C’è futuro per l’Arte?


Letizia 18 anni studentessa del liceo Scientifico Marconi di Pesaro, poetessa, cantautrice, attrice; come vede lo stato dell’arte oggi? C’è ancora creatività o siamo in un’era di irrimediabile manierismo?

Come vedo lo stato dell’Arte oggi? Sicuramente non va molto bene, non dico che questa sia “decaduta” rispetto al passato perché non porta a nulla rimpiangere i tempi andati, però un certo stato di “crisi” lo posso constatare, eccome. L’artista non pensa più a quello che vuole veramente trasmettere, scrivere o cantare, perché condizionato da quello che suppone vorrebbe sentirsi dire la gente – ciò accade sia a livello conscio che inconscio: da una parte ci si proietta in una dimensione in cui si vuole ottenere consenso di pubblico – casa editrice se si è scrittore, etichetta discografica se si è musicisti – dall’altra, l’artista va incontro ogni giorno  a un sibillino processo di emulazione, frutto del bombardamento mediatico: in Tv sembra quasi tutta l’Italia passi il tempo a cantare, recitare o ballare! Lo stato esteriore delle cose è enfatizzato, ingigantito, a discapito di una sostanza vera. Si è dunque attraversati da un processo di imitazione, volente o subconscia, che fa perdere la coscienza di sé. L’80 % di coloro che oggi chiamiamo artisti non sono altro che prototipi, sosia di persone già esistenti, che a loro volta sono macchine, immagini, confezioni. Io penso che in questo marcio spettacolo da baraccone esistano ancora barlumi sotterranei di creatività, perché nella massa c’è sempre quel’1% che si salva; è per questo che non possiamo sparare sulle folle: nel mucchio, si corre il rischio di colpire quell’1%. La creatività vera esiste, dunque, nonostante tutto, ho degli esempi concreti: a Urbino un gruppo di ragazzi della facoltà di Lettere ha creato un’associazione: “La resistenza della poesia” –  che si occupa di poesia, cultura e teatro. Essi credono in quello che fanno, e cercano di farlo al meglio – hanno una rivista mensile in cui pubblicano le loro riflessioni e poesie, lasciando spazio anche ai lettori, e tutto questo senza ricavare una lira! Tanto vero che per autofinanziarsi portano avanti spettacoli teatrali, letture sceniche ecc…  e ci sono anche giornalisti che hanno veramente voglia di capire cosa accade nel mondo, cosa succede. Però queste persone sono oscurate da un sistema “malato”. Esiste ancora la creatività, esiste ancora Arte, ma spesso non le viene dato il giusto riconoscimento, non perché non sia grande, ma perché oscurata.

Secondo lei l’Arte oggi è socializzante? Voglio dire, aiuta le persone a comunicare tra loro o separa chi la fa da chi ne fruisce?

Sicuramente – io almeno parlo per la mia esperienza – l’artista è sempre un po’ incompreso, estraniato, a causa di un’attività artistica che comporta sacrifici.  Sacrifici grandi: se si vuole lavorare a una poesia, bisogna rinchiudersi soli per forza; se si vuole recitare, bisogna dedicarsi solo a quello, quindi i rapporti sociali, la vita “mondana” ne risentono. C’è anche un risvolto positivo, perché l’Arte ti aiuta, ti forma come persona  e ti fa capire che questo rapporto socializzante non è quello che si pensa oggi: un parlare tanto per parlare, per mostrarsi, per sentirsi parte integrante di una società superficiale. L’Arte riduce i rapporti mondani, ma migliora e consolida i rapporti “veri”. In sintesi, da una parte l’arte ti isola, dall’altra però ti aiuta a renderti più selettivo.

Oggi vediamo come una gran quantità di persone rispetto al passato cerchi una propria realizzazione artistica, anche a livello di hobby; secondo lei è un segno di democratizzazione dei processi artistici o si va verso un mondo in cui “c’è più gente che scrive di quella che legge?”

Sicuramente oggi c’è più gente che scrive di quella che legge; posso dire che c’è un grande divario tra hobby e Arte perché l’hobby è un passatempo, un mezzo per sentirsi realizzati, ma in modo svagante, distensivo, mentre l’Arte non è questo: è un lavoro, uno stress e come abbiamo detto prima, comporta grandissimi sacrifici. Oggi c’è questa incomprensione, nel senso che si pensa di poter essere dei grandi artisti senza soffrire neanche un pochino, ed è un errore grosso, molto grosso. Cosa ne consegue da questo?  Che si creano prodotti che sono “prodotti”; non sono essenza, non sono messaggi, non sono immagini, ma solo involucri, che possono piacere, ma che si confinano nella loro mediocrità. Quindi penso che prima di tutto si debba partire dal fatto che non si è artisti; si è veramente artisti forse, quando non si ha la coscienza di esserlo, e si lavora in modo spontaneo anche a costo di soffrire.

Parliamo di politica: oggi la sua generazione vede nell’attività politica una forma di partecipazione o cerca altre strade per sentirsi parte della società civile?

Allora, io penso che ci siano tre modi fondamentali: ci sono persone che sono impegnate politicamente, vogliono cambiare le cose con la politica e sono del tutto rispettabili; in questa categoria tuttavia, ci sono individui che si mettono in politica per dare l’immagine di fare qualcosa, e questa è molto diffuso; poi ci sono altre persone che, sinceramente, se ne fregano di ciò che accade nel mondo, pensano alla loro realizzazione personale, nel loro piccolo, a trovarsi un lavoro, a sfamarsi e sono la maggioranza; ci sono altri che invece cercano di inserirsi nella società civile estraniandosene attraverso l’arte, e hanno, non dico l’illusione, che è una brutta parola, ma la speranza di poter cambiare qualcosa attraverso uno sguardo, una rielaborazione di ciò che accade, che sia reale, concreta e completa soprattutto. Questa domanda è molto difficile perché  la politica è qualcosa che ha perso di senso, almeno secondo me; io non capisco cosa sia la politica, a cosa serva e devo ammettere che questo è un mio grosso limite. Frequentando anche persone più grandi, non so dirti come la mia generazione si inserisca nella società; secondo me ancora non abbiamo compreso di farne parte; vedo che adesso, a 18 anni, molti devono  scegliere cosa fare nel loro futuro, si trovano di fronte alla scelta dell’università e sono spiazzati, perché non sanno quale sia il senso di un lavoro, il senso di essere infermiere o dottore o economista. Quindi, finché non capiremo cosa significhi lavorare, non capiremo neanche cosa significhi essere parte della società civile. Cosa significa lavorare? Come diceva Hegel, formare se stessi, incanalare la propria energia, ognuno secondo le proprie inclinazioni, le energie potenziali che vanno per il meglio, al fine di formarsi, costruire  una società e costruire un rapporto migliore, sano e produttivo. Io oggi non penso si possa parlare di società “civile”, perché si lavora soltanto per trovare uno stipendio che ci aiuti a soddisfare i nostri svaghi.

Per concludere: Lei ha fiducia nel futuro? Pensa di realizzare i suoi progetti?

Io devo avere per forza fiducia nel futuro, perché vivere senza fiducia, è come suicidarsi a poco a poco fino a morire; voglio continuare a fare quello che faccio, voglio continuare a migliorarmi, sono ancora solo una dilettante. In definitiva penso che la vita sostanzialmente sia questo: uno sforzo continuo per migliorare se stessi, per capire cosa c’è di bello nel mondo e gioirne, per capire cosa c’è di brutto e cercare di cambiarlo, o se non lo si può cambiare, almeno scrivere qualcosa su questo, ma non restare indifferenti. Poi magari non riuscirò a migliorare, a cambiare, forse rimarrò dove sono, se succedesse, tenterò di nuovo, quindi non ho scelta, devo avere fiducia e devo migliorare, e accadrà.

Speriamo, grazie!

+ Non ci sono commenti

Aggiungi