Lo Stato Sociale – intervista a Lodo


«You don’t make a record for fun, man!»
Così il musicista e dj Derrick May risponde al collega Laurent Garnier, che gli ha appena confessato di aver realizzato la sua “Acid Eiffel” così, per esperimento, per divertimento.

La musica può essere questione dannatamente seria per alcuni, motivo di svago e divertimento per altri, oppure un pretesto per dire qualcosa di incontenibile.

Che cos’è la musica per Lo Stato Sociale?

Lo abbiamo chiesto direttamente a Lodo, la voce della band, in attesa di assistere alla loro esibizione di stasera sul palco del Bitch Party di Pinarella di Cervia (RA) per la Garrincha Night. La serata, dedicata all’etichetta bolognese della quale Lo Stato Sociale è importante rappresentate, vedrà protagonisti anche i Chewingum e Matteo Costa, nuovo progetto solista del fondatore dell’etichetta Matteo Romagnoli.
L’evento è organizzato da Retro Pop in collaborazione con Queens, (Qualcosina)², Party’n Stazione, Monogawa back to Gawa.

Ecco cosa è emerso dallo scambio di battute.

 

Leggevo in un’intervista che il nucleo fondativo della band nasce nel contesto di una trasmissione radiofonica, e che avete cominciato per divertimento. Giusto?

Sì! Da un po’ di anni facciamo una trasmissione a Radio Fujico, un’ emittente storica nel bolognese. E facciamo questa cosa strana: raccontiamo cose, parliamo di politica, mettiamo su dischi, senza capire esattamente cosa stiamo facendo e dicendo. E come band abbiamo continuato a fare la stessa cosa, in musica. Perché a qualcuno di noi piaceva suonare, a qualcun’ altro non piace tutt’ora, però adesso abbiamo questa formula.

 

Quindi l’atteggiamento originario non è cambiato. A questo proposito ti chiedo: la musica è una cosa seria, per voi?

No, fortunatamente no.
La musica è assolutamente un pretesto. Per continuare a stare insieme, perché siamo cinque amici, e lo siamo da molto prima di cominciare a fare questa cosa; ed è un pretesto per dire ciò che sentiamo di voler esprimere. In questo momento si tratta del linguaggio che privilegiamo. Però se domani decidessimo di fare cose più simpatiche, assurde o imprevedibili, non eviteremmo di farle. La musica è una cosa capitata per caso, e forse per caso sparirà dalle nostre esistenze. Magari molto presto.

 

Come state vivendo questo periodo di maggiore popolarità, che azzarderei a definire successo?

È tutto un successo dal punto di vista di un altro insuccesso.

In realtà fino a un paio di settimane fa non avrei saputo rispondere alla tua domanda. Ora ci stiamo un po’ accorgendo del cambiamento, perché stanno cambiando alcune cose della nostra vita. Com’è normale che sia, come quando si finisce il liceo e si va all’università, o si finisce l’università e si deve andare a lavorare. Sono momenti in cui ti domandi cosa tenere e cosa lasciare nel periodo nuovo che vai ad affrontare.

Non saprei risponderti. La consapevolezza dentro non si ha mai fino in fondo.
Però siamo in terapia dentro di noi. Ridiamo, scherziamo, beviamo, ma dentro di noi siamo in terapia.

 

Rispetto all’EP “Amore ai tempi dell’Ikea”, “Turisti della democrazia” vede una maggiore e sostanziosa presenza dei synth. A cosa è dovuta questa scelta?

Semplice: si sono uniti alla band Francesco detto Kekko ed Enrico detto Carota, che suonano due synth, nello specifico un microcorg e un virus. Quindi è merito loro.

Poi ciascuno di noi, chi più chi meno, dà un diverso contributo alla parte musicale, che ci interessa relativamente, perché il tipo di presenza che hanno Francesco ed Enrico e l’impatto sul palco che ne deriva ci piace molto, e completa il delirio che mettiamo su.

 

Da “Amore ai tempi dell’Ikea” è sopravvissuta solo la title track in “Turisti della democrazia”.
Come mai è sopravvissuta solo questa, o addirittura perché non fare un album di canzoni totalmente inedite?

È un discorso discografico in primis.

In seconda battuta, abbiamo sempre pensato che il nostro primo disco sarebbe stato un Greatest Hits. Poi ci hanno fatto sempre notare che la cosa che rimane agli atti è il disco e non l’EP.
Alla fine abbiamo deciso di raccogliere un po’ la storia di questi due anni in cui abbiamo girato, scritto pezzi, conosciuto persone, e nell’EP “Amore ai tempi dell’Ikea”, quel pezzo era quello a più forte carica simbolica: un pezzo importante nei concerti, ma anche una presa in giro. Durante i live infatti dura 10-15 minuti: un’improvvisazione totale. E poco suonato.

Però tornando al discorso del Greatest Hits, oltre ad “Amore ai tempi dell’Ikea” abbiamo tenuto dentro “Pop”, che se vuoi era il pezzo più importante dell’EP “Welfare Pop”, abbiamo tenuto i singoli che erano già usciti in forma digitale ma non erano mai stati impressi su superficie fisica come “Sono così indie”, “Abbiamo vinto la guerra”, “Cromosomi”. Quindi abbiamo raccolto pezzi della nostra storia, in alcuni casi riarrangiati, e abbiamo inserito qualche pezzo nuovo che nel frattempo stavamo scrivendo.

 

I nomi che avete scelto di darvi, da Lo Stato Sociale come nome della band, a “Turisti della democrazia” come nome del primo album, contengono richiami alla politica, almeno formali. Come mai questa scelta? E quanta intenzione c’è realmente di parlare di politica – cosa che un po’ traspare anche da ciò che mi hai detto inizialmente sulla trasmissione radiofonica, e da qualche testo delle vostre canzoni.

È una questione di estrazione retorica cui si appartiene. Spesso la chiacchiera con cui si cresce diventa la chiacchiera con cui si interpreta il mondo. La politica, e un certo tipo di radicamento – nel senso migliore possibile – nell’antifascismo, nella sinistra più incancrenita; le lunghe serate alle feste dell’Unità fin da adolescenti; essere di Bologna, avere genitori che hanno un certo tipo di orientamento politico, crescere con una certa visione del mondo, fa interpretare e prendere in giro il mondo attraverso quel tipo di retorica, e sicuramente la chiacchiera politica è una di quelle che ci affascina di più, ci colpisce, ci fa anche più incazzare, tante volte.

 

Quindi è una cosa che condividete tutti.

Direi di sì.

Tutte le cose che riguardano l’ambito indie-hypster non appartengono all’universo di riferimento di tutti, solo a quello di Bebo, che ha scritto “Sono così indie”, canzone che io ancora faccio fatica a interpretare in tante cose. Perché tanti aspetti non li conosco e non mi appartengono. Mente tutto quello che ha a che fare con l’universo del politchese, della chiacchiera sociale, del “raccontiamoci il progresso di questo paese”, è condiviso a cinque teste.

 

Appuntamento a stasera con queste cinque pazze teste.
Qui il tour estivo completo.

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