Entrata


Entrata, illustrazione di Giulia Repetto

Entrata, illustrazione di Giulia Repetto

 

Le dita tamburellavano sul volante mentre il cellulare cercava una risposta. <<Andiamo Levante.>> Finalmente. <<Mi spieghi perchè ci metti tanto a rispondere? Sono la tua principessa. Sono Marco, chi diavolo pensavi che fosse? Cosa?>> la voce di Levante era debole, il dito mise al massimo il volume.<<Fermo fermo, so che non puoi parlare, lascia che lo faccia io.>> Un respiro interruppe la chiamata. <<Ho  sorvegliato il nostro uomo per un mese. Il tuo informatore ci ha visto giusto. Ha cambiato quattro macchine in tutto, una a settimana: rubate, ovvio. Solo per questo potevo trattenerlo, ma ho fatto come mi hai ordinato. Ieri è andato al porto, cosa strana per un infermiere di una casa di riposo. Le guardie del varco lo hanno fatto passare senza chiedere alcun tipo di autorizzazione. Una macchina infine lo ha avvicinato..esatto una macchina, da cui è uscito un ragazzo che è stato trasferito nella sua Clio. La destinazione? Proprio la casa di cura. In questi giorni ho fatto parlare un mio uomo con il personale della struttura, ci sono solo vecchi cariatidi lasciati li a morire dai propri familiari.>> Marco si interruppe lasciando che una domanda gli corrugasse la fronte. <<No, Levante. Non è possibile infiltrarsi nel personale. C’è un ricircolo incredibile tra gli infermieri e gli OSS, la sicurezza c’è solo di notte. Le uniche persone che marciscono lì dentro sono la receptionist e l’inserviente, almeno da quando sorveglio questo posto. Anche tra chi rifornisce il cibo, il ricircolo è repentino. Certo che ce l’ho fatta, per chi mi hai preso?>> Lo specchietto retrovisore del furgone rifletteva lo sguardo di Marco. <<Oggi puoi chiamarmi Alfredo Renaldi, della Specialità e Gusto. Si, non farò niente di avventato. Cerco solo il ragazzo e informazioni in più rispetto al quel tale. Stasera potrai sentire quanto sentirò io e non azzardarti a chiamarmi, ho un appuntamento. Ciao capo, a dopo.>> Piccoli automatismi si impossessarono del poliziotto, le mani tolsero le cuffie “devo solo entrare”, il trasmettitore venne posizionato, “e presentarmi in reception”, aprì la portiera “fare un’analisi rapida”, si coprì gli occhi dal sole, “e poi buttarmi sotto una bella doccia”.

Il sensore riconobbe il passo di Marco, facendo aprire la porta. La receptionist era assorta, sfogliava le pagine di una rivista, non aveva notato il passo nervoso del fattorino. La hall era vuota, ampie vetrate lasciavano che i raggi del sole si immergessero nella struttura. <<Signora buongiorno. Sono della Specialità e Gusto, ho il carico nel furgone.>> Con flemma le dita tremanti della signora appoggiarono la rivista sul bancone. Gli occhi vitrei della donna penetravano quelli di Marco, inquisendogli lo sguardo. <<Caro, buongiorno. Mi può dire il suo nome?>>

<<Sono Renaldi Alfredo, signora..?>> la interrogò Marco. <<Elvira>> sorrise. <<Avverto subito i ragazzi. Farò firmare la bolla di carico dal responsabile.>> Marco annuì, lasciando i moduli sul bancone. <<Mi scusi signora Elvira, perdoni l’indelicatezza, ma mi scappa! Potrebbe indicarmi dove posso trovare bagno?>> con assenso Elvira si alzò in piedi. <<Giorgio, mio caro, puoi mostrare il bagno a questo giovanotto? Sai, gli scappa.>> Marco intercettò la traiettoria di Elvira che proseguì fino al sorriso dell’inserviente. Con un gesto lo chiamò a sé. <<Grazie.>> disse Marco avvicinandosi cauto all’uomo. << Una splendida giornata non è vero?>> l’accento dell’est spiazzò Marco. <<Davvero splendida. Ci godiamo gli ultimi soli prima che ottobre mostri la sua vera natura!>> disse Marco provocando la risata dell’inserviente. Imboccarono un corridoio, dove un gruppo di uomini procedeva verso di loro. Non c’erano dubbi. L’uomo in testa era il suo uomo. Marco abbassò la visiera del suo cappello salutando il personale, ma il capofila interruppe la sua marcia. <<Buongiorno signore. Stiamo andando a scariche le delizie della vostra cucina. Sappia che i nostri ospiti né gradiscono la fragranza e freschezza.>> Marco sorrise, mentre vide lo sguardo dell’inserviente connettersi con l’infermiere. <<Grazie a voi per scegliere la nostra cucina.>> L’infermiere sorrise, ma prima di congedarsi si rivolse all’inserviente. <<Giorgio, mi raccomando, prenditi cura di lui. Puoi portarlo nell’area ospiti.>>

<<Da questa parte.>> Giorgio aumentò il passo. Il momento era perfetto, doveva solo lasciare che l’inserviente lo lasciasse per qualche minuto. <<Signor Giorgio, quanta fretta!>> il passo di Marco aumentò. <<Non si preoccupi, se mi dice dove posso recarmi non le ruberò altro tempo.>> Gli occhi di Giorgio si spalancarono, mentre sorriso scoprì la dentatura giallastra. <<No, signore. Siamo arrivati.>> Nessuna indicazione. Una porta come un’altra. Giorgio scostò la giacca, mettendo alla luce la sua pistola. Marco si pietrificò. La mano di Giorgio trovo un mazzo di chiavi in tasca. <<Lei è curioso signore, troppo. >> Giorgio rise, aprendo la porta. <<Ora scenda, qualcuno verrà presto a prendersi cura di lei.>>

Marco cercò di parlare, ma l’indice di Giorgio fece scattare la sicura dell’arma. Senza aggiungere altro, Marco varcò la soglia. La porta sbattè, portandosi via il Sole. Le luci di emergenza illuminarono le scale. Il cuore martellava feroce, la mente vorticava senza dare tregua al respiro.

Mi hanno fregato.

Il cellulare. Doveva chiamare Levante. Il numero. Le mani tremavano, a fatica l’indice sbloccò lo smartphone. L’attesa di una connessione logorava il tempo. Maledizione Levante, perchè non rispondi. Senza altra possibilità Marco iniziò la sua discesa, immergendosi nel buio. L’ultimo scalino rifletteva un faretto impazzito, che illuminava con capriccio un corridoio stretto. Le pareti erano bucate da porte d’acciaio, a destra e a manca. La luce scricchiolava, mutando la sua ombra. Occhi avidi lo stavano studiando. Un urlo attraversò il silenzio perforando la pelle del poliziotto. Pugni violenti si abbatterono sulle porte. La paura prese il sopravvento. Corse, annaspò raggiungendo la porta che confinava il corridoio, spingendola senza trovare resistenza. Il fiato si era arpionato in gola, spaccandogli le labbra. Le gambe non smisero di tremare, anche se  il muro dava sostegno al poliziotto. Cercò di esaminare la stanza troppo poco illuminata. Lettini di acciaio ne riempivano la stanza, ma non tutti erano vuoti. I suoi passi gli facevano eco, un freddo di un altro mondo lo avvolgeva. La mano si mosse verso il lenzuolo. Un ragazzo. Una benda pregna di sangue ne copriva il viso.

E se fosse..

Le mani sciolsero le bende, trattenendo lembi di pelle e carne. L’odore gli schiacciò lo stomaco. Il bulbo oculare era reciso, colò come una lacrima via dalla testa. È lui.

Marco non si fece attendere, aprì la porta gettandosi nel corridoio. La luce guizzava ancora, ma non definiva completamente l’uomo davanti a lui. <<I tuoi passi erano osservati da altri occhi.>> ghignò l’infermiere. La pressione dello stomaco piegava Marco in avanti, facendogli urtare le ginocchia sul pavimento. Non riuscì ad opporre resistenza, le lacrime gli offuscavano la vista, le orecchie piene di urla. <<Ora squittisci qui, presto verrà a prendersi cura di te.>> Non c’era luce, non c’era uscita da quelle quattro mura, non c’era aria.

<<Levante cazzo. Pronto, sono Ramoverde, mi passi Levante. Come una sparatoria? No.>>La mano tasto il muro per trovare ancora equilibrio, ma il tatto lo fece vacillare. Carne e ossa. Le lacrime caddero di nuovo. La torcia del telefono illuminò il pavimento poi la mano salì investendo di luce piedi, schiena e testa. Un ragazzo fissava il muro di fronte a lui, un camice bianco copriva il suo corpo. <<S’accabadora>> gemette.

<<Non c’era motivo di venire.>> disse il ragazzo. Marco cercò di fermare le lacrime che scoraggiavano le sue parole. <<Qui le anime, volano, raschiano la terra ancora una volta e lasciano questa terra.>>  La pistola, perchè non aveva portato la pistola. Dovevo solo entrare, che diavolo succede.

<<Sai, ognuno dovrebbe trovare il tempo per sedersi e guardare la caduta delle foglie>> continuò il ragazzo. <<invece gli uomini vivono, muovendosi tra gli attimi, pigramente. Ma tanto questo non fa differenza: nella gioia del crepuscolo, morirete tutti.>> Campanelli spezzavano l’aria, un’eco fastidiosa che proseguiva lesta. La luce trapassò l’oscuro, la porta si aprì. I sonagli scandivano ogni passo, disegnando una sagoma che entrava nell’ombra. Un mantello nero, la morte camminava i passi dell’uomo. La figura sovrastò il ragazzo, accarezzandogli la nuca. L’altro braccio si levò in aria. <<Sarà pace.>> una voce di donna uscì dalla maschera. Il martello calò. Marco si trattenne con la mano un grido, incatenato nella sua stessa paura. Tutto era immobile poi qualcosa rovinò a terra, sangue e cervella colavano. L’anima lasciò cadere il corpo di lato. Un solo gesto della mano benediva il silenzio. Il telefono vibrò, facendo si che la luce divenne intermittente. Lo sguardo di Marco si levò, ricambiato da occhi nascosti. La maschera bianca della donna piangeva rossa. La luce ne scattava i movimenti. Pochi passi. Urla riempivano l’aria, Marco si unì ad esse. Le dita della donna asciugarono le lacrime. <<Sarà la tua pace.>>

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