Il Pan del Diavolo è sempre avvelenato – intervista ad Alessandro Alosi


Dal sito http://www.ilpandeldiavolo.it/blog

«Il pan del diavolo!
Con panna e caffè, il pomeriggio alle tre è buono perché, scaccia la zecca che hai nel tuo orecchio, piace alla donna nel tuo letto, per i bambini a merenda è perfetto, piace ai vampiri e ti cura la tosse,
ai tuoi vicini gli ha rotto le palle.
Il pan del diavolo!
El diablo señor!»

(“Il Pan del Diavolo”, Il Pan del Diavolo)

Il Pan del Diavolo è sempre avvelenato. Anche ora che il duo palermitano ha fatto l’importante passo di arricchire il proprio sound con chitarra elettrica e batteria, e di proporsi live in formazione allargata.
Alessandro Alosi (voce, chitarra, grancassa) e Gianluca Bartolo (chitarra 12 corde) infatti hanno registrato il loro ultimo lavoro, “Piombo, polvere e carbone“, con Antonio Gramentieri alla chitarra elettrica e Diego Sapignoli alla batteria, due musicisti di talento ed esperienza.

E con questa formazione un po’ meno all’osso, sono tornati a calcare i palchi di tutta Italia.

Venerdì 18 maggio faranno tappa al Barrumba di Pinarella di Cervia (RA) per il consueto appuntamento mensile con il Bitch Party, evento organizzato da Retro Pop in collaborazione con Queens, (Qualcosina)², Party’n Stazione e Monogawa Back to Gawa, seguito come sempre dalla festa danzante.

In attesa del concerto, che vedrà Jocelyn Pulsar in apertura, abbiamo scambiato qualche battuta con Alessandro Alosi, voce, chitarra e testi del duo.

 

Parto dalle novità arrivate con “Piombo, polvere e carbone”, e la domanda a riguardo è duplice. Perché avete deciso di arricchire il vostro sound, che si poteva considerare già pieno, con altri strumenti, fra tutti chitarra elettrica e batteria? Poi ti chiedo una cosa un po’ più specifica su Gramentieri e Sapignoli, due autorevoli personalità del panorama musicale nostrano, e non solo.

La scelta di ampliare l’organico è stata naturale, ed è partita dall’intenzione musicale di avere un orizzonte più ampio in grado di fornire più espressioni musicali, come quelle che possono costruire una chitarra elettrica e una batteria.

In particolare, tu hai citato i due supereroi di questi strumenti, e noi siamo stati fortunati a trovare loro, che oltre a essere belle persone, hanno nelle mani la stessa direzione musicale che cercavamo noi.
Quindi è avvenuto tutto molto naturalmente.


Quando
avete incontrato Antonio Gramentieri e Diego Sapignoli? Come avete fatto a trovarvi?

Noi aprivamo un concerto di Hugo Race a Salerno, e loro suonavano con lui.
Quando sono scesi dal palco, li abbiamo fermati e abbiamo detto loro: «Voi siete assunti, non sappiamo ancora per cosa, ma siete assunti!»

 

Nella scelta di ampliare l’organico, in qualche modo ha influito l’esperimento che avevate fatto coi Criminal Jockers?

Sì, nel senso che quello è stato il primissimo esperimento di distacco dalla formazione duo, e quindi è stata un’esperienza di tappa per potersi scollare dalla formazione tradizionale e avere anche una band alle spalle.

Comunque, quella coi Criminal Jockers è stata un’esperienza diversa, perché in quella occasione abbiamo riarrangiato completamente un disco che già esisteva, esclusivamente per portarlo dal vivo in una tornata di date limitata. Mentre con Grammo e Diego questa scelta casuale e naturale ha portato ad arrangiare l’album con loro, quindi la fusione è più profonda.

 

Come è stata accolta la nuova formula dal pubblico, finora?

A me sembra che venga accolta bene. Spero che continui così, il pubblico sta reagendo in maniera calda, quindi va bene.

 

Che cosa rappresenta la scimmia che sta in copertina, e che vediamo diversamente animata in video di Enrico Molteni, dotata di vari accessori?

La scimmia è un altro elemento che fa parte dell’album, e ha vita propria, perché l’illustratore che l’ha disegnata conosceva già dall’estate i testi del disco, i provini, e lui stesso cercava un disegno che potesse essere rappresentativo del disco. Finché non ha trovato questa scimmia, che è una sorta di mostro, di totem, e secondo me ben racchiude molte sfaccettature dell’album, molte emozioni che ci sono dentro.
La scimmia è un po’ la faccia dell’album.

È uno scimmione, ma non qualunque: ha una faccia molto scolpita, sembra quasi una divinità azteca, mi dà l’impressione di avere una forte personalità.


Riguardo al video di “La velocità”, mi chiedevo come mai avete scelto di abbinare la velocità, come concetto, a Carnera, “la montagna che cammina”, che comunica imponenza, forza, quindi lentezza.

Sì, la lentezza per eccellenza.
La storia di questo video è un po’ simile a quella della copertina.
Davide Toffolo conosceva il brano “La velocità”, e dalle prime bozze dei provini aveva intenzione di trasformarlo nella colonna sonora di “Carnera”, il trailer della storia del pugile.
Quindi è stata completamente un’idea sua. E a noi piaceva l’idea di dar vita a un video anche con un’associazione libera appunto, scelta da Toffolo che ha fatto i disegni e ha pure dedicato una graphic novel a Carnera.
Al di là del senso che potevamo darci noi, Toffolo calamitava tutto il significato dell’operazione, quindi invece di un classico video in playback abbiamo liberato questa storia di Carnera.

 

Per associazione di idee, quando penso al Pan del Diavolo mi viene in mente la chitarra.
Che cosa rappresenta, per voi, lo strumento musicale chitarra?

Un punto saldo della mia vita. Se ci fosse una tempesta, io mi aggrapperei alla mia chitarra.
È un punto saldo e un punto di partenza. Un megafono dell’espressione di due musicisti – mi permetto di dirlo anche per Gianluca.
Rappresenta veramente tantissimo.

 

A livello comunicativo, nelle vostre canzoni che importanza date al piano della musica e quello dei testi?

Il livello testuale e il livello musicale hanno grandissima importanza entrambi e devono lavorare insieme.

C’è da dire che noi siamo partiti con due chitarre acustiche e grancassa, lasciando la forma musicale al suo punto embrionale: con una chitarra che è uno strumento folk, rock’n’roll abbastanza semplice sia per l’ascoltatore che per il musicista. Poi c’è la voce davanti a tutto. Quindi sono entrambi molto importanti.

Sia sulla musica che sui testi c’è un lavoro di ricerca. Ma a differenza della musica, per la quale in questo disco abbiamo avuto un nuovo contributo – con Grammo e Diego – sui testi non abbiamo trovato altre mani con cui scrivere, perché li scrivo tutti io. Però abbiamo fatto degli esperimenti sulle mie solite risse testuali, in cui cambio il soggetto, il punto di vista dell’ascoltatore, situazione. Così ci si ritrova in situazioni da un momento all’altro diverse, che cambiano da una frase all’altra, con personaggi differenti, e alla fine si riesce a tirare fuori un significato unico.

 

Ora con l’arrivo della batteria, suoni ancora la grancassa durante i live?

Sì, la suono per un buon 60-70 %o del concerto.
Quando le persone mi dicono «Mi piaceva di più il duo! Cosa avete fatto? Avete tradito le vostre origini!», io penso che se avessi abbandonato la grancassa, solo in quel momento avrei sentito di aver tradito un po’ il Pan del Diavolo.
Ormai non è abbandonabile la grancassa.

 

È un po’ un appiglio, come la chitarra.

Esatto, proprio così.

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