8 Marzo: donne contro le mafie


Cara Anna (…) mia figlia ha dovuto lasciare un bel ragazzo solamente perché, nel passato, alcuni suoi parenti erano nemici di mio marito (…) Non c’è stato niente da fare, hanno dovuto smettere (…) Avevo sperato in un futuro migliore per mia figlia, che sarebbero stati bene insieme. (…) Ma dobbiamo portare la nostra croce…”.



Lettera di Maria Morabito, moglie di Pasquale Condello, ad una amica

L’8 Marzo si celebra la festa della donna, una ricorrenza per i più divenuta abitudine se non occasione per serate all’insegna del divertimento e dello svilimento ulteriore della donna. Ugualmente vi sono tante donne che – non solo l’8 Marzo – dedicano la loro vita e il loro tempo all’impegno civile e al volontariato.

Quest’anno il Quotidiano di Calabria ha lanciato un’interessante campagna che propone di dedicare la giornata dell’8 Marzo alle “donne contro la ‘ndrangheta“, un appello che al momento sta raccogliendo numerose adesioni.

Lea Garofalo, Maria Concetta Cacciola e Giuseppina Pesce rappresentano la Calabria (come Rita Atria fu in Sicilia) che si oppone al sistema mafioso ed omertoso. Sono donne che hanno trovato il coraggio di denunciare anche propri familiari collusi e/o veri e propri mafiosi, pagando (in quasi la totalità dei casi) questo coraggio con la loro stessa vita. Lea Garofalo, per esempio, è stata sciolta in 50 litri di acido. La scelta di queste donne è doppiamente difficile, in un contesto – quello calabrese – che attualmente conta un numero bassissimo di testimoni e collaboratori di giustizia, poiché la struttura del clan di ‘ndrangheta è tradizionalmente famigliare e significherebbe dunque quasi sempre denunciare i propri parenti.

Durante le nostre esperienze estive nei campi di lavoro in Sicilia, a Corleone, abbiamo avuto modo di conoscere anche quelle donne che portano avanti attivamente l’impegno civile e politico, la testimonianza della lotta alla mafia dei propri cari. Pensiamo a Rita Borsellino, Elena Fava, Elisabetta Caponnetto. Tutte e tre hanno tradotto la propria parentela e le vicissitudini dei propri cari in un impegno vivo e di testimonianza. Come non citare poi Felicia Impastato, madre di Peppino, e donna sensazionale? “Questa è siciliana e tiene la bocca chiusa’. Invece no. Io devo difendere mio figlio, politicamente, lo devo difendere. Mio figlio non era un terrorista. Lottava per cose giuste e precise«. Un figlio che: «… glielo diceva in faccia a suo padre: ‘Mi fanno schifo, ribrezzo, non li sopporto… Fanno abusi, si approfittano di tutti, al Municipio comandano loro’… Si fece ammazzare per non sopportare tutto questo” così parlava Felicia.

La strada per il riscatto e la sconfitta delle mafie passa anche per il ricordo e la memoria di queste donne, che il loro ruolo sia sempre più centrale e attivo e che la forza di rompere il muro dell’omertà non debba significare morte certa o silenzio attorno.

Gruppo Antimafia Pio La Torre
Rimini

+ Non ci sono commenti

Aggiungi