La Biblioteca


La prima volta che sono entrato in un libro avevo dieci anni. Avevo già letto qualcosa in precedenza, ma non era la stessa cosa.

Quando mi condussero nell’enorme Biblioteca di Stato e alzai gli occhi sulle pareti di quindici metri interamente ricoperte di volumi sentii tutta la mia piccolezza, mentre col collo piegato all’indietro cercavo di leggere qualche titolo, chiedendomi quale mi avrebbero assegnato.

Le bibliotecarie erano due ragazze bionde, all’apparenza quasi identiche, che portavano un camice bianco simile a quello dei dottori. Mi fecero accomodare su una poltrona di velluto rosso, mi mostrarono come far aderire bene i palmi delle mani ai braccioli e mi misero un grosso casco sulla testa, ma senza infilarlo del tutto.

A ogni loro azione corrispondeva un largo sorriso.

Come ultima cosa mi posarono un taccuino e una penna sulle ginocchia.

«Quando avrai finito, scrivi tutto quello che ricordi.» disse una.

«Mi raccomando i dettagli.» disse l’altra, mentre mi consegnava il libro.

Ancora sorrisi e poi un cenno, finalmente potevo aprirlo.

 

Di noi hanno detto che siamo una generazione senza passato, senza ricordi e senza rimorsi. Si dice che già dalla metà del secondo millennio gli uomini avessero smesso di sperare in un futuro migliore. La situazione è peggiorata dopo la tempesta elettromagnetica del 2859.

Di quel giorno ricordo perfettamente i colori che danzavano nel cielo e nei miei occhi di bambino, e le grida delle persone intorno a me, che cercavano un riparo pur sapendo che niente avrebbe potuto salvarle.

Quel giorno abbiamo perso ogni cosa: l’arte, il sapere, la storia. A noi, gente del ventinovesimo secolo, è rimasto solo il desiderio, la sete di conoscenza, ravvivata grazie a chi in passato era stato in grado di mettere su carta la propria vita.

Anche i miei genitori sono morti in quell’occasione.

Sono cresciuto in una grande struttura dalle pareti in titanio, dove altri orfani come me venivano allevati per un unico scopo: viaggiare nel passato attraverso i libri e recuperare quante più informazioni possibili sulla vita dei nostri avi.

Crescendo, iniziai a rendermi conto che avevamo una grande missione, anche se ancora non ero in grado di comprenderne l’importanza. Ero orgoglioso del mio lavoro e lo svolgevo con molto impegno.

Tutto è cambiato quando ho conosciuto lei.

 

Alla soglia dei vent’anni ero ormai un viaggiatore esperto, tra i migliori della Biblioteca.

Quel giorno mi consegnarono un libro ambientato nella Roma del 1886. Ero già stato nella Grecia Antica, nell’Impero di Augusto e nel Medioevo, perciò quella data mi sembrò incredibilmente vicina.

Il libro era Il Piacere, di Gabriele D’Annunzio.

Volevano che ricostruissi le abitudini dell’aristocrazia romana di quel periodo, lo stile di vita, l’amore per l’arte, la sconsideratezza.

Tutto mi fu chiaro fin dalle prime pagine, ma sentivo che in quel libro c’era dell’altro e per questo volevo andare avanti. Ancora non sapevo cosa fosse, non ero mai stato innamorato. L’amore era una cosa che esisteva solo tra le pagine, l’avevo visto nascere miliardi di volte, ma non l’avevo mai provato sulla mia pelle. Non credevo neanche di esserne capace.

Eppure, mentre osservavo i protagonisti di quel libro amarsi così follemente, non potevo fare a meno di immaginare come mi sarei sentito io, al posto di quel giovane dandy, tra le braccia della bellissima Elena Muti.

Era più bella di Beatrice, più bella perfino di Elena di Troia, tutte le meravigliose donne che avevo visto in passato ora non mi sembravano neppure degne di esser nominate. Il candore della sua pelle emanava una lucentezza che avevo visto solo addosso alla luna, e ogni volta che la guardavo, con quel suo portamento così elegante, immaginavo di porgerle il braccio e accompagnarla in giro per la città, in modo che tutti la vedessero al mio fianco.

Cominciai a desiderare la sua compagnia, il suo affetto, il suo corpo.

Quando lei e Andrea Sperelli si separarono, pensai che quello era il mio momento. Naturalmente sapevo di non poter cambiare la storia del libro, era l’unica regola che ci era stata imposta: in quei mondi immaginari potevamo fare qualsiasi cosa volessimo, purché non interferisse con lo svolgersi degli eventi narrati. Tuttavia pensai che non mi avrebbero mai scoperto, e che in fondo volevo solo approfondire un po’ la conoscenza di una donna dell’Ottocento, così avrei potuto scriverne.

Elena non si mostrò sorpresa, quando mi presentai a lei. Era abituata al corteggiamento ed era abituata a cedervi. Lei era la donna delle passioni fulminee, come l’aveva descritta il suo creatore.

Le dissi che ero uno studioso di storia e che venivo da molto lontano. Sapevo tante cose e la affascinai con il racconto di epoche passate e future. Lei mi ascoltava rapita, non credevo che sarei stato davvero in grado di sedurla, ma ci riuscii.

Ogni giorno ricominciavo a leggere dalla stessa pagina, per poter ricominciare da dove ci eravamo interrotti. Divenne sempre più difficile terminare la lettura, non volevo mai staccarmi da quel libro.

Una sera mi invitò a cena nella sua villa, il marito era di nuovo fuori per affari. Mi sentivo come quando stavo per iniziare un viaggio dentro una nuova storia, la stessa curiosità sporcata dalla consapevolezza che tutto sarebbe finito troppo in fretta. Elena mi accolse in abito da sera, abito che ben presto finì sul pavimento.

Quella sera andai a letto ancora inebriato di lei e dimenticai di compilare il mio taccuino.

Il giorno seguente le bibliotecarie mi chiesero cosa succedeva ad Andrea Sperelli nella seconda metà del libro, non conoscevo la risposta. Mi impedirono di continuare il mio lavoro e mi misero in isolamento in attesa di ulteriori accertamenti.

Alcune settimane dopo sono venuto a sapere che hanno mandato qualcun altro dentro al mio libro. E hanno scoperto la verità.

 

Dicono che siamo una generazione senza passato, senza ricordi e senza rimorsi. E forse è vero.

Non mi pento di quanto è successo, nemmeno ora che sono qui, da solo in questa landa desolata, e non so più che anno è, e non so più nemmeno chi sono. So solo che morirò qua fuori, e probabilmente nessuno leggerà mai la mia storia. Ma io ho conosciuto l’amore e sono forse l’ultima persona che può ancora descriverlo.

Forse non era reale, forse è successo tutto nella mia testa, forse vivere le vite degli altri significa non vivere affatto, non ha più importanza ormai.

Il passato è solo ciò che ricordiamo e i ricordi migliori che ho sono tutti racchiusi dentro a quel libro.

 

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