in tour fino alla fine dell’estate scorsa. Non è stata la sola occasione in cui avete fatto da band di accompagnamento. È un’esperienza che ripetereste in futuro?

Sicuramente sì.
È due anni che suoniamo pezzi degli altri, quindi ora ci concentriamo sui nostri.

Abbiamo imparato a farlo e torneremo a farlo, ma non per tutti. Abbiamo avuto fortuna a collaborare con Pan del Diavolo e Nada, che sono tra i miei 5 gruppi italiani preferiti. Quindi sicuramente succederà di nuovo, con loro o con qualcun’ altro. Di certo non con chiunque.

 

Tu hai un modo di suonare molto particolare, uno stile di performance scenografico: suoni la batteria da in piedi e canti in modo molto viscerale.

La visceralità è dovuta al fatto che mentre canto e suono, sto facendo esattamente ciò che voglio e desidero di più fare. Ma quella stessa visceralità non c’è anche nella vita, una volta sceso dal palco. Mentre sul palco faccio un po’ come voglio.
Per quanto riguarda la batteria, l’ho sempre suonata così, in piedi. Non so suonarla in altro modo.

 

Come è nato e cosa significa il nome Criminal Jokers?

È nato con il chitarrista con cui suonavo anni fa, quando stavamo facendo un corso di orientamento per l’università.
Non ha un significato vero e proprio, ma è il nome con cui indicavamo la via traversa, l’alternativa: «o fai l’università, o sei un Criminal Joker».

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