La Festa di Springsteen


Ho detto festa, non concerto. Sì, perché quello che ho visto allo Stadio Franchi di Firenze il 10 Giugno, non si poteva descrivere in altro modo.

Un brano più coinvolgente dell’altro, una scaletta lunghissima con ben 33 brani, per un totale di 3 ore e mezza di concerto, sotto un’incessante pioggia. Molti i brani tratti dall’ultimo album “Wrecking Ball”(7 in tutto) tra i quali We Take Care of Our Own e Death to my Hometown (registrate in studio con il chitarrista Tom Morello), che per nulla sfiguravano di fianco a tutti i successi del boss, tutto condito dai grandi musicisti dell’infallibile E-street band, accompagnata da una sezione fiati sontuosi e coriste fantastiche. Quella sera, 40 mila persone hanno visto uno show unico e irripetibile, di quelli che difficilmente si scordano: niente effetti speciali alla Spielberg, ma solo tanta musica e tanta emozione.

La Festa inizia fin da subito, il boss si presenta sotto le note di Ennio Morricone, e attacca con alcuni dei suoi brani più celebri quali Badland e No Surrender:  il pubblico è già in visibilio, così come lo stesso Springsteen che, in splendida forma, si agita come un forsennato. Subito inizia a cadere qualche goccia dal cielo, ma quasi non ci si fa caso; c’è chi si è dimenticato di avere il k-way e l’ombrello: gli occhi sono tutti puntati sul boss e sulla fantastica E-street band.

Siamo a concerto inoltrato e più passa il tempo, più l’instancabile Bruce non accenna a cedere e a fare pause,anzi, non sta quasi mai sul palco con la band; salta,corre, scherza di continuo con il pubblico, accetta doni, accoglie richieste improvvisando canzoni  (tra le quali Burning love di Elvis). Cerca un continuo contatto con il pubblico, quello vero, senza gorilla pronti ad intervenire.

E’ già un concerto memorabile, ma non finisce qui, perché siamo solo a metà; la pioggia si fa sempre più insistente, e Bruce parte con le note di Waiting on a Sunny Day (che trovate in allegato), lasciando pure il microfono ad un bambino preso tra la folla, facendogli cantare il ritornello. Subito dopo parte il momento più intimo,sulle note di alcuni dei suoi più grandi classici: The River e The Rising. Compaiono luci di mille accendini, tutti cantano a squarcia gola; il boss in quel momento è tutt’uno con il pubblico, l’amalgama che si crea è magica e totale.

Il concerto termina con Rocky Ground. Ma mentre la pioggia diventa nubifragio, tutti richiamano il Boss sul palco a gran voce, anche se bagnati fino alle ossa. E lui torna. Dopo neanche 2 minuti, fradicio anche lui e regala ai fan i suoi successi più conosciuti, Born in the Usa, Hungry Heart, Seven Night to Rock e ci si scatena. Mentre qualcuno inizia a battere in ritirata sulla curva Fiesole, arriva Dancing in the Dark con l’immancabile ragazza fatta salire sul palco a ballare con Bruce. Al finire di questa canzone il boss annuncia di voler terminare il concerto.
Ma il pubblico non ci sta
. Tutti lo incitano, anche se gli avevano già portato via la chitarra. Lui si ferma, fissa il pubblico, riacciuffa il tecnico che gli passa accanto, imbraccia ancora una volta lo strumento, e dopo un sorriso beffardo esclama «You are fuckin’ diehards!». Richiama tutti sul palco e regala un Twist and Shout da 7 minuti al pubblico in visibilio, che balla e canta sotto la pioggia. Al termine di questa intona una cover dei Creedence, che sembra fatta apposta per esorcizzare questa maledetta pioggia che non smette di cadere. Con Who’ll Stop the Rain, si chiuderà l’indimenticabile serata. Non ha fermato la pioggia Bruce, ma di certo non l’ha fatta sentire a tutte le persone presenti allo stadio Franchi. Ritorno a casa in macchina stanco, bagnato fradicio, ma felice: non ho solo visto un concerto, ma ho visto, mi sono goduto e ho partecipato finalmente alla migliore performance di uno degli artisti che hanno segnato la storia della musica degli ultimi anni.

Tra tutte le cose che ho pensato a fine concerto è come a 63 anni si riesca a fare uno show del genere. Ha dimostrato una passione e un amore per la sua musica tale che l’entusiasmo ed il divertimento di Bruce superasse quasi quello del suo pubblico, concedendosi ai suoi spettatori sia come performer che come essere umano allo stesso tempo. Un sorriso stampato sulle sue labbra dal primo all’ultimo minuto, anche quando la bufera si è abbattuta sullo stadio, non si è tirato indietro ed è stato sempre fuori dal palco a condividere ogni singola goccia di pioggia con il pubblico, cantando sempre più forte con lui. Un contatto con il pubblico che mai avevo visto prima d’ora.

Certo, chitarristi come Bruce Springsteen, o il “Little Steven” Van Zandt dell’E-Street Band non fanno certo spicco per la loro tecnica o per le loro chitarre (tra tutte la leggendaria Fender Telecaster ’52 Blonde di Bruce) o per le ricche composizioni, ma per qualcosa che si può, e si deve ricercare in altri modi. Born in the USA alla fine sono 3 accordi, ma hanno tenuto tutte quelle persone sotto il nubifragio a ballare e saltare, anche dopo 3 ore e mezzo di concerto. Perché? E qui mi sono risposto con una cosa che mi disse il mio maestro tempo fa, quando mi abbattevo nel cercare di fare cose sempre più complesse: “non importa che tu faccia mille note. Basta che ne fai solo 3, ma fatte con il cuore, la passione e le interpreti con tutto te stesso. E’ così che nascono le grandi canzoni ed i grandi artisti”. La dimostrazione l’ho avuta quella sera. Non basta la tecnica, il suono, la chitarra e l’ampli. Tutto parte da noi, da quello che siamo e sappiamo trasmettere. E’ stata una bella lezione Bruce, Thanks a lot!

1 comment

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  1. Giuliano Russini

    Trovo grottesco definire Bruce Springsteen e Steve van Zandt, non eccellenti chitarristi, o che non hanno chitarre da ricordare, Springsteen nel tour di The Gost of Tom Joad, si presentó con 21 chitarre sul palco, la più economica costava 5.000 dollari. Chi parla così probabilmente non conosce Springsteen, non ha mai suonato la chitarra etc. Guardi/no gli assoli e la complessità strutturale di Born to Run, Kitty is back, o Its hard to be a Saint in the City! Born in the USA si ha tre accordi, ma Born to Run o Rosalita (Come out tonight) hanno così tanti accordi di 9-12 esima, diminuiti e armoniche aperte, da gareggiare con la musica Jazz!

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