L’altro


L'altro, illustrazione di Giulia Repetto

L’altro, illustrazione di Giulia Repetto

L’asfalto terminò il suo percorso. La terra ne prese il posto, modificando la sua andatura. Le ombre degli alberi avanzavano sotto i suoi piedi, tracciando i bordi del sentiero. L’aveva già salutata, ma il suo profumo e le labbra ancora umide lo tenevano incollato al ricordo di qualche momento fa. La strada di ritorno che sempre si era immaginato. Non pensava che Eleonora potesse essere il suo nuovo inizio, sarebbe stato troppo bello. Eppure era così. Ma senza troppa fretta. Era ancora in tempo per rovinare tutto raccontandole la verità. Casa di sua zia non era distante, sarebbe arrivato per cena passando per il bosco.

Il suo sorriso era una promessa: nulla poteva andare storto da quel momento in avanti. Persino uno come lui aveva una nuova possibilità, percepire ancora la felicità. La batteria dei Metallica faceva da metronomo ai passi. Non riusciva a togliersi quel sorriso stupido dalla faccia. Ammirava le foglie tingersi d’oro con tanta frivolezza come mai aveva fatto. Sotto la voce di James Hetfield poteva sentire quella del suo migliore amico, immaginandolo mentre lo sfotteva e si scostava dal viso quell’eterno ciuffo. La promessa era anche per lui: non avrebbe più lasciato indietro nessuno. Il Festina segnava le 19:58 ed il tramonto stava annunciando la fine di quella giornata d’agosto.

Il passo aumentò leggermente, giusto per star dietro alla doppia cassa. Dopotutto poteva dedicarsi qualche minuto, lasciarsi andare alla spensieratezza, indugiare un momento a quella leggerezza che rilassa lo stomaco. Il sole picchiò sul monte, finendo inesorabilmente dietro di esso. <<Ma si, basterà la luce per arrivare a casa>>. Un incendio aveva da poco investito quel lato di monte, il bosco ne era sfigurato. Gli alberi e la terra ne portavano immobili le cicatrici.

Il crocevia: ancora qualche minuto e sarebbe tornato sulla strada principale. Quel bivio fu uno dei primi approcci a Genova. Saliva come un ladro prendendo il sentiero più a oriente. Seduto sulla cima dello strapiombo osservava la Superba dall’alto, come se da lassù potesse trovare quella tanto agognata felicità. Ma non era tempo di riprendere quei passi, nonostante il ricordo di se stesso fosse vivo davanti a lui. Si stava rivedendo scendere a gran velocità dal sentiero. D’istinto le mani allontanarono la musica. Gli stava davvero correndo incontro qualcuno. Un torpore lo prese alla sprovvista facendolo tremare. Accelera, ancora. L’ombra era sempre più vicina, prese le sembianze di un ragazzo. Sterzò di colpo inchiodando la sua corsa.  Era chino davanti a lui, con il fiato troncato. Un taglio percorreva il ginocchio del ragazzo, interrompendosi in una macchia rossa al di sotto della tasca dei blue jeans. La fatica gli crepava la gola, la voce era spaccata. <<A..Aiutami. Aiutami>> L’incredulità della scena lo rese muto. Il cuore martellava, risonando fuori dalla cassa toracica. Le mani tenevano ancora le cuffie, che tremavano. Poi le parole uscirono fuori dalla sua bocca, inconsapevoli.

<<Calma e respira.>> la sua voce era stridula, gli faceva paura. <<Sono Paolo.>> aggiunse. Quelle parole si aggrapparono alla lingua. <<Cos’è successo?>> Il ragazzo si alzò superandolo di almeno venti centimetri. <<Ma io ti ho già visto.>> disse Paolo. Si, ma dove? <<S..Stefano, mi chiamo Stefano.>> Il respiro iniziava a farsi regolare, ma la voce era disturbata, un’interferenza che aveva colpito anche Paolo. <<Ti ho visto e ho gridato sperando mi sentissi, ma le cuffie..>> già, l’assolo degli Iron Maiden smorzava il silenzio sulle sue spalle. <<Stavo camminando quando l’ho visto>> proseguì Stefano, ogni suono si fece sordo << C’è un uomo a terra >>. Paolo cercava in sé la calma, ma mentre Stefano parlava sentiva che non doveva immischiarsi. <<Non so se ha avuto un malore, ma è quasi in cima alla vetta e sono senza batteria nel telefono>>.

<<Merda>> Il telefono scattò in mano<<chiamo aiuto.>> disse Paolo. Ma non fu rapido nel digitare il numero, Stefano lo afferrò per un braccio. <<Non c’è tempo, dobbiamo stabilizzarlo! Sono volontario nella croce verde, so come procedere, ma da solo non riesco>> Volontario? Il suo sguardo era preoccupato, cosa doveva fare?<<Cazzo andiamo.>> Il cielo si inzuppava d’inchiostro ad ogni passo. La ferita sulla gamba di Stefano lasciava traccia del suo passaggio, eppure stava davanti a Paolo di almeno un paio di metri. I polpacci si incendiavano per lo sforzo. Il viso di Stefano richiamava alla mente di Paolo un fumoso ricordo, ma i cassetti della memoria non gli fornivano aiuto per delinearlo.

Il bosco si scuriva, le radici gli si pararono davanti, come se uscissero col buio per farlo incespicare di proposito. I polmoni si dilatavano a stento, costretti dal catrame delle ultime sigarette. <<Stefano>> disse boccheggiando <<dove cazzo..>>. La luce era quasi sparita quando Stefano arrestò la sua marcia. L’aria gli pungeva la pelle sudata. Il fiato stentava a tornare. Una forza invisibile bloccava la sua guida. Il tempo passava inesorabile e l’oscurità lo stava inghiottendo. Improvvisamente riprese a correre in un’altra direzione. <<Stefano!>> il ragazzo fu come attraversato da corrente elettrica. <<Vai ancora avanti dritto in quella direzione, >> rispose con voce roca <<venti metri più o meno. Appena arrivi guarda se respira e sentigli il polso>> La scena era surreale, ma Paolo registrava tutto. <<Va bene?>> si accertò Stefano senza degnarlo di uno sguardo. <<Si scusa, sono solo agitato.>> Neanche Paolo voleva guardarlo negli occhi. << Tu dove vai?>>.

<< Ho visto qualcosa che può aiutarci a trasportarlo>> Va bene, pensò Paolo.

Paolo fece scattare la torcia nel telefono e di risposta vibrò, annunciando il 15 % di batteria.  E ancora << Solo chiamate di emergenza. Per una volta non mi frega se non prende>> Le foglie secche schiacciate al suo passaggio coprivano i rumori del bosco, ma alcuni catturarono la sua attenzione. Gemiti. Cosa poteva essere? Proseguì.

Il bosco si diradava dando sfogo ad un piccolo spazio. Il fascio di luce fendeva il buio colpendo gli alberi. Ad ogni passo l’oscurità si faceva meno cieca. Ecco l’uomo. Il cuore di Paolo batteva all’impazzata, inerpicandosi in gola. <<Ma che..>> L’uomo era legato ed imbavagliato. L’odore si faceva più forte ad ogni passo, l’aria era quasi irrespirabile nei pressi dell’albero. Le sue mani si mossero decise per togliere la benda dalle irsute guance dell’uomo.

Un foglio di carta catturò l’attenzione di Paolo. La luce illuminava un biglietto, inchiodato alla corteccia dell’albero su cui poggiava il corpo inerme dell’uomo. La scrittura infantile ne rendeva difficoltosa la comprensione.

Addio madre o a presto. La speranza è consumata. Ucciderò la mia anima soffocandone la luce, prima che diventi il pasto della vita. Carne e ossa stridono sotto mascelle di errori masticano, mamma ho paura. Mi ha detto di scriverti, per salutarti, non sa se mi farà tornare. Tuo Stefano.

<<Cosa..cos’è successo>> Gli occhi incassati nel cranio non si aprivano. La saliva serrava come colla la bocca di Paolo, mentre le immagini più terribili lo trascinavano via dalla realtà. Fu l’uomo a destarlo. Un barlume di coscienza gli fece spalancare gli occhi, avviluppandogli il volto di terrore. <<Aiuto slegami>> Il panico gli contorceva il viso, mentre fissava il castano degli occhi di Paolo. <<Le mani non le sento più!>> disse l’uomo con un soffio di voce.

Paolo obbedì come un automa.  << Fa male, fa male>> guaiva l’uomo. La torcia del telefono faceva il suo dovere, ma gli occhi di Paolo erano offuscati. Gocce di paura si mischiavano al terriccio bagnato, un tracciato che conduceva dietro al pino. In un battito di ciglia si accorse che non vi era corda che costringeva le mani dietro la schiena. L’angoscia risalì dalle caviglie, azzannandogli il cuore. Le mani dell’uomo non c’erano.<< Ma cosa..>> L’olezzo cresceva da una pozza di sangue. Paolo rigettò indietro un conato di vomito, cercando più aria di quella che il mondo gli dava a disposizione.

<<E’ stato lui, mi ha fatto questo. Dobbiamo andare via>>

Il telefono. Il numero di emergenza. 5% di batteria. <<Presto, lui…>> l’uomo smise di parlare, pietrificandosi.

<<Pronto, numero unico emergenza>> Paolo sapeva cosa dire, ma non riuscì a rispondere.

<<Di cosa ha bisogno? Pronto?>>

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