Schutzenstraße, casa mia


Si respira un’altra aria lungo la Schutzenstrasse, non conosco ossigeno migliore. Non che sia una via in aperta campagna, salubre e immacolata. È in centro città, ma il verde non manca. È anche piena di gatti cicciosi, obesi. I gatti più grassi che abbia mai visto, perbacco!

Papà, mamma, i nonni, la zia, lo zio, mio fratello, la signora della palazzina gemella a quella dei nonni nella Bachtelstrasse, tutti mi riempiono la testa di ricordi di quando ancora non ero nata, o di quando, ancora in fasce, non riuscivo a rendermi conto di ciò che stava succedendo attorno a me,lungo la Schutzen.

“Ti ricordi l’altalena, l’asilo, i bambini, le gipfeli, il fornaio Leonard, il trenino,la nostra vecchia casa?”

No, no che non mi ricordo! Anzi, sì, il trenino spaventoso me lo ricordo eccome!

Io sono fatta così, non mi emoziono se non ricordo in prima persona, se non sento miei quei pezzi di vita. Ero troppo piccola quando ci siamo trasferiti in Italia per assimilare tutti quegli odori, i visi, i nomi… Però in qualche modo quella via mi appartiene, contiene una parte dei miei respiri, conserva ancora delle mie occhiate curiose lanciate, magari, ad uno dei mici menzionati prima.

Devo fare qualcosa. Devo riacquistare la memoria, o meglio, costruirmene una.

E allora ogni anno torno a Winterthur, do un bacio ai nonni ed inizio ad esplorare.

Torno a percorrere le viuzze, fiancheggio i binari, rincorro i gatti, sfioro le staccionate e mi ubriaco di quell’aria così buona, così dolce, così… familiare! È questa la sensazione che cercavo: un legame, un indizio che mi riporti a casa, che mi permetta di padroneggiare l’arte del ricordo, il senso di appartenenza.

Mi infilo nei supermercati così vasti e colorati, prendo mille volte le scale mobili (le adoro!), mi fermo ad origliare un idioma così strano e aspro, tento di captare i toni che variano, dialoghi modulati, parole scandite… Ma gli svizzeri hanno sempre fretta, sono precisi, puntuali, e parlano troppo velocemente. Allora mi stanco e scappo fuori, sorrido alle vecchiette con il carrellino della spesa che attendono di prendere il bus. Busso alla porta dell’appartamento della nonna e poi mangiamo l’uva assieme, poi mi butto sul letto (che la nonna Gioconda prepara sempre con larghissimo anticipo quando sa che l’andiamo a trovare) con mio fratello e guardiamo i lavori a maglia della nonna o album di fotografie vecchie ed improbabili. Aspettiamo che il nonno infili le chiavi nella toppa per rientrare dalla bottega. Nutro la memoria.

Poi respiro. L’aria della Schutzenstrasse è la più buona del mondo.

 

4 Comments

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  1. Sara Pasini

    Hai detto bene! Devo dire che in quest’ultimo periodo sono molto combattuta tra l’Italia e la Svizzera: a volte prenderei il treno e partirei senza sapere quando tornare…

  2. Nekros

    A chi lo dici, mi manca la Calabria… i campi, la campagna, gli amici, le cazzate insieme… quell’ambiente di “don’t worry , be happy”… il mare … Se parto adesso non torno prima dell’anno prossimo…

  3. Sara Pasini

    Nel mio caso la situazione è un po’ diversa… Sono venuta con i miei genitori e mio fratello in Italia quando ancora non avevo compiuto un anno. Quindi a parte i nonni e qualche vecchissimo amico di famiglia non ho persone con cui condividere questo mio “amore”. Si parla di qualcosa di più viscerale ed inspiegabile, tutte le volte che torno a Winterthur e passo davanti alla mia prima casa sto ferma imbambolata anche ore intere a immaginare come sarebbe la mia vita ora a 650 km da quella effettiva, se amassi la letteratura e tutto ciò che adoro anche in quella situazione… Sono un po’ fissata, lo ammetto.

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