Peggio Saw o una lavatrice con centrifuga attivata?


“Fobia:  ti­more irrazionale e invincibile per oggetti o speci­fiche situazioni che, secondo il buon senso, non dovrebbero fare paura”

Io da piccola avevo il terrore di tutto ciò che fosse tecnologico: tutto partì dai titoli di testa delle videocassette dei cartoni animati Disney (avete presente le scritte e il castello blu su sfondo azzurro, che anticipava i promo di altri prodotti cinematografici?). Scappavo via urlando.

In seguito scoprii che le mietitrebbie, quando si inclinavano (come fanno tutt’ora, del resto) sulle colline di casa mia, erano molto spaventose e potenzialmente più pericolose. E anche qua c’era il momento di fuga con conseguente barricamento nel pagliaio/magazzino dei macchinari: tale asilo fu interrotto bruscamente solo una volta, dopo essere stata minacciata con un fucile a canne mozze da uno sciame di vespe (ammetto che quest’ultima affermazione è stata romanzata un po’, ma giusto un poco).

La centrifuga della lavatrice, il vortice di schiuma mista a scie di colori, il suo idioma incomprensibile e minaccioso, fatto di ronzii e silenzi si aggiunse al cumulo di fobie insensate. Questa era facile da evitare: la stanza riservata alla lavanderia, nel seminterrato, l’avevo dichiarata off-limits, se non nel momento di standby della macchina.

E le biciclette? Forse questa è la più giustificabile, in quanto tale paura nacque dopo un bruttissimo incidente in cui perse la vita una persona. Io, assieme a mio padre, prestai i primi soccorsi.

E ci ho messo cinque anni prima di riuscire a ritoccare una bici.

Con il tempo e un po’ di buon senso, le fobie scomparvero quasi del tutto. Ora nei confronti della tecnologia c’è solo un po’ di diffidenza, ma reciproco rispetto. Solo io e il mio computer abbiamo un rapporto altalenante: con il forno, l’aspirapolvere, la lavastoviglie, la lavatrice  vado d’accordo.

Nei neri giorni della preadolescenza incombette su di me una tremenda eremofobia, ovvero il terrore della solitudine. Non intesa come il rimanere isolati in un determinato luogo, bensì il non trovare qualcuno con cui condividere le esperienze della vita.

Tipici problemi e complessi delle dodicenni.

Adesso mi paralizzo letteralmente all’idea della disgregazione del corpo (amputazioni, mozzature…) e dai personaggi della serie horror Saw (ho la pelle d’oca solo a parlarne).

E ora?

Ora che (vorrei usare un termine più colorito, ma mi trattengo, pur essendo consapevole del fatto che la frase non suonerà mai bene come farebbe con l’altra parola)  mi sono “svelata”, nelle mie fobie passate, noto con piacere che queste sono state, in qualche modo, “esorcizzate”. Parlandone, infatti, ho analizzato la mia condizione, e mi sono detta “Che idiota che sei!”. L’irrazionalità è la causa di tutto. L’essere all’oscuro di qualcosa fa paura, ci frena. Io ammetto di non avere mai visto per intero (anzi, per più di due secondi) un film dell’Enigmista, e riconosco di essere una profana in questo campo.

Le fobie nascono dall’ignoranza. Anche quelle più disumane, come l’omofobia, la xenofobia. Nessuna esclusa.

Non è forse giunto il momento di abbattere i muri del pregiudizio, per guardare con i propri occhi il volto del nemico tanto odiato?

Saw,  a noi due!!!

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