La mediterranea fine di Galeazzo Scottona


-Luciano Barabà? Quello sempre vittima dei ragazzotti più forti e rissosi, che non portava mai i calzoncini corti per paura di dover spiegare alla madre l’origine di tutti quei lividi, che aveva la montatura degli occhiali da scemo e lenti spesse come fondi di bottiglia, che era talmente timido da non riuscire a spiccicare una parola davanti a una femmina per paura di dire cose imbarazzanti? No no, non sono io, non lo conosco.

Chiunque fosse stato un ex compagno di scuola di Galezzo Scottona, anzi, dello Chef Galeazzo Scottona , non poteva aspirare ad una risposta diversa dopo averlo riconosciuto (magari per strada o durante uno dei suoi numerosissimi corsi di cucina) e avergli chiesto conferma per togliere ogni minimo dubbio. Ma Barabà Luciano, il bambino più mediocre della scuola, primo in ordine alfabetico del registro e anche ad essere canzonato dai bulli, aveva lasciato il posto ad un personaggio molto più affascinante, carismatico, talentuoso, accattivante; si era spogliato della cartelletta marrone di cuoio passata prima dalle mani di tutti i suoi fratelli e le sue sorelle, come fosse il testimone di una staffetta, si era sottoposto ad un intervento chirurgico agli occhi con i primi soldi del suo successo e aveva cambiato nome.

Si rese famoso ad una competizione culinaria della sua provincia: mancavano pochi minuti allo scadere del tempo quando un suo rivale privo del minimo senso di fair play rovesciò a terra (fingendo di aver urtato l’alzatina) un intero vassoio a ripiani ricolmo di ogni sorta di pasticcino e tartelletta .  Sembrava essere spacciato, ma, invece di rassegnarsi all’ennesimo ultimo posto, recuperò i pochi ingredienti rimastigli dalle precedenti preparazioni  e improvvisò un dessert che gli valse la vittoria. Fu un successo enorme e di lì iniziò la sua appagante carriera e la sua ascesa al successo: si qualificò sul podio di innumerevoli premi di cucina, costellò tutto il paese di ristoranti di sua proprietà, partecipò a molti programmi tv, scrisse ricettari che andarono a ruba in pochissimo tempo. Da quello spiacevole inconveniente trasse l’ispirazione che, alla fine, si rivelò la chiave della sua fama: l’improvvisazione. Ogni qualvolta si fosse accinto  alla preparazione di  pietanze d’ogni sorta, prontamente gli venivano sottratti o aggiunti ingredienti  di svariata natura; era un continuo incremento di difficoltà, anche la semplice colazione a casa diventava una sfida seguita passo a passo dai media e dai curiosi. E lo chef Scottona andava fiero di questa situazione:

-Io? Io sono lo Chef Galeazzo Scottona. Unico, irripetibile, il migliore. Accoglierò ogni vostra sfida, la cucina non ha segreti per me. Sono il re degli imprevisti. Sono talmente in gamba che il giorno del mio matrimonio mi rapirono la fidanzata e io riuscii a sposarmi lo stesso senza rimandare le nozze: al posto di mia moglie misi la sua gemella e falsificai le firme nei documenti. Sono talmente abile che riesco a rendere appetitoso anche un piatto di paglia. Mi sono talmente specializzato da essere riuscito ad inserire dei sassi fra gli ingredienti per un piatto indiano. Mettetemi alla prova! Non c’è niente che io non sappia fare ai fornelli!

Effettivamente, sebben poco modeste, tutte quelle notizie erano vere e accertate, confermabili dalle migliaia di spettatori che non lo lasciavano solo nemmeno per un giorno, per un pranzo, per un’ora, per uno spuntino… Una nuova difficoltà era sempre pronta ad attenderlo. Esaudiva ogni capriccio del suo pubblico: convertì alla carne i vegetariani, spadellò ogni razza d’animale  e di vegetale, rese commestibili funghi tossici e intrugli improbabili.

La sua carriera da chef durò la bellezza di cinquantatre anni, si interruppe solo alla morte.

Curioso, appunto, fu quest’ultimo episodio: ricordo  che correva il mese d’agosto quando una certa Detta (che non nascondo esser mia madre), riuscì a prenotarsi per proporre la propria sfida al pranzo del rinomatissimo chef. Gli si pose dinanzi, gli mostrò pane, pomodori, olio d’oliva, basilico ed esclamò “Bruschetta!”.

Incredulo, il signor Scottona attese a lungo per sentire in cosa consistesse la difficoltà, dove fosse la trama, quale macchinoso piano aveva escogitato per farlo fallire. Aspettò a lungo, ma la donna non proferì parola.

Lo chef protestò:

-Come? Cosa aspetti, dimmi cosa mi sottrai, dimmi cosa aggiungi, parla, per Diana!

-Quale trucco? Quale inganno? V’ho proposto un piatto che anche il mi’ figliolo saprebbe far bendato!

-Ma come si permette, come osa? Lei sa chi sono io? Potrebbe chiedermi di far pane ed elefante, e mi dice solo “bruschetta”?

-Ebbene sì.

Non toccherò un cucchiaio fino a che non alzerà la posta in gioco.

Mantenne la promessa, ma diverse direttive non giunsero al suo orecchio, allenato a sentir ogni corbelleria culinaria. La donna non cedeva e lo chef, per paura di tornar Luciano Barabà, uomo mediocre, neppure.

Stremato, il grande cuoco cadde per mano della semplicità e della genuinità: morì di fame o, forse, sarebbe meglio dire d’ostinazione. C’è chi diede la colpa alle bruschette e le bandì per sempre dalla tavola.

Il pubblico tacque, tacquero gli utensili da cucina, la verdura marcì e il pane si ricoprì di una spessa muffa verde.

Finiva così la folle bravura di Galeazzo Scottona. 

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