Estopia capitolo XII – Verso Estopia


Capitolo precedente: Il Volo

 

Il Dokk di A.Antonioni

 

Nei giorni seguenti Freyja poté poco a poco riprendere a camminare. Stavano di nuovo salendo e la vegetazione diventava più rada, il sole era caldo ma, di tanto in tanto, si alzava un vento che faceva rabbrividire. Freyja sentiva che il loro viaggio si avvicinava ad un momento cruciale, forse alla sua conclusione. Non pensò più al drago ma si sorprese rendendosi conto che, ormai, non riusciva più a rivolgersi  a Luthen come se fosse, in effetti, Lidia.

Luthen era Luthen e più di una volta Freyja, soprappensiero, si interrogò su quali fossero i suoi sentimenti per il compagno di viaggio, perché quello che provava quando Luthen la guidava lungo gli impervi sentieri di montagna, tra rocce e paesaggi lunari, era qualcosa di molto profondo e molto diverso dalla sincera amicizia che aveva nutrito per Lidia.

Il giovane soldato non aveva più incrociato il loro cammino ma, anche a questo riguardo, Freyja aveva la sensazione che il suo ruolo non si fosse ancora esaurito. Per questo, a volte, mentre erano esposti su una cresta o scendevano seguendo il corso di un ruscello gelato e si sentiva come osservata da lontano, non aveva paura perché pensava che potesse essere lo sconsiderato paggio che li seguiva.

E forse un po’ lo sperava.

In quei giorni, il cuore di Freyja era confuso e lei passava molto tempo intrappolata nei suoi pensieri, chiusa in un silenzio insolito che, sperava, Luthen avrebbe attribuito al suo non ancora perfetto stato di salute.

Dal canto suo, Luthen era estremamente schivo: parlava pochissimo e, man mano che avanzavano, il suo malumore cresceva. Freyja soffriva nel vederlo così.

Una sera, mentre sedevano al buio tra quelli che dovevano essere i resti di una vecchia torre di avvistamento gli parlò. La luna alta proiettava una luce fredda sui cumuli di pietra smossa. Non c’era fuoco, Luthen non aveva mai voluto che ne accendessero, anche se, da giorni ormai, non incontravano nemmeno un animale. Quelle montagne erano deserte, sembravano essere appartenute ad un’epoca lontana, sembravano il ricordo di vite vissute anticamente ed infine sopite.

“Il nostro viaggio sta per terminare. E’ vero?” Chiese piano ma quasi la sua non era una domanda.

Il giovane sedeva con la schiena appoggiata ad un grosso blocco di pietra, il cappuccio tirato sul capo manteneva in ombra il suo viso.

“L’orecchino che mi hai regalato non brilla più. Credo che la sua energia si sia esaurita.” Proseguì Freyja. “Me ne sono accorta: non lo sento più, è come se…non so spiegarlo, è come se prima lo sentissi bruciare, in qualche modo. Ora non sento più niente…ho pensato che forse è morto, ammesso che una pietra possa morire.” Sorrise imbarazzata ma si sentiva triste.

Luthen la guardò rimanendo in silenzio; il mantello scivolò indietro. A Freyja sembrava che i suoi capelli fossero più lunghi, forse stavano crescendo. Era strano che crescessero, dopotutto erano frutto di un incantesimo. Ma Freyja non sapeva come funzionassero queste cose e, ultimamente, aveva iniziato a convincersi che Lidia avesse subito una metamorfosi, in qualche modo definitiva.

“Sono molto confusa, Luthen.” Gli si fece più vicino. “Il mio cuore è turbato…Molti pensieri che si affacciano alla mia mente non trovano risposta. A volte mi chiedo perché abbia voluto seguirti: finora ti sono stata solo d’intralcio, assolutamente inutile, un peso…quando insistetti perché Lidia mi lasciasse partire con lei, davvero non mi rendevo conto di quanto poco senso avesse la mia richiesta. Allora mi sembrava talmente necessario…” Sospirò. “Perdonami, dubito di tutto, da un po’ di tempo: sono sempre stata lenta a capire e questa situazione è davvero complicata…”

Luthen rimase in silenzio per un po’.

“Non sei lenta, Freyja. E’ naturale che tu non capisca: non sono cose che si possono comprendere, soprattutto se non si è abituati ad attenderle come naturali.” La sua mano sfiorò quella di Freyja, per ritrarsi subito. “Sono ancora fortemente convinto che non saresti dovuta venire e che Lidia…che io non avrei dovuto lasciarmi persuadere quel giorno. So che saresti stata infinitamente più al sicuro a Belafois, nonostante la guerra che si sta preparando e che potrei non riuscire a fermare in tempo. So che mai e poi mai avrei dovuto esporti ai pericoli che hai corso…anche per mano mia” Aggiunse piano. “Eppure, una parte di me è felice che tu sia qui.”

La guardò “Una parte di me è dolorosamente, crudelmente felice che tu sia venuta…” Un lampo di tristezza attraversò il suo sguardo prima che Luthen abbassasse di nuovo gli occhi.

Freyja provò a parlare ma lui la interruppe.

“Sono stato io a spegnere la luce nell’orecchino, Freyja. E’ stato quando ti ho scaraventato contro quell’onda di energia. Probabilmente è per questo che sei ancora viva…”

“Vuoi dire che l’orecchino si è rotto per proteggermi?!”

“Non si è rotto, Freyja, quella pietra è un Hòddmimir nativo, è un minerale potente, praticamente indistruttibile. Ma non hai sbagliato, prima, a dire che è vivo: lo è e ora nessuno è in grado di prevedere cosa gli accadrà. Forse è soltanto assopito e potrebbero passare secoli prima che reagisca di nuovo. Non so nemmeno se abbia assorbito l’energia sprigionata dall’onda o se l’abbia deviata e non so se, quando tornerà a brillare, il suo potere risulterà modificato. Però, so che ora non può più proteggerti e di questo sono molto preoccupato.” Tacque, guardandosi le mani.

“Quindi ora non puoi più leggere i miei pensieri…” Luthen la fissò sorpreso ma Freyja proseguì prima che lui potesse replicare.

“Non devi essere preoccupato per me, Luthen.” Sussurrò con dolcezza, “Non lo sono io: so che ti prenderai cura di me e se capiterà qualcosa di brutto…beh, cercherò di defilarmi!” Provò a sorridere ma l’espressione sofferente sul volto di Luthen la scoraggiò.

“Non capisci, Freyja, io potrei non essere in grado di prendermi cura di te…anzi, potrei essere io stesso la causa del tuo pericolo, come hai già potuto constatare! La cosa migliore per te, davvero, sarebbe trovarti a miglia di distanza da qui, a miglia di distanza da me…” La fissò con gravità.

Lentamente, Freyja fece scivolare le sue mani su quelle serrate del giovane, intrecciando le dita alle sue. “Luthen,” disse, scandendo molto bene le parole “non c’è un’altra persona adesso che vorrei al mio fianco.” Fece una pausa e proseguì, fissandolo. “Nemmeno Lidia…”

Per un lungo momento si scrutarono da vicino. Poi Luthen si ritrasse.

“Oh, Freyja, non sai quanto sia rischioso quello che dici…”

Freyja appoggiò la testa sulla spalla di Luthen e chiuse gli occhi.

“No, non lo credo. E non mi importa. Lascia che mi addormenti così…” Chiuse gli occhi.

Luthen allargò il mantello, cingendole le spalle e rimase immobile, scrutando l’oscurità e ascoltando il suo respiro lieve. Maledicendosi, in cuor suo, per la sua debolezza e per il destino che lo attendeva, ormai a poche ore di viaggio da quel dolce riparo.

L’enorme bestia virò: con uno scatto improvviso torse tutto il corpo e schizzò verso l’alto, fendendo le nubi e svanendo nella foschia della notte. Viaggiava da giorni ad altezze inaudite, seguendo una pista, procedendo ad una velocità molto al di sotto delle sue naturali capacità. Era faticoso avanzare così e, di frequente, doveva rifugiarsi nei nascondigli d’alta quota, nelle nubi scure o nei raggi infuocati del sole, per non farsi scorgere, per non essere avvistata.

Sulla sua fronte un serpente argenteo guizzava attorno ad una splendente falce di luna: un simbolo antico, dimenticato, l’emblema di un luogo che stava per essere cancellato dal mondo.

 Freyja aveva notato che, man mano che avanzavano, il cielo sembrava mutare. Era più scuro, più denso, come se le nubi rendessero l’aria costantemente pregna di qualcosa. I suoi capelli erano più ricci e lei si sentiva stanca. Un giorno si distrasse ad osservare una libellula: sembravano secoli che non incontravano un essere vivente. Era una libellula molto piccola, decisamente insolita e Freyja la fissò per alcuni secondi. Quando si voltò di nuovo verso Luthen si accorse, con stupore, di essere sola. Era la prima volta da quando erano ripartiti che, non solo Luthen la perdeva di vista, ma si dimenticava di lei al punto tale di lasciarla tanto in dietro da non intravederne nemmeno la sagoma.

Provò a chiamarlo, prima piano, poi con più energia. Niente: era come se l’aria spessa avesse inghiottito Luthen, o forse era lei ad essere stata inghiottita. Mentre tentava di avanzare lungo l’incerto sentiero di montagna, si sentiva esausta, come se qualcosa ostacolasse i suoi movimenti, rendendo i suoi gesti lenti e goffi. Con crescente senso di panico, si rese conto di non riuscire quasi a camminare, si sentiva stringere la gola da dita invisibili che impedivano alla sua voce di uscire squillante come sempre. Si fermò, la libellula che le volava accanto si posò sulla scollatura del suo corpetto. Senza poter fare niente per impedirlo, Freyja crollò a terra. Silenziosamente, però, senza fare rumore: niente faceva rumore.

Con uno sforzo disperato, sfiorò con una mano a pietra al suo orecchio, sentendola fredda, spenta. Ebbe un tuffo al cuore e una sensazione di pura disperazione si impadronì di lei. In quel momento, intravide qualcosa, come un lampo bianco, sfrecciare nel cielo tra le nubi. Passò sopra la sua testa e la superò rapidissimo. Un attimo dopo, la sagoma scura Luthen avanzava verso di lei.

Luthen l’afferrò per le spalle tirandola in piedi e la scosse. Fu come se scuotesse via la polvere da un cuscino. I suoi occhi mandarono un bagliore sinistro che si rifletté nel lungo pendente al suo orecchio. Poco a poco, Freyja avvertì la propria coscienza riemergere e l’aria divenire più fresca, sentì i muscoli palpitare di nuovo e spalancò la bocca per respirare a pieni polmoni.

“Oh…oh…stavo soffocando!” Ansimò continuando ad incamerare ossigeno. “Cosa è successo?!”

Luthen continuava a sorreggerla me non le rispose subito, sembrava riflettere. Ad un tratto disse.

“Freyja, cerca di non perderti perché…ci stiamo avvicinando alla meta ed io…non riesco a concentrarmi su di te come ho fatto finora. Sono distratto dall’energia che sprigiona la Terra a cui appartengo, ne sento il richiamo, avverto le sue pulsazioni attraverso il terreno. Queste vibrazioni mi assorbono e…perdo contatto con la realtà, con me stesso, col mondo esterno. E perdo di vista te.” La guardò con assoluta serietà.

“Quelli che stiamo attraversando sono luoghi molto antichi, più antichi della stessa Henn, i monti che abbiamo oltrepassato segnano il confine tra questo luogo e il resto del mondo sospeso. Qui la magia esiste ed è una magia potente, sono pochi quelli che si spingono così lontano, che si addentrano così profondamente in questi territori. Se non richiami tutta la tua concentrazione, rischi di venire sopraffatta dai cambiamenti che avvengono nell’intensità energetica. Cambia la densità dell’aria, come hai sentito, la stabilità del suolo, anche il tuo sangue scorre più lentamente e l’ossigeno può non riuscire a penetrare nei tuoi polmoni. E’ un luogo pericoloso e io non sono completamente me stesso…stai attenta a te.” Concluse e, voltatosi, l’afferrò per il polso, trascinandola avanti.

La bestia risalì le mura della fortezza e scomparve all’interno di un’ampia finestra a sesto acuto che conduceva all’unica terrazza sospesa, nell’intera costruzione. I suoi artigli graffiarono il marmo di una sala imponente sorretta da colonne maestose e lasciata quasi completamente in penombra dalle poche lampade, sporgenti alle pareti.

Sul lato opposto rispetto alla finestra, in un gigantesco camino, ardevano le lingue blu di un fuoco artificiale. Davanti al camino, seduto su un seggio scarno, un uomo dall’aspetto regale si volse a guardarla.

Una pozza d’acqua si era raccolta ai piedi della bestia, gocce copiose scivolavano lungo la sua pelle squamosa e si riunivano ai lati della coda, grondando dalle narici ferine e lungo i muscoli possenti delle ali ripiegate.

L’uomo arricciò il naso disgustato a quella visione e parlò con tono duro.

“La tua presenza sacrilega profana un luogo mistico! Come osi varcare la soglia della sala del trono del Sovrano di Estopia, senza essere convocato?” Tuonò.

Per tutta risposta, la bestia inarcò il collo taurino, lanciando un grido orrendo e con uno schiocco secco e un lampo di luce si dileguò, lasciando al suo posto la snella figura di un giovane dall’aspetto affascinante e i capelli ramati. I suoi abiti variopinti erano fradici di pioggia ma il suo sorriso era caldo e consapevolmente seducente.

“Domando perdono, maestà. La mia essenza infernale trascura spesso le buone maniere.” Disse mellifluo, producendosi in un elegante inchino.

“E dunque, mio empio segugio, che notizie porti?”

“L’Erede è giunto, maestà, è alle porte del Regno e reca con sé il purissimo Løfte. Il Pegno.”

“Quindi hai fallito! Sono riusciti a raggiungere il luogo proibito, nonostante il tuo compito fosse quello di eliminarli!”

Il sovrano si alzò dal suo scranno. Era un uomo imponente e ancora giovane, un anello di ferro cingeva i suoi capelli color rame e la folta barba incorniciava il suo viso feroce ancorché bello.

“I miei poteri maestà provengono dalla natura, la bestia che alberga in me obbedisce a regole ancestrali di questa terra e non si può opporre al Destino. Ho fallito perché la magia dell’Erede era mossa da una forza estranea a questa battaglia. E il mio potere è legato alla battaglia per l’Usurpazione. Tuttavia, ho visto che l’esito di questa guerra è incerto, sospeso. Esiste, maestà, una fitta ragnatela di possibilità…”

“Parla chiaramente, schiavo! Non ho il tempo né la voglia di ascoltare i tuoi motteggi!”

“Non posso parlare più chiaramente di così, maestà, perché in quello che dico non alberga ancora nessuna realtà. L’Erede è giunto, presto si riunirà ai ribelli e a quel punto conoscerà il suo destino. E noi con lui.”

“La domanda è quanto dovremo anticipare le sue mosse per renderle veramente inoffensive.”

“Non troppo maestà, non troppo. Quello che il vostro servo ha visto si chiama dubbio. Se precipitiamo le nostre azioni potremmo essere noi stessi a trasformare il dubbio in certezza e questo per voi sarebbe un male. Lasciamo che l’energia scelga da quale parte fluire. Assecondiamola e poi pieghiamola al nostro volere.”

“Al mio volere, schiavo. Al mio volere, non al tuo! Ricorda chi ti ha liberato dalla tua prigione.”

“Certo maestà” rispose inchinandosi la giovane Guardia e, indietreggiando di qualche passo, varcò di nuovo l’alta finestra lasciando la sala del trono e saltò nel vuoto.

Quella notte Luthen e Freyja dormirono su un cuscino di erba morbida: tutt’ad un tratto la vegetazione aveva iniziato a farsi rigogliosa. L’erba spuntava a ciuffi sulle pareti di roccia e gli alberi sembravano cresciuti a dismisura. Si accamparono in una radura coperta di steli vaporosi e dormirono fianco a fianco, sfiorati da un vento tiepido.

Luthen sognò e si agitò nel sonno, lamentandosi. La sua fronte era sudata e i capelli, più lunghi del solito, irrimediabilmente arruffati. Freyja si destò, avvertendone gemiti.

“Luthen, cos’hai?” Chiese issandosi su un gomito per arrivare a toccargli la fronte.

“Sei bollente…stai male! Hai la febbre…” Freyja accostò il viso a quello del giovane. L’espressione di Luthen mostrava una profonda sofferenza.

Una visione attraversò la sua mente.

Ebbe l’impressione di vedere Lidia stagliarsi di fronte ad un cratere infuocato che la fissava con sguardo carico d’odio, pronunciando parole incomprensibili.

Rimase talmente inorridita da quell’immagine che, senza volerlo, gridò.

“Luthen!”

Il giovane si destò di soprassalto alzandosi a sedere, il volto imperlato. Si volse a fissare Freyja.

“Cosa succede?!”

“Oh, Luthen…io…hai avuto un incubo. Ti agitavi, gemevi…non sapevo come aiutarti!”

Per la seconda volta, da quando erano partiti, Luthen si sporse verso Freyja e l’abbracciò.

“Ho paura…” Lo sentì sussurrare. “L’oscurità visita la mia mente, Freyja, credevo di essere più forte ma ora…ora io non riuscirò ad evitare la catastrofe”.

 

Capitolo successivo: Gemini

Illustrazione originale di Antonella Antonioni per Estopia, diritti riservati.

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