Scrivere a mano nel 2012, una scelta anacronistica?


Durante le presentazioni del mio libro, o spesso anche rivolta da amici e conoscenti per strada o al bar, prima o poi arriva sempre la fatidica domanda: “Tu scrivi a mano o a computer?“.

Rimango sempre un pò interdetto prima di rispondere, perché non è una domanda facile. E’ un quesito che investe un anbito molto importante e delicato del lavoro di chi scrive: il mezzo tramite il quale lo fai, mediante cui trasmetti quello che vuoi dire al mondo esterno, a chi ti segue e ti apprezza e anche a chi non ti può proprio sopportare. Troppo facile rifugiarsi nella celeberrima affermazione di Marshall McLuan, “Il medium è il messaggio”, per cercare una spiegazione evasiva e altisonante che chiuda la questione lasciandola in un incerto relativismo.

La risposta che do solitamente a una domanda come questa è: “Utilizzo entrambi i mezzi. La penna, l’odore dell’inchiostro sul foglio di carta robusta ti permette di pensare e soppesare ogni parola, ogni virgola e segno di interpunzione e ti fa quasi respirare quello che scrivi. Ma se la storia non è agile, se – diciamolo pure – non è la storia migliore che io abbia mai pensato ma è solo una storia carina, allora la carta e la penna mi bloccano. Non so come proseguire. Sarà che non riesco a scrivere rapidamente con una penna in mano, perché la impugno nel modo sbagliato, afferrandola con tutta la mano e stringendola tra tutte le dita come quando afferro un bastone sul bagnasciuga. Sarà per questo, ma quando cerco la velocità, il ritmo, mi riparo nella videoscrittura. La vera fortuna è stata riuscire ad imparare, nell’arco di due mesi di esercizi quotidiani ed estenuanti, la scrittura “a tastiera cieca”, cioè senza guardare i tasti mentre li premi. Le mani conosocono a memoria la loro posizione e si muovono da sole, un filo diretto con il tuo pensiero, una connessione ADSL perenne e prodigiosa, senza limiti massimi mensili. Il crocchiare delle mani sulla tastiera, le parole che nascono come un fiume sinuoso sul foglio bianco in rapida progressione, questo è quello che serve perché una storia che inizialmente non convince vada avanti, prosegua e cresca per trovare un contenuto che possa piacermi. E molte volte succede così, altre volte – raramente – no e dunque forse è il caso di abbandonare la storia, o lasciarla a periodi migliori.”

Insomma, ecco la mia risposta. Uso entrambi i mezzi, penna e computer. Ovviamente, la fase di correzione la si fa a computer, perché vuoi mettere la comodità del correttore automatico, della formattazione e degli interventi puntuali che ti consente di fare il computer sul testo? E poi penso a quando, prima dell’avvento dell’informatica, gli scrittori battevano a macchina i propri manoscritti e dovevano stare attenti a non commettere errori, perché costava tempo correggerli e non bastava la semplice pressione di un tasto. Penso alla fatica e alla concentrazione che servivano e capisco quanto gli scrittori moderni abbiano davvero la strada spianata, per quanto riguarda la strumentazione per potersi esprimere.  Ah, dimenticavo. Questo pezzo, prima di ricopiarlo in formato informatico e caricarlo, l’ho scritto a penna sulle grandi pagine bianche di un vecchio quaderno delle elementari. Accostatevi allo schermo, ora. Lo sentite ancora l’odore dell’inchiostro?

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6 Comments

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  1. Matteo Veronesi

    Io, personalmente, mi trovo in una situazione strana e ridicola. Incerto se scrivere a mano o al computer, spesso mi blocco e non scrivo affatto. Non sto scherzando.
    Ho una miriade (un mezzo armadio pieno) di splendidi e costosi quaderni di Fabriano che resteranno, temo, immacolati. Sono troppo belli per usarli, del resto. Tutto ciò che esiste non è forse una macchia colpevole nella beata perfezione del nulla?
    Dopo aver scritto un testo a mano, poi, talvolta passano mesi prima ch’io trovi la determinazione e la voglia di batterlo al computer.
    Alla base di tutto c’è, forse, la paura di scrivere. O meglio di pubblicare, di comunicare.
    La pagina di carta è come un esile schermo che mette al riparo (illusoriamente) dal rischio dell’incomprensione o del rifiuto da parte del potenziale lettore.
    E l’incertezza che impedisce di mettere mano allo scritto è un pretesto per evitare la sfida con la materia verbale, con l’atto della scrittura e tutti gli infiniti problemi che esso pone.
    Paradossalmente, però, ora sto scrivendo. Al computer.
    “Io sto mentendo”.

  2. Fabio Pirola

    Ciao Matteo,ti sei già risposto da solo e sono d’accordo con te: affrontare un testo e “definirlo” (nel senso etimologico del termine) comporta sempre uno sporcarsi, un mettersi in gioco e quindi esporsi al bello e al brutto tempo. Poi c’è da fare un altro discorso, ovvero non è obbligatorio diffondere i propri scritti né tantomeno pubblicarli: uno può tranquillamente tenerli per sé, e sarà comunque uno scrittore. Soltanto, lo sapranno meno persone.

  3. Raffaele

    Io studio giurisprudenza e ho l’abitudine di fare una sintesi dei libri che studio. Successivamente scrivo tutto al pc e ripeto. Vi chiedo, secondo voi è una perdita di tempo?

  4. Fabio Pirola

    Io mi sono laureato nella tua stessa facoltà e anch’io facevo così, soltanto i miei riassunti erano su cartaceo – manco a dirlo 😉 – e non su pc. Data la pesantezza di certi esami e dei relativi libri, mi sembrava l’unico modo per riuscire a cavarmela.

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