La Zurda – Intervista alla band di Buenos Aires


Primo live di respiro internazionale per l’estate del Retro Pop a Pinarella di Cervia (RA).
Questa sera al Barrumba arriva infatti La Zurda, band di Buenos Aires che mescola al rock la tradizione argentina più radicata, e tanti richiami a diverse culture del mondo, in un esplosivo mix che bolle in olla da 15 anni.

In vista del concerto che terranno stasera al “Bitch Party”, come sempre organizzato da Retro Pop in collaborazione con Queens, (Qualcosina)², Party’n Stazione, Monogawa Back to Gawa, aperto dai Mamasita e seguito da festa danzante, abbiamo scambiato qualche parola con Emanuel, cantante del gruppo. Soffermandoci sull’identità della banda. Balzando dall’italiano allo spagnolo senza soluzione di continuità.

 

La “zurda” in italiano significa “mancina”. Perchè la parte sinistra vi rappresenta a tal punto che avete scelto questo nome per la band?

La zurda, la parte sinistra appunto, è una parola dialettale della tradizione del tango di Buenos Aires, e indica la parte dove sta il cuore, quindi il sentimento. La parte non ufficiale, la parte alternativa. La parte dell’arte, quella che meglio rappresenta noi e il nostro modo di concepire la musica.

 

Il nucleo pricipale del gruppo è composto da tre elementi: tu, Juan Manuel alla chitarra e Leonel alla batteria. Come vi siete conosciuti, e come è nata la band?

Noi siamo amici da quando eravamo piccoli, abitavamo nello stesso barrio (quartiere), situato nella zona ovest di Buenos Aires. Sin da bambini suonavamo, e abbiamo stretto una forte amicizia. Condividevamo il modo di manifestare il sentimento, attraverso l’arte, quindi abbiamo fondato il gruppo.

Quest’anno compiamo 15 anni come band e stiamo festeggiando con un tour. Siamo stati in Venezuela, in vari stati dell’America Latina, in Messico, ovviamente in Argentina. E non a caso il tour si chiama “Quince Años” (quindici anni).

 

Qual è il vostro background musicale? Con quali artisti siete cresciuti?

Innazitutto noi siamo influenzati un po’ da tutto, non solo dai musicisti. Per esempio, una cosa che riteniamo molto importante è il viaggio, e il conseguente incontro con diverse culture, persone differenti.
Per quanto riguarda gli ascolti, ascoltiamo di tutto, a partire dalla musica autoctona argentina che ha radici precolombiane, risalenti quindi a prima dell’arrivo degli spagnoli in America. Da lì in poi abbiamo ascoltato tutto. Poi c’è il rythm & blues, John Lee Hooker; Carlos Santana; il reggae e Bob Marley; l’hip-hop, la musica elettronica. Tutto questo lo mettiamo dentro a una grande pentola, e giriamo tutto con un cucchiaio.
Per questo noi non seguiamo un genere preciso.
Per noi la musica è questo. È tutto. Così, non siamo influenzati solo da artisti, ma da tutte gli aspetti della vita: dal mondo intero.

 

Siete venuti in Europa altre volte, quindi immagino che anche i viaggi nel nostro continente siano stati d’ispirazione.

Sì, è l’ottavo anno che veniamo in Europa.
È un continente musicalmente molto ricco, in particolare c’è tanta musica antica.
Noi, attenti a scoprire il folklore di ogni paese, apprezziamo molto la tarantella, dell’Italia del sud; la musica balcanica, ma anche la musica elettronica.

Il viaggio è sempre grande occasione di conoscenza. Ora qui in Italia stiamo incontrando persone nuove, musicisti, culture e strumenti musicali differenti.

 

Leggevo nella vostra biografia che avete collaborato coi Negrita durante la registrazione del loro disco “HELLdorado”. Com’è nata la collaborazione?

Noi li abbiamo conosciuti in Argentina – non ricordo esattamente quanti anni fa – poi nel 2007 circa sono tornanti a registrare il disco, e noi stavamo lavorando lì, così abbiamo conosciuto tutti: Pau, Drigo, Cesare, Frankie. Siamo diventati buoni amici. Condividiamo tante cose dal punto di vista musicale, ed è stato davvero molto importante averli incontrati nel nostro viaggio della musia.
Poi il nostro ultimo disco lo abbiamo registrato in Italia, a Capolona, nello studio dei Negrita, con la produzione di Fabrizio Barbacci, loro produttore. Un vero e proprio scambio musicale. Pau e Drigo hanno collaborato in una nostra canzone che si intitola “Como el Rio”, contenuta proprio nell’ultimo disco.
Abbiamo suonato in tour con loro in Italia, in alcuni festival, e abbiamo suonato insieme anche in Argentina.

 

Vorrei farti una domanda che riguarda la musica in Argentina, oggi. Quali sono i generi più apprezzati, o quelli in cui i musicisti manifestano maggiore creatività?

C’è e funziona un po’ di tutto.
Ci sono band alternative come noi che fanno della mescolanza un elemento imprescindibile; c’è la world music, e ovviamente ci sono gruppi nazionali che fanno esclusivamente un genere preciso, che sia rock o reggae.

A noi non piace questo modo di fare: siamo più aperti.

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