Estopia – Capitolo XV – L’Usurpatore


Capitolo precedente: Gli Eredi

 

Quando Luthen uscì dalla sua trance, tutta la conoscenza accumulata in centinaia di anni dai sovrani di Estopia era fluita nella sua mente. Il corpo del vecchio re giaceva ora esanime tra le coltri e, sollevandosi a sedere, Luthen rivolse al quel corpo una lunga occhiata distante. Sapeva di essere cambiato ma una parte di sé si sentiva in qualche modo tradita da quanto gli era stato trasferito, come flusso di pensieri, dal sovrano defunto. Non si chiese nemmeno per un momento se potesse opporsi a quel destino che gli dei avevano deciso per lui. Ma la consapevolezza del sangue che il suo compimento avrebbe richiesto lo disgustava e sapere che Freyja era in realtà l’incarnazione della dea Jörð, ciò che il suo popolo chiamava da secoli il Ren Løfte, il sacro pegno necessario ad ottenere qualsiasi grazia, lo sconvolgeva. Non aveva notato nessun potere in Freyja sin da quando l’aveva conosciuta, ancora nascosto nel corpo di Lidia. Era una creatura fragile, paurosa, capace di dimostrare un amore senza condizioni. Nel momento in cui aveva ripreso finalmente il possesso del proprio corpo, Luthen si era accorto di provare più della semplice amicizia per la fanciulla, nutriva per lei un sincero affetto che avrebbe potuto tradursi in amore se la sua mente fosse stata sgombra dalle ansie e dalle preoccupazioni legate alla missione che lui e Lidia dovevano portare a termine. Ora Luthen sapeva che Freyja sarebbe dovuta morire, sapeva che sarebbe stata sacrificata per implorare Dreki di sigillare di nuovo le nubi nell’empireo e concedere ad Estopia di continuare ad esistere. La città sarebbe stata ricollegata al resto del continente e la sua magia avrebbe regolato di nuovo il quieto svolgimento della vita. La guerra che si preparava tra le maggiori città del Regno dell’Acqua per il predominio sarebbe stata stroncata prima di scoppiare e lui avrebbe regnato in pace su un popolo finalmente prospero che avrebbe ripreso contatto con le proprie radici e tradizioni. Il dio Flóð sarebbe stato nuovamente adorato nei templi e la magia dell’acqua ormai perduta da secoli sarebbe stata tramandata di nuovo. Luthen stesso l’avrebbe risvegliata negli eletti che ora vivevano ciechi nel Continente. Luthen sapeva con certezza tutto questo perché la visione mistica che aveva avuto gli aveva mostrato chiaramente il futuro. Sapeva anche che avrebbe riottenuto il trono da suo zio, l’usurpatore. L’esercito stesso, una volta che lui gli si fosse rivelato rivestito degli antichi simboli e avesse manifestato la propria natura semidivina, non avrebbe esitato ad accordare la sua fedeltà al legittimo erede al trono, l’unico individuo in grado di opporsi alla pioggia incessante.

Ciò che non aveva visto durante il passaggio del sapere era il ruolo che sua sorella avrebbe svolto in quel processo di riconquista, di ripristino della giustizia.

Lidia, la persona all’interno della quale aveva vissuto per tanti anni e che avrebbe dovuto conoscere più intimamente di chiunque altro, era un essere schivo e freddo. Il suo ruolo era quello di garantire il suo enorme potere ed il suo supporto incondizionato al fratello: nella genealogia della famiglia reale, loro due erano stati un’anomalia. Mai erano nati due gemelli nella linea degli eredi; inoltre, il fatto che entrambi fossero dotati di potere significava che la natura di Lidia era, come la sua, quella di un semidio e ciò rendeva la loro sola esistenza ancor più sorprendente. Che il potere naturale venisse passato non solo all’erede ma anche ad un altro figlio era qualcosa di mai accaduto prima. Suo zio, l’usurpatore era uno stregone ma non possedeva un potere naturale, conosceva la magia e l’arte di piegare la natura per i  propri scopi ma non si sarebbe mai potuto opporre al legittimo erede, una volta che la successione della consapevolezza fosse avvenuta. Non avrebbe potuto nemmeno assassinare il padre di Luthen e Lidia se non avesse venduto la sua anima all’oscurità per liberare il Dökk che aveva, di fatto, ucciso suo fratello maggiore.

E la stessa possibilità del fratricidio era dipesa dal fatto che il padre di Lidia e Luthen non avesse cercato di difendersi. Luthen non conosceva la storia dei propri genitori, nonostante tutto il sapere accumulato nella sua mente la vicenda dei suoi genitori rimaneva indefinita nei contorni. Luthen sapeva che suo padre non era mai riuscito a reagire dopo aver perso la sua sposa. La  principessa, madre sua e di Lidia, era infatti perita poco dopo il parto. Forse per quel motivo, il principe Tyndall aveva scorto  nell’attentato da parte del fratello una via di fuga da un dolore che non gli lasciava scampo.

Luthen sapeva che Lidia aveva un ruolo ben preciso all’interno della complicata vicenda della successione ma fino a quel momento aveva pensato che gli dei l’avessero dotata di potere per consentirle di conservare e proteggere il legittimo erede al trono. Ora che non aveva avuto visioni di lei, durante il suo viaggio mistico, Luthen sapeva di dover stare in guardia perché quello ricoperto da Lidia era un ruolo delicato ed essenziale. Doveva allontanare i dubbi dalla sua mente e affrontare il destino con coraggio, se necessario, in modo spietato. Il copione interpretato da Freyja non era stato più casuale del loro: sin dall’inizio lei stessa aveva agito solo assecondando il suo fato. Ed ora andava incontro al sacrificio, di certo conscia della propria essenzialità.

Luthen era consapevole, tuttavia, che non avrebbe avuto il coraggio di incontrarla di nuovo prima della cerimonia.

Il suo compito, ora, era quello di organizzare la spedizione alla reggia di Estopia ed eliminare suo zio il prima possibile.

Si alzò dal giaciglio su cui lo avevano adagiato ed indossò, sopra i suoi abiti, una leggera corazza di cuoio recante, insieme a simboli ancestrali, lo stemma del casato reale. Compiuta quella breve vestizione, uscì dalla tenda.

Fuori, ad accoglierlo, trovò un manipolo di uomini armati e allineati; il vate Tystnad avanzò e giunto dinnanzi a lui si prostrò in un inchino.

“Il Re di Estopia ritorna alla sua Terra ed il suo potere scaccia l’usurpatore! Che la gloria della verità illumini sempre il suo cammino: lunga vita a Re Luthen!” Esclamò con voce profonda.

“Lunga vita a Re Luthen!” proclamarono gli uomini schierati.

“Lunga vita a Re Luthen!” acclamò chiunque fosse presente nell’accampamento.

Luthen lasciò scorrere gli occhi sulla piccola folla raccolta davanti alla tenda. Individuò la chioma rossa di Astipalea nelle file posteriori ed immediatamente seppe che era stata lei ad intrappolare Freyja. Avvertì gli occhi verdi di Lidia fissarlo prima di individuarla, un po’ in disparte. Parvero soppesarsi per un attimo, poi la sorella abbassò lo sguardo e accennò un inchino con la testa. Luthen le sorrise appena e, voltandosi verso Tystnad, disse:

“Ho bisogno di due cavalcature per me e per la principessa Lidia ed ho bisogno che tutti gli uomini in grado di combattere inizino, seduta stante, a marciare verso la città. Dopo che avrò eliminato il sovrano illegittimo e avrò destituito il capo dell’esercito, voglio che una scorta fidata occupi immediatamente il castello.” Poi aggiunse guardando il sacerdote: “Vi incontrerò domani all’alba, davanti ai cancelli della Reggia di Estopia.”

Il vecchio annuì con espressione grave mentre due immensi Jashae planavano tra la folla raccolta nella radura. Luthen avanzò verso il primo e, senza mostrare alcuna esitazione, Lidia montò in groppa al secondo. Il suo mantello nero si confondeva con i lunghi capelli che incorniciavano un volto pallido. I suoi occhi emanavano bagliori soprannaturali e la sua figura sottile appariva, nel complesso, imponente come quella del fratello nella armatura nera di Estopia.

I due animali balzarono in alto, allontanandosi nella luce del tramonto. Tystnad si voltò verso le persone in attesa nella radura e disse solamente: “Partiamo” perché tutti si muovessero all’unisono, seguendo l’orizzonte nella direzione in cui i due fratelli erano scomparsi.

Volarono in silenzio per quasi l’intera durata del tragitto che li separava dalla reggia. Poco dopo aver spiccato il volo, erano stati investiti da una pioggia sferzante che sapevano essere la stessa pioggia che voleva cancellare Estopia.

Quando ormai già si scorgevano le alte guglie del castello di pietra Luthen parlò nella sua mente perché Lidia lo ascoltasse.

“Sorella, so che sei turbata per la sorte di Freyja ma, credimi, ciò che stiamo facendo persegue un bene superiore. Ho bisogno del tuo sostegno in questa battaglia perché quelle che ha evocato nostro zio sono forze ancestrali e solo unendo il nostro potere riusciremo a sconfiggerle. E avrò bisogno del tuo appoggio dopo che questa battaglia sarà vinta perché non voglio regnare senza la persona che mi sta accanto da tutta la vita e di cui mi fido come di me stesso. Mi sosterrai, sorella?”

“Mio fratello e mio Re” La voce di Lidia echeggiò limpida nella mente di Luthen “Dici il giusto, sono con te dall’inizio. Io con te e tu in me, non siamo mai stati separati e non inizieremo ad esserlo ora. Combatterò al tuo fianco contro qualsiasi nemico ma tu devi promettermi che cercherai una via alternativa per fermare la maledizione e aspetterai, per compiere il sacrificio di Freyja, che ogni altro tentativo sia fallito.” Voltandosi a sedere sul grifone, Lidia cercò la figura del fratello che le volava accanto.

“Hai la mia parola” disse Luthen e Lidia vide le sue labbra muoversi nel sugellare la promessa.

“Allora ucciderò il Dökk per te e per Estopia” scandì Lidia con chiarezza nella propria mente.

La fanciulla non aveva mostrato alcuna esitazione nell’affermare che avrebbe ucciso il drago infernale e Luthen si chiese, per un momento, se dopotutto, il potere suo e quello di Lidia fossero davvero equivalenti.

La sagoma del castello si stagliava ora minacciosa davanti a loro e una mostruosa figura ricoperta di squame e avvolta dalle fiamme schizzò fuori dalla finestra della sala del trono, volando rapidissima verso i due grifoni.

“Dobbiamo atterrare al più presto!” Gridò Luthen. “Quella bestia ucciderà i grifoni e noi precipiteremo!”

“No, se io la colpirò prima! Tu prosegui e uccidi l’assassino di nostro padre!” Disse Lidia e, spronando la sua cavalcatura, superò Luthen slanciandosi verso l’essere fiammeggiante.

Luthen vide la sagoma sorella diventare sempre più piccola mentre scendeva a picco verso il Dökk. D’un tratto, dal suo corpo si liberò un intenso lampo di luce che puntò dritto alle ali della bestia, il Dökk scartò repentinamente, lasciandosi precipitare per alcune decine di metri. Poi, rapidissimo, recuperò l’equilibrio e schizzò in alto per travolgere il grifone di Lidia dal basso. La terrazza della sala del trono era lontana poche centinaia di metri ma Lidia non poteva volare senza il grifone e l’enorme uccello era debole se paragonato alle forze soprannaturali che si stavano affrontando. Luthen provò l’istinto di frenare la sua corsa per aiutare la sorella ma non lo assecondò, sapendo che il suo compito era quello di eliminare l’usurpatore. Saettò dunque in avanti, oltrepassando Lidia, per raggiungere al più presto il castello.

Lidia si accorse che il Dökk la stava caricando appena in tempo per far scartare di lato lo Jashae.

Comprese in quel momento che la Guardia che avevano incontrato prima sulla via di Glossa e poi quando lei e Luthen avevano quasi ucciso Freyja, era un’incarnazione di quello spettro infernale e che, comprendendo i sentimenti contrastanti che si agitavano nei cuori dei due eredi al trono, aveva agito consapevolmente in modo che essi stessi eliminassero il Ren Løfte prima che esso potesse divenire il Pegno per la salvezza di Estopia. Lidia ripensò al giorno, nella radura, in cui Luthen aveva travolto Freyja con la sua onda distruttrice: era stato il Dökk a provocare quella reazione e la rabbia che il fratello aveva provato nei confronti della guardia aveva soffocato ogni bagliore di consapevolezza in Luthen che aveva finito per scagliare un’offensiva e fatale.

Freyja però non era morta, aveva resistito ad un attacco che qualunque essere umano, e molti esseri dotati di potere, avrebbero subito come l’ultimo; Freyja era sopravvissuta. Questo sarebbe dovuto bastare ai due fratelli per comprendere come la fanciulla non fosse soltanto una giovane indifesa ma un essere in cui albergava una magia innata ed arcana. Eppure lei – Lidia – non se ne era resa conto. O forse, presuntuoso al punto di credere di poter resuscitare i morti, Luthen si era convinto di essere riuscito a salvarla, dopotutto.

In fondo, la strategia dell’usurpatore era stata semplice: non aveva un vero interesse a fermare i due eredi, sapeva che il potere che recavano era troppo potente per lui. Ma se fosse riuscito ad eliminare il Ren Løfte prima che esso giungesse all’altare di Flóð, li avrebbe privati dell’unico mezzo di cui disponevano per sigillare le nubi. E quello che l’usurpatore voleva era allontanare Estopia dalla Terra di Henn continuando ad imporre su di essa il suo dominio incontrastato.

Lidia sapeva che il Dökk era l’incarnazione di una potere oscuro e malvagio, liberato con il sangue e che solo il sangue avrebbe potuto ricacciare nelle profondità che lo avevano rigurgitato. Per questo sarebbe stato essenziale che Luthen eliminasse lo zio il prima possibile: se il fratello non fosse riuscito in quella missione, il sangue di Lidia avrebbe dovuto sigillare la bestia nel luogo di dolore da cui proveniva. Ma pur non temendo il proprio sacrificio, Lidia sentiva di non poter abbandonare Freyja: doveva vivere, almeno finche Freyja non fosse stata al sicuro.

Dalle fauci mostruose del Dökk si allungavano lingue di fuoco che lambivano il piumaggio del grifone. Improvvisamente, Lidia puntò al cielo e, dopo aver richiamato dietro di sé una fitta nebbia,  continuò a far salire il grifone finché, senza preavviso, si lasciò scivolare giù dalla sella, precipitando verso il Dökk che la inseguiva furiosamente. Lo Jashae si allontanò e Lidia si schiantò sulla schiena del demone, venendo avvolta dalle fiamme che la sua pelle squamosa sprigionava.

Nonostante l’intensità del dolore Lidia ignorò il fuoco che lambiva. I suoi occhi, ora del tutto privi di iride, scintillavano come sorgenti di pura luce e i suoi capelli frustavano l’aria mentre sfrecciava verso il basso, avvinghiata al mostro. Nella caduta, il suo corpo si caricava di energia e solo quando il groviglio formato da lei e dal drago fu a poche centinaia di metri dal suolo, con un grido acuto, Lidia ne scaricò il flusso sulla pelle squamosa del Dökk.

Per un momento tutto parve sospeso, poi, l’enorme corpo della creatura si sgretolò, letteralmente, liberando Lidia dalla morsa delle fiamme e lasciandola precipitare sulla schiena del grifone che, era riapparso al suo fianco in quella discesa a picco.

Il Dökk era sconfitto, forse definitivamente se Luthen avesse eliminato lo stregone che lo aveva evocato. Lidia atterrò piano alle pendici del castello: ora, Luthen avrebbe dovuto fare la sua parte e strappare la corona all’usurpatore. Poi, lei lo avrebbe costretto a mantenere la sua promessa e a liberare Freyja.

Non appena lo Jashae planò sulla terrazza della sala del trono, Luthen avvertì un’esplosione di energia talmente intensa da riuscire a provocare un’alterazione nella dimensione spazio-temporale della terra di Henn e seppe che sua sorella aveva onorato la propria parte del patto. Smontò dall’animale e si avvicinò alla grande finestra, accedendo alla imponente sala del trono.

L’usurpatore, suo zio, sedeva sul suo scranno e lo fissava con occhi carichi di odio.

“E’ stato dunque così semplice per voi eliminare il mio servitore? Colui che, da solo, è riuscito a frantumare il sigillo imposto alle nuvole dai nostri più antichi avi? Si è dunque accresciuto fino a questo punto il potere di voi due mostri? Siete un’anomalia ed un’aberrazione per la nostra famiglia!”

“Taci!” Luthen avvertì la propria voce rimbombare tra le volte grandiose della sala. “Hai regnato con empietà per troppi anni ma ora è finita e lo sai. Non puoi opporti a me né a mia sorella e sei talmente codardo che non proveresti nemmeno a farlo. La tua ora è giunta: alzati da un trono che non è il tuo e consegnami una corona che non ti appartiene.”

La stridula risata dell’usurpatore echeggiò a sua volta nella sala ma i suoi occhi erano dilatati dalla paura. Quello che Luthen aveva visto nella sua coscienza era vero: egli non avrebbe nemmeno tentato di opporsi perché sapeva di non averne la forza. Era tuttavia troppo indegno per accettare la morte senza tentare un’ultima disperata mossa omicida e Luthen sapeva anche questo.

“No, non avete eliminato il Dökk, povero sciocco. A meno che tua sorella non abbia versato il suo sangue e non credo, avete bisogno di sbarazzarvi di colui che ha evocato il demone. Tra pochi minuti il mio schiavo infernale sarà di nuovo al mio fianco a reclamare la mia anima! Sei solo un ragazzino ingenuo se credi che ti lascerò liberarti di me, conservando il tuo onore di sempliciotto.” Il volto di quell’uomo che non aveva mai incontrato prima era segnato dal tradimento compiuto nei confronti della propria stirpe. Il fratricidio aveva consumato il suo aspetto, non potendo deturpare un’anima che ormai non gli apparteneva più.

“Oggi, caro nipote, io perirò ma non prima di averti trasformato in un assassino di innocenti!” Pronunciate queste parole si alzò dalla sua seduta e gridò a gran voce: “Guardie!”

Le porte della sala si spalancarono e un drappello di giovanissimi guerrieri, con addosso gli stemmi reali, fece irruzione nella sala. In mano stringevano delle grosse balestre che incoccavano delle strane frecce dalla punta luminosa.

“E’ resina lavorata!” Pensò Luthen: un materiale artificiale creato con la magia e capace di consumare, fino a polverizzare, qualsiasi elemento con cui entrasse in contatto.

“Guardie, eliminate questo assassino che attenta alla vita del vostro sovrano!”

I giovani soldati si volsero a Luthen con un’espressione assente negli occhi: stregati.

Puntarono le loro frecce e le scoccarono all’unisono.

Luthen rimase paralizzato per una frazione di secondo. Poi, unendo le mani davanti a sé generò uno scudo di energia su cui le frecce di infransero. Quelle che, rimbalzando, caddero a terra, iniziarono a bruciare furiosamente, attaccandosi alla pietra del pavimento. Luthen non voleva uccidere quei giovani innocenti ma suo zio aveva ragione: se la fonte della sua esistenza nel mondo non fosse stata cancellata, sarebbe occorso poco tempo al Dökk per risorgere e l’onda energetica liberata era certamente costata a Lidia uno sforzo estremo. Forse non avrebbe resistito ad un ulteriore attacco.

Luthen si volse a cercare il suo unico obiettivo ma i soldati avevano rincoccato le frecce e scagliavano la seconda raffica di fuoco. Luthen non poté che generare un secondo scudo, cercando stavolta di avanzare verso il trono. Suo zio, tuttavia, si era rifugiato nelle retrovie delle guardie e cercava di abbandonare la sala.

“No!” Gridò Luthen e liberò d’istinto un debole attacco che avvolse, fulminandola, una delle guardie. Il giovane rimase impietrito per un lungo istante durante il quale i soldati ebbero il tempo di caricare una terza raffica di colpi e l’usurpatore guadagnò il fondo della sala, coperto da tre soldati scelti. Se fosse riuscito ad abbandonare quel luogo, Luthen lo sapeva, sarebbe stato impossibile eliminarlo senza provocare decine di vittime.

Improvvisamente, le balestre puntate dai soldati si incendiarono, trasferendo il fuoco alle mani e alle armature dei giovani che ruppero le fila cercando di arginare quelle fiamme innaturali. Le porte di accesso alla sala del trono si serrarono all’unisono con un rombo poderoso iniziando anch’esse a bruciare. Dalla grande finestra della terrazza, la figura di Lidia fece il suo ingresso nel luogo in cui, per secoli, i suoi antenati avevano esercitato l’autorità. Gli occhi della fanciulla ardevano ancora del bagliore innaturale che li aveva velati durante lo scontro con il Dökk, le maniche della sua tunica erano consumate e le sue braccia erano annerite dal fuoco. Lidia protese avanti le mani mostrandone le palme bruciate e una guizzante luce bianca travolse i soldati che si contorcevano ancora tra le fiamme della resina lavorata. Volgendosi verso la porta, Lidia vide l’usurpatore farsi scudo con il corpo delle tre guardie rimaste. La giovane mosse una mano di lato, come per scacciare un insetto, e i tre giovani vennero sollevati con impeto e sbattuti contro la parete: suo zio era inerme, il volto una maschera di odio.

“Sei tu…sei tu l’abiezione che ha ucciso sua madre nascendo!” Sbraitò con fervore, arretrando verso la parete incandescente. “Tu non appartieni a questa famiglia! Sei un mostro senza coscienza e senza pietà, sei solo uno strumento nelle mani di un potere privo di scrupoli e disumano. Non te ne rendi nemmeno conto, vero? Sei convinta di avere un’anima?! Non la hai, nessuno di voi due possiede un’anima, siete due assassini e brucerete nelle fiamme del vostro inferno personale prima di sedere sul trono di Estopia!”

“Nemmeno tu hai un’anima, l’hai venduta per massacrare il sangue del tuo sangue.” La voce di Lidia sembrava provenire da altrove, era profonda, stentorea: non apparteneva a quel corpo esile. Luthen la guardò sopraffatto dall’orrore e dalla nausea che l’odore della carne bruciata gli provocava.

Lidia si volse verso il fratello. “Uccidi questo traditore e la magia oscura di cui è circondato!”

Luthen sembrò annaspare un lungo momento prima che i suoi occhi venissero risucchiati dal nero delle iridi. Lidia gli si fece dappresso senza perdere il contatto visivo con l’usurpatore, allungò una delle mani ustionate e la posò sulla spalla del fratello. Questi tremò, mentre un’onda di energia avvolgeva il suo corpo fino a sollevarlo da terra.

L’usurpatore gridò invocando il Dökk mentre il potere che turbinava attorno al giovane re abbandonava il suo corpo per andare a schiantarsi sulla figura distorta dello zio. La sagoma dell’uomo avvampò in alte fiamme che lambirono il soffitto a volta della sala immensa. Un grido lancinante e disumano emerse dal crepitio mentre un’ombra nera enorme, mostruosa oscurava lo scintillio di quella torcia umana e lo risucchiava verso il basso, più giù, nella notte senza fine della dannazione. Fu un attimo che sembrò protrarsi per ore, finché la scura sagoma si sgretolò al suolo ridotta a cenere sottile e l’incendio, così come era scaturito, si estinse.

Il vortice attorno a Luthen si era fermato ed il giovane si trovò in piedi accanto alla sorella, mortalmente pallido. I suoi occhi avevano riacquistato il loro colore naturale. Sulla sala era sceso il silenzio e le fiamme alle pareti avevano smesso di crepitare. I soldati, feriti, giacevano, terrorizzati, attorno alla macchia scura lasciata dal rogo del sovrano. Erano tutti malconci ma nessuno, a parte quel primo giovane colpito da Luthen, avrebbe perso la vita.

Lidia si avvicinò al fratello e sussurrò.

“Nostro zio ha privato il Dökk di una parte della sua energia, l’ho sentito mentre combattevo il drago. Non l’avrei distrutto se fosse stato al pieno del suo potere demoniaco. Se non a costo di rinunciare io stessa alla mia vita. Quel vigliacco ha intrappolato la cupa forza del demone nel cuore del castello per distruggerlo nel momento in cui tu avessi avuto la meglio. Sapeva che sarebbe stato sconfitto e ha scelto di seminare un’eredità di dolore e morte. Se non troviamo immediatamente il deposito della resina lavorata e non ne conteniamo l’esplosione, il castello di Estopia e tutti coloro che lo abitano bruceranno.”

Lidia andò a sistemarsi di fronte al fratello e afferrò le sue mani. I due si scambiarono una lunga occhiata prima di annullarsi nel cerchio di magia generato dalla loro comunione.

“Se non troviamo il deposito della resina il castello si sgretolerà e noi con lui. Io non riuscirò a salvare Freyja e la terra di Henn sarà privata dell’ultima speranza di sottrarsi al caos.” Pensò Lidia mentre l’energia sua e di Luthen si sprigionava di nuovo, dolcemente, dai loro corpi, avvolgendoli di luce. La magia che essi liberarono penetrò fino nelle viscere del castello, perlustrandone ogni palmo.

Mentre gli eredi compivano l’ultimo disperato sforzo per salvare un luogo antico che loro stessi non avevano mai abitato, le guardie e i servitori assistevano allo spettacolo con occhi esterrefatti. Mai avevano visto quei due giovani maghi, mai avevano assistito ad un prodigio di tale intensità. Eppure, anche i più giovani, sapevano che molti anni prima, quando il vecchio re era stato spodestato dal suo secondogenito, i saggi del regno avevano salvato la prole del legittimo erede e la avevano condotta fuori da Estopia, forse fuori dalla stessa Henn, abbandonando con essa e per sempre, la terra dei propri antenati. Il nuovo re aveva fatto diffondere la voce che i bambini fossero periti nella fuga dalla città ma erano stati in molti a credere, o forse soltanto a sperare, che quelle voci fossero infondate. Poi, man mano che lo scorrere del tempo silenzioso trasferiva quella storia nella leggenda, il popolo aveva iniziato a dimenticare l’esistenza dei due bambini. Tuttavia, alcuni tra i più scontenti, non avevano smesso di coltivare la speranza che, un giorno, gli eredi legittimi sarebbero tornati per riprendersi il trono e fermare, una volta per tutte, la pioggia. Ed ora, eccoli lì, poco più che ragazzini, terrificanti nel loro potere, avevano poco di umano da comunicare a chi li osservava. Eppure, il re era stato incenerito e con lui l’ombra scura che lo seguiva da sempre e, forse, quei giovani avrebbero diffuso una nuova luce sulla reggia ormai da anni soffocata dall’oscurità.

In una cella angusta, nelle segrete del castello di Estopia, si celava un impenetrabile laboratorio magico. In quello sgabuzzino dimenticato l’usurpatore aveva studiato e coltivato per anni le scienze proibite, alimentando una indegna sete di potere e, apprendendo infine come piegare la natura al proprio volere, era arrivato ad evocare gli spiriti infernali più abominevoli per assecondare il suo odio e la sua bramosia.

In una sfera sospesa su un ampia vasca di pietra, la rossa magia del Dökk brillava a pochi centimetri dalla superficie metallica della resina lavorata nella placida, vendicativa attesa di divorare tutto. Lì, il potere dei gemelli la trovò e, avviluppandola, la dissolse. Scivolò, poi, sul placido lago di resina lavorata e, con uno sfrigolio sinistro, lo pietrificò insieme a tutto ciò che si trovava nel laboratorio, sigillando la sua porta di accesso ed il corridoio che vi conduceva ed isolando nello spazio alternativo aperto dalla energia liberata nello scontro con il Dökk, la ripida scala a chiocciola che conduceva a quella segreta.

Quando il castello e i suoi abitanti furono fuori pericolo e i due fratelli uscirono dalla trance che li aveva sopraffatti, trovarono ad accoglierli nella sala del trono uno stuolo di sudditi increduli che, inginocchiati, rendevano omaggio al legittimo sovrano.

 

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