Pretty Nice Girl – III – Viavai


Il giorno dopo il tempo continua a fare schifo ma almeno è venerdì.

Ogni venerdì Robert pretende che si faccia una riunione, alle 8 puntuali, in occasione della quale ci aggiorniamo sullo “stato delle cose”. In realtà, alla riunione partecipiamo soltanto io, lui, Max ed Josh che è il ragazzo che ha preso il posto di Barbara dopo che lei è stata trasferita al reparto Marketing Services. Robert stravede per lui e, anche se non si può dire che Josh sia antipatico, è il classico figlio di papà brillante a cui capitano continuamente occasioni d’oro per le quali gli altri sarebbero disposti ad uccidere: ha un anno meno di me ed è già stato assunto, il che vuol dire che ha un contratto, suo padre è un vice president della Atomic Heal, la compagnia petrolifera, e tutti lo trattano amichevolmente, compresi Jack e David Drake, il grande capo di Jack, praticamente il vertice della piramide, il Tutankahmon del post vendita. È capitato più di una volta che a mensa fosse invitato al tavolo con i manager e poi partecipa a tutte le riunioni di staff più importanti, dalle quali io e Max veniamo accuratamente esclusi. Tuttavia, è estremamente gentile e molto competente e i primi tempi, quando ancora c’era Barbara, noi due eravamo diventati piuttosto amici.

Tornando alla riunione del venerdì, non si capisce quale sia lo scopo reale, dato che noi quattro lavoriamo davvero a stretto contatto (oltre che in un quadrilatero di 3 metri per 3) e le novità ce le comunichiamo con una certo tempismo, però Robert è fissato con questa pagliacciata il che rende la faccenda della puntualità, il venerdì mattina, maledettamente importante.

Arrivo trafelata alle otto meno dieci, sono distrutta ma mi aggrappo disperatamente alla consapevolezza che è venerdì e che se è vero che c’è la riunione è anche vero che Robert evaporerà dall’ufficio alle tre e a quel punto il week end acquisterà un sapore più reale.

Come al solito non c’è niente su cui aggiornarsi che già non ci siamo comunicati nei giorni precedenti, perciò prendo svogliatamente appunti delle trite indicazioni di Robert e cerco di non addormentarmi mentre Josh si lancia in un appassionato report sullo stato di avanzamento del progetto su cui lavora.

Alle otto e mezza siamo di nuovo ognuno davanti al suo computer e io scrivo qualche email di buon giorno ai miei amici, consapevole che, almeno prima di un’ora, nessuno controllerà la posta dell’ufficio.

Poco dopo arriva Barbara ed esco per raggiungerla: ha un’aria tremendamente abbattuta. Di colpo, mi torna in mente la faccenda della riunione.

“Come mai sei così mogia?” Le chiedo mentre facciamo la fila per ordinare i cappuccini.

“Lascia perdere, stamattina è una catastrofe. Stanotte non ho chiuso occhio, morivo di caldo e penso di avere la febbre; mi è tornato pure quel dolore al ginocchio…” Fin qui è tutto nella norma: Barbara è ipocondriaca e, stando a quello che dice, non dorme mai la notte e muore sempre di caldo. Il dolore al ginocchio, invece,  è una novità: potrebbe essere la somatizzazione di qualche bega lavorativa.

“E la riunione di ieri l’avete  più fatta?” Cerco di mantenere un’aria vaga mentre verso lo zucchero nella tazza.

Mi guarda con occhi improvvisamente spiritati: “Quegli stronzi, non sai che hanno fatto! Appena tornata dal pranzo, ieri, mi hanno aggredita, Paul è stato brutale: hanno detto che non mi dovevo permettere di trattarli in quel modo, che non mi dovevo azzardare a convocare riunioni di chiarimento e meno che mai di coinvolgere Sylvia. Paul è stato davvero tremendo, anche volgare…” Per evitare che mi ripeta gli improperi di Paul nel bar zeppo di dipendenti, la incalzo: “E tu che hai fatto?”

“Niente. Cioè, sono andata da Sylvia, è ovvio.” Mio Dio.

“E lei?”

“Lei niente, ieri non c’era. Sta seguendo dei corsi di aggiornamento, torna lunedì. Ma voglio andare in fondo a questa storia…” Mi guarda depressa. Barbara non è cattiva, è che con la gente proprio non ci sa fare.

“Sai Barbara, forse dovresti lasciare perdere tutta questa faccenda, forse sarebbe meglio se ci mettessi una bella pietra sopra e provassi a recuperare i rapporti nella stanza…”

“Dici? Il fatto è che Sylvia a questo punto avrà già letto l’email…”

“Quale email?”

“Quella che le ho scritto ieri subito dopo essere stata assalita verbalmente da quegli animali dei miei colleghi! Le ho spiegato la situazione e le ho detto che ci dobbiamo chiarire una volta per tutte perché io mi voglio integrare nel team.”

Sì, con la grazia di un bulldozer!

“Beh, secondo me devi solo sperare che il fine settimana aiuti tutti a tranquillizzarsi perché questa cosa sta assumendo dei toni leggermente aspri…”

Torniamo di sopra e ci salutiamo. Max, dentro, è alle prese con una pila di fatture di pneumatici da controllare.

“Meno male che sei tornata, devo scendere in amministrazione.” E infila la porta traballando sotto il peso della carta. Io mi siedo pigramente al mio tavolo, ancora le dieci e un quarto…

Mentre sono ipnotizzata da un foglio di lavoro Excel, il mio cellulare comincia a vibrare.

Oddio, un numero sconosciuto, magari mi chiamano per un colloquio. Non posso certo rispondere qui in stanza rischiando che tutti ascoltino.

“Max, quanto ci metti a risalire…” Penso in preda all’agitazione.

Il cellulare vibra ancora, ma non posso aspettare in eterno. Con uno scatto improvviso mi lancio verso il corridoio “Al diavolo: non mi può impedire di andare in bagno!” Robert è talmente fissato con questa storia del presidio della postazione che quando è costretto a partire per lavoro ci chiama all’ora di pranzo, anche a distanza di pochi minuti, per controllare che io e Max non scendiamo a mensa insieme.

Esco per le scale di servizio e rispondo.

“Pronto? Miss Schneider?”

“Sono io.”

“Buongiorno, sono Liza Dalby, la chiamo dalla Sommers Incorporated. Abbiamo ricevuto il suo curriculum e vorremmo fissarle un colloquio. Le andrebbe bene martedì 6 dicembre alle 14,30?”

È tra meno di un mese.

“Oh, sì io…grazie! Io al momento sto lavorando, non sarebbe possibile sostenere il colloquio nel tardo pomeriggio, diciamo dopo le 18,30?”

“Mi dispiace, Miss Schneider, ma la Dottoressa Lewis non ha altri momenti vuoti in giornata. Altrimenti dovremmo spostare il tutto a…mi lasci guardare…non c’è niente prima della fine del mese e…”

“Martedì alle 14,30 va benissimo!” Mi sento dire.

“Bene, a presto, allora.” E attacca.

La Sommers Inc. è una casa editrice scientifica che organizza un master in giornalismo molto ben strutturato. È un master piuttosto costoso, ma ci sono diversi sponsor che mettono a disposizione delle borse di studio e qualche settimana fa ho mandato il mio curriculum insieme ad una lettera di presentazione manoscritta (era richiesta nel modulo) per tentare di ottenerne una.

Sarebbe un’occasione grandiosa, anche se probabilmente per seguire i corsi dovrei lasciare il lavoro. Tanto, con quello che guadagno in Global, posso benissimo cercarmi un lavoretto part time per arrotondare la borsa di studio.

Magari nella libreria di Bradley hanno bisogno di personale.

Rientro in stanza con aria circospetta, in fondo sono stata via solo pochi minuti ma Robert mi fulmina con un’occhiata.

“Ophelia, mi sembrava di essere stato chiaro su questo punto, tu e Max non vi dovete mai allontanare insieme. Mai, capisci? Se fosse capitato qui Jack o peggio, David, ci avremmo fatto una figura veramente pessima!”

“Dio Robert, scusa: ero in bagno”

“Dì pure al telefono per le scale…” Santo cielo, mi spia! “Capisco che sia venerdì, ma puoi anche aspettare che Max rientri per organizzarti il fine settimana!”

Beh, almeno non ha ascoltato la conversazione. Non mi resta che scusarmi e rimettermi al lavoro: certe volte mi sento un minatore dell’ottocento, Robert è un aguzzino! Deve avere delle tendenze sadiche…ce lo vedo con frusta e perizoma.

Comunque, ora mi devo concentrare sul colloquio: cosa mi metto? Devo sembrare determinata, le borse di studio non le danno facilmente e senza contributo economico di fare il corso non se ne parla.

Mi siedo al computer e noto subito una bustina lampeggiante: ho un’email, che bello. Adoro ricevere email personali in ufficio.

È Emma che, per stasera,  propone un nuovo locale dove fanno musica dal vivo. Perché no? Basta che non si debba ballare: mi va di ascoltare un po’ di jazz e bere una birra in tranquillità.

Rispondo che per me è ok e controllo chi è in copia: Bradley, ovviamente, Rebecca e Zoe che sono le due ragazze con cui Emma divide l’appartamento, Will il ragazzo di Zoe e Peter Boyd un amico di Emma, un tipo piuttosto strano ma, a suo modo, interessante. Credo che Emma gli piaccia e mi sembra che anche a lei non disdegni la sua compagnia ma preferisco non approfondire perché Emma è particolarmente suscettibile sull’argomento “uomini”. E anche su tanti altri, purtroppo.

Nel pomeriggio la pioggia sembra calmarsi, alle quattro, come previsto, Robert saluta tutti e va via e noi superstiti della settimana tiriamo un sospiro di sollievo. Verso le sei arriva Jack che è stato chiuso tutta la giornata nell’ufficio di David Drake a discutere della campagna vendite invernale. Lo guardo venire verso il mio tavolo con aria affamata. Che novità! Peccato abbia appena mangiato un delizioso pacchetto di crackers al formaggio!

“Ciao ragazzi” Con un mezzo sorriso comincia a perlustrare i nostri tavoli “Qualcosa da mangiare?”

Mi dispiace per te, scroccone, arrivi tardi!

“Niente, Jack…scusa”

“Oh, non c’è problema” Afferra il mio pacchetto di gomme da masticare con aria delusa e ne prende un paio. Accidenti a me e a quando non le ho rimesse in borsa!

“Robert?” Domanda guardandosi intorno.

“Beh, Robert è andato via un paio d’ore fa…” Esulto per il colpo assestato al verme!

“Ah.” Di nuovo aria sconsolata. Quest’uomo deve annoiarsi molto, quando non lavora.

Pochi secondi dopo, Amanda Pitt, un’insopportabile brand manager, avanza verso di noi sorridendo a Jack.

“Ehi, Jack, sempre a lavorare? Nemmeno il venerdì ti concedi di uscire prima?” Cinguetta, senza degnare me e Max di uno sguardo.

Jack sorride “Bei tempi Amanda, quando anch’io ero brand: una vita di vacanza!”.

Prima di diventare Capo del Post Vendita, Jack era il coordinatore dei Brand Manager e, almeno da un punto di vista sociale, abbiamo tutti la sensazione che si trovasse molto meglio con il suo vecchio team. Appena ha un attimo corre da loro a scambiarsi battute e ho la sensazione che con alcuni brand si veda anche fuori dall’ufficio.

Non è che gli si possa dare interamente torto: i brand manager sono tutti intorno alla trentina, snob e fighetti, credono di rappresentare una specie di casta e quando passano in tre o quattro nei corridoi hanno l’aria di divertirsi un mondo.

Cioè, io li trovo insopportabili (e il fatto che nessuno di loro si prenda mai il disturbo di salutarmi non contribuisce a migliorare la situazione) ma credo che Jack li rimpianga. Certo, paragonati al suo team attuale…In pratica sotto di lui ci sono Robert, Katya, Leopold e Josh oltre a Max e me. Robert è già stato ampiamente elaborato, Leopold è un fanatico della palestra, fissato con gli antichi Romani più vicino ai 60 che ai 50: diciamo che è uno che vive un po’ sopra le righe, adora esagerare, sbraitare al telefono, fare battutacce…l’unico pregio è che tra i suoi passatempi preferiti c’è quello di prendere in giro Robert. Katya invece non è male ma ha quell’aria da prima della classe un po’ fastidiosa e non credo che Jack le vada molto a genio: era molto legata ad Andrew, il predecessore di Jack, che era stato il suo capo anche quando lei faceva ancora il lavoro in zona e l’aveva voluta per il posto che ricopre adesso. Poi c’è Josh ma, nonostante sia brillante, è troppo giovane perfino per Jack; e per finire Max ed io, praticamente la base della catena alimentare, condannati da un insulso contratto di stage a sbrigare il lavoro sporco e a dividere la pausa pranzo. Jack supervisiona anche altre quattro persone dell’ufficio analisi, ma nessuno merita neanche di essere nominato in questa sede.

Ad ogni modo, mentre Jack e Amanda si allontanano tiro un sospiro di sollievo e metto le gomme nella borsa: sono quasi le sei e trenta, l’ora giusta per dileguarsi.

Appena arrivo a casa telefono a Bradley.

“Brad? Che combini?”

“Ciao Phi. Sono nella jacuzzi in attesa che la massaggiatrice mi cosparga di olio per la terapia di rilassamento orientale. Tu? Già a casa?”

“Scherzi?! Stiamo giusto mettendo a mare il tender per andare a prendere un aperitivo in spiaggia: c’è un tramonto stupendo….” Dobbiamo finirla con questo gioco cretino.

“Ci vieni stasera con Emma?” Chiedo.

“Mah, non saprei, le serate di Emma per locali sono sempre diverse da come uno se le immagina e io non mi sento ancora in forma…”

“Ma dai, Brad, non fare il lagnoso: uscire ti fa sicuramente bene! E poi chi dice che una serata imprevedibile sia peggio di una banale?!”

“Non è esattamente quello che intendevo, Ophelia: l’ultima volta che Emma ha scelto il locale mi hanno quasi arrestato…”

“Ma è stato secoli fa! E poi, scusa, nessuno ti aveva detto che quel bassista era il ragazzo di Emma, lei è sempre tanto riservata…”

“Come ti pare, però c’ho rimediato uno zigomo nero e una corsa sotto la pioggia per scappare prima che arrivasse la polizia. Oltre al fatto che sono dovuto uscire dalla finestra del bagno e ho strappato la giacca di Vintage che mi ha regalato mio fratello per la laurea…”

“Mio Dio, Brad, quanto sei noioso! Se non ricordo male, quella sera, rissa a parte, ce la siamo spassata. E poi si tratta solo di andare ad ascoltare un po’ di jazz. Non ti andrebbe una birretta e un po’ di  Vince Guaraldi?” Ho fatto centro. Ora, per onestà intellettuale devo aggiungere: “E poi, scusa, se tu non vieni io con chi torno a casa…” Che verme sono.

“Sei un verme! Va bene, vengo: ma prendilo come un favore personale!”

“Ok, grazie Brad.”

“Un favore personale è un favore che mi dovrai restituire…”

“Intesi Brad, sei un mito. Ci vediamo qui sotto verso le dieci?”

“Ok, alle dieci”

“A dopo”

Appena attacco chiamo Emma che ovviamente non è in casa. Mi risponde Zoe che mi dice che il locale è ad Inslington e l’appuntamento è alle undici. Zoe è un vero amore di ragazza: ha ventisette anni, due più di me ma sembra una scolaretta con una montagna di riccioli biondi ed un incarnato rosa, di porcellana, da fare invidia. Lavora in una galleria d’arte molto conosciuta e frequenta un mucchio di gente elegante. Il suo fidanzato, Will, è un rampollo il cui bisnonno è stato membro del Parlamento. È biondo e belloccio: da lui e Zoe usciranno dei figli insopportabilmente carini. I genitori di Zoe possiedono un’incredibile casa nello Yorkshire dove io e Rebecca abbiamo trascorso molti, magnifici, fine settimana ai quali Emma si è sempre rifiutata di partecipare in virtù delle sue idee progressiste.

Mi infilo sotto la doccia per la quotidiana dose di relax poi, con l’accappatoio addosso, vado in cucina a riscaldare il timballo di ieri: anche dopo un giorno, le sue lusinghe nei miei riguardi non sono diminuite.

Mangio e mi sdraio un po’ sul letto: sono quasi le otto e io sono esausta, forse se riposo qualche minuto riesco ad evitare il collasso, a metà della festa. Metto la sveglia del cellulare, mi giro su un fianco e mi addormento all’istante.

Il citofono è come un trapano che mi perfora i timpani, apro gli occhi e guardo l’orologio: le dieci e un quarto! Oddio!

Corro ad aprire a Bradley e lo supplico di salire un attimo con la scusa che sto finendo di prepararmi. Appena varca la soglia del mio appartamento, mi butto platealmente ai suoi piedi e imploro il suo perdono. Bradley sembra particolarmente di cattivo umore, lui non ama andare in giro per locali, è molto prevenuto nei confronti delle scelte di Emma e oltre ad essere qui praticamente solo per farmi un piacere, ha anche aspettato un quarto d’ora al freddo mentre io dormivo.

“Sbrigati per favore, non mi va di fare tardi.” Esordisce, sedendosi sul divano. Io, in effetti, sono ancora in vestaglia.

“Comunque l’appuntamento è per le undici, abbiamo un sacco di tempo”

“Intendevo dire che non ho voglia di tornare a casa tardi. E non ho voglia nemmeno di uscire, se dobbiamo essere proprio sinceri…” Mamma mia che brutta aria tira!

“Guarda Bradley, che se per te è un tale sacrificio non sei costretto a venire: vado sola e magari mi fermo a dormire dalle ragazze…”

“Ma per favore, ormai sono fuori! Però, magari se intanto ti vesti riusciamo ad accelerare questa serata.”

Corro in camera: che mi metto? Un localino dove suonano jazz, una birra con pochi amici…tiro fuori una gonna stretta beige lunga fino al ginocchio e sopra ci metto una maglietta nera con il collo alto, calze nere pesanti, ai piedi le scarpe di Prada di qualche anno fa con la fibbia alla caviglia. Mi dò una truccata leggera a razzo e raccolgo i capelli in una coda, prendo il cappotto nero avvitato di Calvin Klein e raggiungo Bradley in salotto: c’ho messo dieci minuti, un mito!

“Ti sei vestita da maestra!” In effetti sono un po’ castigata ma questo solo perché Bradley indossa i soliti jeans strappati e il maglione scolorito di Helmut Lang che gli ho regalato secoli fa per il suo compleanno.

“Sei tu che ti sei vestito da barbone, ma è il bello del jazz, no? Puoi andare ad ascoltarlo vestito un po’ come ti pare. Fai comunque tendenza!”

“Non voglio fare tendenza. Dai, andiamo” Prendo le chiavi della macchina e le lancio in borsa: non ho fatto in tempo a cambiarla e ho ancora la mia grossa borsa nera da ufficio, che seccatura.

Ci infiliamo nel traffico del venerdì sera e arriviamo davanti al locale che sono le undici passate. In un angolo della piazza intravedo il gruppetto di amici di Emma e, con Bradley, li raggiungiamo.

Zoe e Will sembrano un po’ tirati e Rebecca ha un’aria estremamente divertita: Rebecca è bassina e grassoccia ma è una vera forza della natura, riesce a ridere di tutto, anche delle tragedie più colossali e non sono ancora riuscita a capire se questo sia un pregio o un difetto.

“Ciao ragazzi” Sorrido “Dov’è Emma?”

“Emma non si è ancora vista” Sghignazza Rebecca. “Si può sapere chi ha messo in giro la notizia che in questo locale suonavano jazz?” E finge di suonare il violoncello.

“Non lo so, lo diceva Emma nell’email credo, perché?” Domando.

“Emma non diceva un bel niente nell’email…” Bradley è veramente seccato.

“Scusate!” Guardo Will e Zoe. “Non capisco quale sia il problema.”

“Il problema è che questo ha tutta l’aria di essere un locale di punkabestia.” Will indica l’ingresso – molto simile all’entrata di una caverna – con un cenno della testa e, in effetti, ha ragione.

“È la solita solfa: ogni volta che la vostra amica Emma sceglie dove andare: il posto fa schifo, lei non si presenta e qualcuno finisce con un occhio nero!”

Conclude, lanciando un’occhiata a Bradley che se ne sta silenzioso e in disparte.

Mi sento un po’ in colpa perché, ora che ci penso, potrebbe essere che la faccenda del jazz l’abbia immaginata io.

Mentre stiamo lì indecisi, un’enorme moto nera quasi ci investe. Si ferma inchiodando davanti a Rebecca e ne scendono Emma e Peter in perfetto stile punk: lei ha una mini di pelle nera, calze a rete strappate e anfibi; lui un giubbotto ovviamente di pelle e ovviamente nero, jeans con le catene che pendono dalle tasche e un sinistro girocollo puntuto.

“Ehilà, ragazzi, sono contenta che siate venuti! Che ci fate ancora qua fuori?”

Emma è chiaramente su di giri.

“Emma, in che razza di posto ci hai portati?! Qui è pieno di teppisti…” La aggredisce Zoe. È sempre tanto dolce, ma quando si arrabbia diventa una furia: una volta Emma ha dato fuoco ad uno dei suoi diari segreti per tentare un incantesimo d’amore e Zoe l’ha quasi cacciata di casa (visto che la casa è sua). Poi Rebecca l’ha aiutata a calmarsi e la crisi è rientrata, ma Emma non si è mai ripresa del tutto. Lei è una tipa tosta, ma anche molto ingenua: la maggior parte delle sue bravate non sono premeditate e non si rende quasi mai conto di quando esagera. Nonostante tutto, è una delle persone più generose che conosca e più di una volta mi ha dimostrato cosa sia davvero l’amicizia.

“Ragazzi, è un locale tranquillissimo, ve l’assicuro. La gente è a posto, sono solo vestiti un po’…beh, voi sembrate dei manichini!”

Guardo desolata le mie scarpe bon ton.

“Comunque non dovete assolutamente farvi problemi: non è gente snob e non vi faranno nessuna selezione all’ingresso!” Scoppia a ridere divertita.

“Appunto.” Will strige Zoe per un gomito. “Mi sa che noi ce ne torniamo a casa”

Emma ha un’aria un po’ delusa e mi dispiace. Se tutti si erano preparati psicologicamente ad una serata diversa la colpa è soprattutto mia.

“Beh, io lo trovo carino e sono convinta che il gruppo che suona sia forte! Come hai detto che si chiamano, Emma?”

“In the Name of Evil…” Risponde lei, imbronciata.

Nel nome del male, carino…” Tossicchio. “Avanti, ora siamo qui e siamo in gruppo. Cosa volete che ci succeda. Ci sono pure Emma e Pete a farci da anfitrioni…” Cerco Bradley con lo sguardo: ho bisogno di un sostegno, perché continua a starsene in disparte?

“Beh, per me va bene: è un’esperienza, dopotutto…”

“Ben detto, Rebecca! Allora che si fa, entriamo?”

“Zoe?” Will le rivolge un’occhiata severa.

“Non lo so, Ophelia, non ne ho più molta voglia…domattina ho anche il corso di ceramica…”

“Avanti, Zoe…” Insisto.

“Ma lasciali andare a casa, i principini!” Mi apostrofa, aspra, Emma. “Sarebbero comunque solo di intralcio!”

“Emma, per favore…” Inizia Zoe.

“Ragazze, non cominciamo a litigare, altrimenti non ne usciamo!” Le zittisco.

“Ophelia, non abbiamo bisogno di balie asciutte qui!” Ringhia Emma “Sapete che c’è? Io entro e voi fate un po’ come vi pare. Andiamo Pete”. Gira sui tacchi e sparisce tra la folla.

Rimango lì un po’ allibita. So che a volte i ragazzi sono un po’ esasperanti nel prendere delle decisioni, però la sensazione è che stavolta Emma fosse un già sul piede di guerra.

Mi guardo intorno a disagio.

“Se volete, io e Zoe facciamo un salto all’Ivy.” Esordisce Will.

L’idea di aver lasciato qui Emma e andare a spassarmela in una locale dove si entra solo su invito non mi attira per niente (o meglio, non dovrebbe…) questa storia mi ha messo di cattivo umore.

“Io vengo! Non mi va proprio di tornarmene a casa: è venerdì sera! E poi, guardate che vestitino posso sfoggiare…”Rebecca apre appena il cappotto e lascia intravedere un fasciante luccichio azzurro di paillettes.

Guardo Bradley che da quando siamo usciti di casa non ha detto una parola.

“Tu cosa vuoi fare?” Mi avvicino timidamente, non so perché mi debba sentire in colpa anche nei suoi confronti: in fondo se non avessi un po’ insistito stasera sarebbe rimasto in casa a deprimersi da solo, invece…

Invece…

Bradley mi lancia un’occhiata di assoluta non partecipazione “Facciamo quello che vuoi tu, principessa. Solo, io tra un po’ mi ritrasformo in zucca!”

“Mamma mia, Bradley, oggi stai un po’ esagerando!” Sbotto “Si può sapere di quale colpa mi sono macchiata in fondo?”

Lui mi guarda con quell’aria offesa ed esasperata tipica di chi crede di avere a che fare con un’idiota e non si prende nemmeno il disturbo di rispondere. La cosa mi manda su tutte le furie.

“Senti un po’…”

Gli giro intorno perché mi sta dando le spalle.

“Non è che perché ti ho chiesto di riaccompagnarmi a casa devi fare questa sceneggiata da martire…Insomma, pensavo ti facesse piacere uscire…stai sempre a casa a lamentarti e a cucinare…L’ho fatto per te, perché siamo amici!”

“Appunto.” Sibila gelido e io, non so perché, ci rimango molto male. So che le mie accuse non sono del tutto fondate: è una serata strana ma lui non è per niente collaborativo. Dargliela vinta, a questo punto, proprio non mi va.

“Senti, se sei tanto stanco, puoi pure prendere la mia macchina e andartene a casa, vuol dire che io tornerò in taxi!”

“Se il problema è quello, possiamo darti uno strappo io e Zoe…” Si fa avanti Will.

“Non ti disturbare.” Esclama improvvisamente Bradley. “Io me ne vado a casa!” Mi lancia le chiavi della macchina, si gira e comincia a camminare a passo spedito.

Rimango per un momento inebetita, con la sensazione di averla fatta grossa. Cerco di raggiungere Bradley prima che giri l’angolo.

“Brad, mi dispiace, non so cosa mi sia preso…Brad?” Fa finta di non sentire, mi paro davanti a lui per impedirgli di proseguire. “Ti puoi fermare un attimo? Ho i tacchi!”

“Ecchissenefrega!” Sbotta “No, non mi posso fermare per niente, togliti di torno!” Con una scrollata allontana malamente la mano con cui cerco di trattenerlo.

“Sei solo una viziata e un’egoista! Io sarei un lagnoso? Forse non ti ricordi delle volte che mi costringi ad ascoltare le tue lamentele contro tutti e tutto: non ti sta mai bene nessuno, vero? Niente è alla tua altezza, no?! Ma svegliati, Ophelia: sei una delle persone più insensibili che conosca!”

Sono impietrita, Bradley non mi ha mai – mai – parlato in questo modo. Vorrei dirgli qualcosa ma la mia gola è arida come il deserto. Lui mi sorpassa e riprende a camminare. Mentre va via lo sento borbottare uno sprezzante “Ragazzina!”

Ci rimango malissimo.

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