Alla scoperta di Bil’in


Bil’in è un villaggio palestinese che sorge a 12 km da Ramallah, al centro della West Bank, e conta una popolazione di circa 1800 persone, quasi tutte di religione islamica.

In seguito alla guerra dei Sei giorni (1967) è stato occupato dalle forze israeliane. Dal 1995, dopo la firma di un accordo provvisorio relativo ai territori della West Bank e della Striscia di Gaza, è passato sotto la giurisdizione dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP). È considerato roccaforte ideologica di Fatah (organizzazione fondata nel 1959 da Arafat facente parte dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina).

Nel 1991 sono stati sottratti a Bil’in 200 acri di terre agricole destinati alla costruzione della colonia israeliana Kiryat Sefer, che con gli anni si è espansa entrando a far parte del blocco di colonie di Modi’in Illit.

Nel 2001 si è proceduto alla costruzione di un’altra colonia, Matityahu-Est, estensione di quella di Matityahu, su territori che Bil’in reclamerà come suoi. Ma nel settembre 2007 la Corte Suprema israeliana legalizza l’insediamento.

A fine 2004 l’esercito israeliano ordina l’inizio delle attività di costruzione del muro, malgrado questo fosse stato dichiarato dalla Corte di Giustizia internazionale una violazione della legge internazionale (luglio 2004). Poche settimane prima la Corte Suprema israeliana aveva stabilito che il governo aveva il diritto di intraprenderne la costruzione al fine di garantire la sicurezza dello Stato di Israele. Ora il muro separa Bil’in dal 60% dei suoi terreni coltivabili.

Nel febbraio 2005 iniziano a Bil’in le manifestazioni non violente contro l’occupazione israeliana e l’erezione del muro. Inizialmente sono quotidiane, in seguito il comitato organizzatore stabilisce che si tengano una volta alla settimana di venerdì. Le manifestazioni consistono in marce dal villaggio al muro con l’obiettivo di frenarne la costruzione. L’esercito israeliano interviene sistematicamente per evitare che i manifestanti si avvicinino al muro e non sono rari gli episodi di violenza: l’esercito ha fatto e fa uso di lacrimogeni, proiettili di gomma e, come durante la manifestazione del 13 giugno 2008, anche di proiettili veri. Nello stesso mese sono stati feriti la vice-presidente del Parlamento Europeo Luisa Morgantini e il giudice italiano Giulio Toscano. Alle manifestazioni partecipano regolarmente attivisti internazionali come Richard Bronson e l’ex presidente Usa Jimmy Carter.

Nell’ottobre del 2005 il villaggio riesce a depositare presso la Corte Suprema israeliana una petizione che chiede il blocco della costruzione del muro e delle abitazioni nella zona di Matityahu-Est. A dicembre, per assenza di permessi e uso di falsi documenti, viene rilevata l’illegalità delle costruzione delle colonie sulle terre di Bil’in e nel gennaio dell’anno successivo la Corte Suprema israeliana ordina lo stop alla costruzione degli insediamenti a Matityahu-Est e chiede a Israele di giustificare le ragioni del rifiuto di spostare il tracciato del muro che passa dal villaggio.

Nel marzo 2006 la giustizia israeliana, pur mantenendo la decisione di opporsi alla costruzione di nuovi insediamenti nella colonia di Modi’in Illit (divieto riconfermato nel luglio dello stesso anno), approva le costruzioni illegali già esistenti. Nell’agosto 2006 due strutture di Matityahu-Est vengono demolite su ordine della giustizia israeliana, ma nel gennaio 2007, malgrado la denuncia depositata da Bil’in presso la Corta Suprema, il Consiglio Supremo israeliano per l’urbanistica legalizza a posteriori la costruzione già illegal a Modi’in Illit.

Nel settembre 2007 la Corte suprema israeliana giudica all’unanimità che il tracciato del muro danneggia Bil’in e quindi deve essere modificato. La decisione dovrebbe permettere al villaggio di recuperare il 50% delle terre confiscate nel 2004. Parallelamente la Corte ordina però il mantenimento dei fabbricati di Matityahu-Est. Nel 2008, dopo 10 mesi di attesa, Israele presenta un tracciato alternativo per il muro che il presidente della Corte ha assicura sarà oggetto di studio di una commissione di tre giudici.

Dal 2005 dunque Bil’in è diventato il simbolo della resistenza palestinese contro l’occupazione israeliana e la costruzione del muro. Ogni settimana si raccolgono manifestanti provenienti dai territori occupati e da paesi di tutto il mondo. Centinaia le storie che si sono incrociate in questo lembo di terra tra Bil’in il muro. Ve ne racconterò due: quella di Bassem Ibrahim e di Jawaher Abu Ranmah… ovviamente nella prossima puntata! 😉

2 Comments

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  1. Manuela

    Capire ciò che sta accadendo in Palestina non è facile, anche perché i grandi mezzi di comunicazione non ci aiutano. Ignorano le complesse radici del conflitto, affidandosi esclusivamente alle cronache degli inviati speciali o alle dubbie competenze di “esperti”, che a volte sembrano non aver mai messo piede in Palestina.

    Ciò che a mio parere rende prezioso il tuo contributo è il tentativo di spiegare la “questione palestinese” a partire dalle storie delle persone che la vivono davvero.

    ..in attesa della prossima puntata!! 🙂

    • Arianna Beccaletto

      Thanx for your support! 😉 tutto ciò che so della vita oltre il muro non l’ho certo appreso dai mass media, che non solo ignorano le radici del conflitto, come dici giustamente tu, ma asservono agli interessi economici e non delle super potenze che pendono palesemente verso la parte israeliana, che, sia chiaro, non ho nessuna intenzione di demonizzare. ho scelto di raccontare “solo” storie senza lasciarmi andare a commenti, valutazioni o trattati politici perché queste storie parlano da sole. al lettore il compito di giungere alle sue personali conclusioni…

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