Garrincha Dischi: cosa, chi, quando, dove, perché


Lo Stato Sociale, Jocelyn Pulsar, L’Orso, Chewingum; 33 ore, LE-LI, ManzOni, Nel Dubbio; The Walrus, 4fioreperzoe e Matteo Costa.

Questi i nomi della Garrincha Dischi, l’etichetta discografica “di musica italiana in italiano”, nata a Bologna circa quattro anni fa da un’idea del musicista Matteo Romagnoli, già 4fioriperzoe, che ha di recente firmato il nuovo progetto solista come Matteo Costa.

Una realtà in prepotente emersione, che ad oggi ben rappresenta la proposta di quel tipo di pop ironico e sincero, disimpegnato ma non troppo, semplice ma non troppo, romantico e alle volte irriverente. Nel quale è facile riconoscersi.

E una piccola ma importante delegazione dell’etichetta costituita da Stato Sociale, Chewingum e lo stesso Matteo Costa arriverà al Barrumba di Pinarella di Cervia venerdì 8 giugno, per la Garrincha Night, quarto appuntamento della stagione con il Bitch Party.
Come sempre, l’evento è organizzato da Retro Pop, in collaborazione con Queens, (Qualcosina)² , Party’n Stazione e Monogawa Back to Gawa.

In attesa di venerdì, conosciamo più a fondo l’etichetta con Matteo Romagnoli, il fondatore.

 

Qual è esattamente il tuo ruolo in Garrincha Dischi?

Faccio le scelte artistiche e la maggior parte delle produzioni artistiche firmate o co-firmate. Mi occupo della parte gestionale: ho un po’ in mano il motore centrale. Ma da tempo sono aiutato da Marcello Petruzzi di 33 ore; poi da Elia Della Casa che suona nei LE-LI, e Alberto Guidetti dello Stato Sociale, figure che si sono unite nell’ultimo anno, pian piano.

 

Perché decidesti di fondare l’etichetta?

Perché, come musicista, non volevo più dipendere dalle scelte e dai tempi degli altri, che dicono quando devono uscire i dischi, e che decisioni prendere.

In quel periodo con 4fioriperzoe eravamo rimasti senza etichetta, perché dipendevamo da Mescal e Sciopero Records, entrambe inattive. Era sorta l’idea di realizzare altre collaborazioni, ma non sono arrivate in modo spontaneo come desideravamo, di conseguenza abbiamo deciso di fare da soli. Così abbiamo fatto il primo disco di LE-LI. Da lì in poi abbiamo pensato di fare un po’ le cose per Garrincha. Infatti i primi due dischi di 4fioriperzoe erano stati pensati a sé, poi sono finiti lì dentro. Il primo disco fatto con l’intento di usare nome e marchio Garrincha è stato il primo album di 33 ore. Così sempre di più e lentamente – ma non troppo – abbiamo cominciato a pensare all’etichetta come un’entità, fino a quando nell’ultimo anno e mezzo abbiamo iniziato a prenderci più sul serio.

 

In effetti l’ultimo anno ha visto un’emersione importante di Garrincha Dischi nel panorama della musica indipendente italiana. Anche a livello promozionale, a gennaio il “Calendisco” ha avuto tantissime attenzioni.
Mi chiedevo a cosa fosse dovuto questo aumento di interesse e visibilità. Avete migliorato la struttura organizzativa?

La maggiore promozione deriva da due fattori principalmente.
Dal punto di vista pratico, siamo di più e abbiamo iniziato a prenderci dei ruoli: chi si occupa dell’ufficio stampa, chi della produzione artistica, chi della grafica, e così via. Questo ci ha permesso di lavorare meglio.
A livello di risultato probabilmente conta molto il fatto che nel 2011 abbiamo dato segnali tali per cui gli altri hanno cominciato a credere seriamente in noi. E in prima battuta sono stati gli altri a prenderci più sul serio; poi abbiamo cominciato a farlo anche noi. Perché quando si viene presi sul serio, quando ci viene accordata una certa fiducia, si percepisce il peso di mantenerla.
Quindi credo che in parte abbiamo lavorato meglio, e in parte c’erano pubblico e stampa più recettivi.
Poi il Calendisco, benché avessimo fatto una scelta meno ruffiana rispetto al “Cantanovanta”, che può essere considerato un po’ per tutti, è stato ancora più seguito. Dimostrazione del fatto che c’era più ricettività.

 

A proposito di compilation, in meno di due anni ne avete pubblicate 3. Siccome ritengo che come tipo di prodotto abbia vari pro, ma anche qualche contro, come mai avete deciso di dedicarci tanto tempo e impegno?

Sicuramente per una mia scommessa, inizialmente. Sono partito con “Il Natale (non) è Reale”, per la quale eravamo solo io e Marcello (Petruzzi, 33 ore, ndr), e la scommessa era quella di riuscire a dare un segnale più ampio.
Quando si producono dischi di singoli artisti, chi non apprezza quella proposta parte prevenuto e non ascolterà. Invece fare un disco che raccolga tante e variegate proposte, spesso non dell’etichetta, più o meno note, genera un’apertura anche in direzione di chi non ci conosce, e non ha mai sentito i nostri gruppi. E così è stato. Questo è il motivo principale per cui continuare a farle.
Mentre la causa per cui quest’estate non l’abbiamo fatta è perché richiede molto tempo di lavorazione, che in questo momento non abbiamo, e idee forti. Io credo che nelle nostre prime 3 compilation c’erano idee forti; invece tutte gli spunti che ci sono venuti in mente in questo periodo probabilmente non erano abbastanza forti, quindi siamo stati i primi a non portarli a fondo. Rimandiamo sicuramente a dopo l’estate, forse a fine anno.

Per come la concepisco io, la formula della prossima compilation sarà più vicina a quella del “Cantanovanta”. L’intento è quello di alternare lavori come il “Calendisco”, che coinvolgeva solo artisti dell’etichetta, o altri artisti che riproponevano brani di band della label, a lavori di apertura come il “Cantanovanta”, cui hanno partecipato 26 artisti.
Ovviamente più credibilità si ha, più si è conosciuti dagli ascoltatori, più aumenta la partecipazione. Quindi nella prossima potrebbero essere coinvolti ancora più artisti. Sarà tutto da scoprire

 

I pro che hai elencato bilanciano alcuni contro, tra i quali io individuo l’eccessiva proposta di band – come nel “Cantanovanta” – che rischia di disperdere l’attenzione, e di impedire di affezionarsi a qualche artista in particolare.

Il rischio che sia un lavoro dispersivo c’è. Sicuramente.

Un altro pro che ho riscontrato io, che mi sono occupato di registrare e produrre di molti brani della compilation, è che svariati artisti, slegati dalla forma disco, si sentono liberi di fare cose più al limite, di accettare sfide. Quindi si lanciano di più. L’artista di base dovrebbe essere uno che si lancia. Mentre spesso è il primo che nel momento in cui sta facendo una cosa ufficiale, come un suo disco, si trattiene e si limita. Invece nelle compilation gli artisti giocano di più. Osano fare cose che segnano delle vie, oppure rimangono casi isolati.

 

Il pay-off di Garrincha Dischi è “Label per musiche d’autore”. È nata sin da subito la predilezione per il cantautorato e una certa forma musicale?

Di sicuro c’era già la direzione verso la forma-canzone, fin dall’inizio. Poi poco dopo si è chiarita la volontà di voler fare solo musica in italiano. Una cosa invece maturata man mano è la predilezione verso un certo pop un po’ sghembo, storto, con un piglio entro il quale penso si possano racchiudere dallo Stato Sociale, ai Chewingum, a Jocelyn Pulsar, anche l’Orso: il pop di oggi e del futuro. Ecco, quest’ultima cosa è arrivata man mano, ma l’idea di fare canzoni e non dischi di sperimentazione c’è sempre stata, sin da subito.

 

Come riesci a conciliare l’attività di musicista con quella di produttore? L’una toglie qualcosa all’altra?

Di sicuro nell’ultimo anno e mezzo ho sacrificato il lato musicista. Mi preoccupo molto delle uscite discografiche degli altri. Mi comporto un po’ come un padre, che rinuncia a qualcosa per far stare bene i figli. Forse il paragone non calza a pennello, però mi piace come concetto, e mi piace che gli altri siano il più possibile soddisfatti e contenti.

Quindi sì, mi sono concentrato di più sull’altra attività. Anche perché quella del musicista la facevo già da un po’, invece quella del produttore era nuova, bisognava impararla e tutt’ora sto imparando. Mi ci sono trovato un po’ per caso, perché inizialmente non pensavo diventasse una cosa impegnativa, invece un po’ Lo Stato Sociale, un po’ L’Orso, un po’ i Chewingum, e altri artisti che stanno andando bene hanno fatto sì che ci abbia messo più impegno. Ovviamente a discapito dell’attività di musicista. Di recente è uscito anche il mio disco, e probabilmente è stato quello meno promosso, ma va bene così!

Sapere che alcune band di cui abbiamo curato tutto – preproduzione, produzione, strategie – stanno andando bene e stanno ottenendo buoni risultati dà tanta soddisfazione!

 

Anche per svolgere l’attività di produttore probabilmente ci vuole una certa vocazione.

Io mi diverto molto. Poi il fatto che siano aumentati gli artisti coi quali lavorare è positivo. Perché quando si fa una sola cosa si canalizzano l’impegno e l’ansia. Quando invece si è impegnati in più cose, diventa tutto più leggero, meno faticoso e più semplice.

+ Non ci sono commenti

Aggiungi