«Mamma, vado a vedere gli Incubus»


20 luglio 2011. Esame di Psicologia cognitiva, l’ultimo della sessione estiva. Durante la prova mi arriva il messaggio di un’amica che dice che gli Incubus, una delle nostre band preferite, dopo quattro anni finalmente sarebbe ritornata in Italia, a novembre.

Riuscite ad immaginare una notizia migliore per festeggiare la fine degli esami?

 I biglietti finiscono in fretta, nonostante i quasi 18.000 posti disponibili, e la notizia comincia a fare  il giro di tutte le radio, tant’è che mentre sono in procinto di tagliarmi i capelli la sento passare di sfuggita tra il rumore dei phon. Il mio sorriso non sfugge alla proverbiale curiosità delle parrucchiere, che quando sentono che ho già tra le mani i biglietti per il concerto degli Incubus, mi guardano stupite chiedendomi «Ma tu ascolti musica metal?»

Chissà, forse i miei capelli biondi le avranno deviate…

Fatto sta che quando ho detto le stesse parole a mia madre, qualche giorno prima di partire per Milano, lei mi ha guardata perplessa, e dopo qualche secondo di silenzio mi ha chiesto: “Ma fanno del rock duro?”

Sorvolando sulla terminologia aulica di mia madre che non mastica molto bene l’inglese, mi sono ricordata di una cosa: parecchi anni fa, girovagando su un sito di testi di canzoni, lessi per la prima volta il nome Incubus, e pensai la stessa identica cosa di mia madre e delle mie parrucchiere. «Questi sicuramente non fanno musica leggera!»

Al contrario dell’associazione mentale immediata della parola Incubus con qualcosa di oscuro, e di conseguenza dell’associazione stereotipata con l’hard rock e il metal, la musica degli Incubus è un alternative rock dai tratti tipicamente funk e hip hop, nei primi album anche nu metal, fatto di ballate romantiche e malinconiche e di pezzi più energici. Il tutto condito da una delle più limpide e melodiche voci del panorama musicale, quella di Brandon Boyd; voce che nel ’96 colpì i produttori della Epic/Immortal Records, la quale mise subito la formazione sotto contratto. Inoltre, il nome per la band è stato scelto aprendo un vocabolario e puntando il dito in maniera casuale: Incubus.

 

Nel 2007 mi accorsi finalmente di quanto questo gruppo fosse distante dalla band che avevo sempre immaginato: avrebbero partecipato all’Heineken Jammin Festival a Mestre, e io con loro (che al concerto sarei andata per un altro grande gruppo, questa volta davvero hard rock, gli Aerosmith). Ma una tromba d’aria si avventò sul palco proprio il giorno prima, distruggendo tutto e rendendo impossibile le esibizioni dei giorni successivi. Pochi giorni prima del concerto avevo deciso di ascoltare qualche loro canzone, per evitare di trovarmi del tutto impreparata di fronte a quel gruppo dal nome nebuloso. E così ebbe inizio il mio amore per gli Incubus.

15 novembre 2011. Mediolanum forum, Assago. La meneghina città è avvolta da freddo pungente e nebbia imperscrutabile. Il concerto comincia puntualissimo (cosa non così scontata) dopo l’esibizione adrenalinica di una sconosciuta band londinese, i fiN. Gli Incubus sono davvero in forma, e durante l’esibizione mescolano pezzi storici, dei quali il pubblico intona ogni parola, a pezzi dell’ultimo album, ancora più romantico e soft dei precedenti: If not now, when?

Un titolo che è tutto un programma.

Le urla si protraggono per tutta la serata, aumentando con l’intimità del set acustico con una canzone storica, Love Hurts, e una più recente, Defiance, e culminando nel momento in cui Brandon, dopo essersi tolto la giacca, si sfila anche la t-shirt, per la gioia di tutto il pubblico femminile.

Nei vari anelli del forum i posti a sedere vuoti non sono pochi, ma d’altro canto la filosofia del rock vieta di assistere a un concerto da seduti.

Comunque lo show mantiene una certa tranquillità, dettata forse dalle canzoni dell’ultimo lavoro. Una tranquillità che ha spiazzato anche i titanici addetti alla sicurezza, che come tutti quelli con cui ho avuto occasione di parlare si aspettavano una band metal.

L’apparenza inganna…

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