Estopia capitolo VI – Ludlum


Capitolo precedente: Tempi Passati

 

Trovare la casa della signora Ludlum si rivelò un’impresa incredibilmente ardua. Non solo Freyja era stanca e infreddolita quando arrivò al Picco di Lys ma il sole era quasi tramontato lasciando l’erba ancora fradicia per il diluvio della notte precedente. Oltre a ciò, Freyja non aveva idea di dove la Ludlum vivesse esattamente, perché aveva incontrato Lidia fuori dal bosco e non sembrava esserci nessun sentiero che conducesse da nessuna parte, tra quegli alberi intricati.

Dopo aver sprecato tempo e luce preziosi a ragionare sul da farsi, decise di avventurarsi nella foresta, sperando in cuor suo che, casomai si fosse persa, sarebbe stata Lidia a trovarla.

A conferma di ogni tragica previsione, tra gli alberi il buio era più fitto, il freddo e l’umidità più intensi e l’atmosfera decisamente troppo lugubre per il poco coraggio che Freyja era riuscita a racimolare prima di imbarcarsi in quell’avventura. Dopo poche centinaia di metri aveva già completamente perduto il senso dell’orientamento e non trovò di meglio da fare che sedersi su un tronco marcescente a piangere in silenzio per la propria sprovvedutezza. Ancora una volta l’orecchino le venne in aiuto senza che lei facesse niente per evocarne il potere.

Un aspetto curioso era che, dopo che la signora Jennings le aveva forato il lobo, non aveva provato a lungo dolore e lo stesso bruciore iniziale, da che aver indossato il monile, era andato scemando rapidamente. Inoltre, l’orecchino era davvero leggero e più di una volta Freyja si era sorpresa di trovarlo ancora al suo posto, tastandosi l’orecchio con la mano.

Lì, nel groviglio di liane e rami secchi, mentre la fanciulla se ne stava con il capo reclinato tra le mani, la pietra nera del pendente iniziò a brillare prima piano, poi con maggiore intensità, fino a diffondere un debole alone di luce bianca. Freyja se ne accorse attraverso le lacrime e, spaventata, balzò in piedi, stringendo le dita esitanti attorno al lungo cristallo. Improvvisamente, il nero degli alberi sembrava meno spaventoso ed il labirinto della foresta meno soffocante. Freyja mosse un piede, poi l’altro…le sembrò quasi che un sentiero debolmente luminoso si allungasse davanti a lei. Asciugandosi le lacrime con il dorso della mano, affrettò il passo, desiderando di trovarsi a casa sua, al caldo, nell’accogliente cucina di sua madre, con il camino acceso e la tavola apparecchiata. Prima che se ne rendesse conto, però, Freyja stava correndo, addentrandosi sempre più nel fitto del bosco e allontanandosi dalla strada che l’aveva condotta al picco di Lys. Quando comprese che ormai non sarebbe riuscita a sfuggire a quel buio da sola e che stava per cedere ad una nuova ondata di disperazione, rallentò la corsa, fin quasi a fermarsi. Un rumore improvviso proveniente dalla vegetazione alla sua destra le fece balzare il cuore in gola: la foresta non era silenziosa, era piena di sibili sinistri e dei versi inquietanti degli animali che la popolavano. Freyja riprese a correre ma fatti pochi metri inciampò in una radice e cadde nel fango graffiandosi le mani e ferendosi ad un ginocchio. Si sentiva una stupida, una sciocca presuntuosa ad essere partita così di colpo, come se la sua presenza avesse potuto fare qualche differenza: un’incapace come lei…

Era ancora a terra, singhiozzando per il freddo, la rabbia, il dolore e la paura, quando avvertì chiaramente una presenza accanto a sé e, alzando gli occhi terrorizzata, si trovò davanti la sottile figura di Lidia.

Per un momento le sembrò che gli occhi dell’amica risplendessero ma fu un attimo, Lidia coprì in fretta la distanza che le separava e la sollevò dal terreno bagnato.

Freyja sentiva di dover dare delle spiegazioni per la sua presenza a quell’ora, nel cuore della foresta di Lys, ma il sollievo di vedere Lidia fu tale che le sembrò di essere tornata indietro di undici anni fino a quel giorno di pioggia a scuola e, non riuscendo a trattenersi, si abbandonò nuovamente alle lacrime, aggrappandosi d’impulso alle spalle dell’amica.

Dopo un attimo di esitazione, Lidia strinse Freyja in un abbraccio forse più stretto di quello che non avrebbe desiderato concedere. Per un attimo furono di nuovo le due bambine di Belafois che trascorrevano le giornate giocando insieme e scorrazzando sulle dolci colline attorno al lago Appaloosa, i capelli neri di Lidia intrecciati alle mani di Freyja e la lunga treccia bionda tra le dita di Lidia. Fu un attimo, però, poi Lidia si ritrasse scostando l’amica.

“Lidia…Lidia, perdonami se piombo qui in questo stato, senza motivo…Anzi, c’è un motivo, io so…io ti credo, ora ti credo…” Freyja iniziò a parlare senza pensare a niente altro che non fosse la ragione per cui aveva deciso di lasciare tutto, solo poche ore prima.

“Ho parlato con la signora Jennings e mi ha raccontato della tua famiglia…ma tu, perché non mi hai mai confidato la verità, Lidia, perché ti sei tenuta dentro tutti questi segreti senza dirmi niente?” Si interruppe, come folgorata. “Oh, ma tu hai provato a parlarmi… volevi aprirti con me ed io non ti ho creduto, ti ho trattata con condiscendenza e ora…quanto tempo è passato, Lidia, potrai mai perdonarmi? Ero la tua migliore amica…ti amavo più di chiunque altro…ti voglio ancora bene, sai Lidia, vuoi credermi? Vuoi perdonarmi? Io vorrei aiutarti…voglio starti vicina, questa volta. Non scapperò più, te lo prometto…vuoi fidarti di me?” Freyja scrutava il volto dell’amica, tra le lacrime. Lidia non disse niente, il suo sguardo era duro e freddo come la superficie di uno specchio.

“Sei stata una sciocca ad avventurarti da sola nella foresta, è un luogo oscuro e pericoloso. Inoltre, anche se sei convinta di sapere così tante cose, di certo ti sfugge che non avresti mai trovato la casa se qualcuno non te l’avesse mostrata”. E così dicendo, compì un ampio gesto con il braccio, rivelando alle loro spalle un solido muro di pietre gialle e la porta socchiusa della casa della signora Ludlum.

“Nessuno che non sia benvenuto può trovarla, c’è un incantesimo potente a nasconderla. Anche per questo sono stata rinchiusa qui per tutti questi anni…” Aggiunse piano. “Ora vieni dentro, sei fradicia. Ti riporterò al villaggio non appena sorgerà il sole.”

E si avviò verso la costruzione quadrata.

“No!” Esclamò Freyja affrettandosi per raggiungerla. “Non voglio tornare a casa, Lidia. Sono venuta qui per aiutarti…voglio comportarmi da amica, visto che cinque anni fa non ho avuto abbastanza coraggio da meritare la tua fiducia!” Afferrò la manica del vestito di Lidia, costringendola a voltarsi. “Lasciami rimanere, Lidia, ti giuro che non ti sarò di intralcio, qualunque cosa tu decida di fare…”.

La sua voce era implorante anche perché Freyja iniziava a rendersi conto della ridicolaggine che il suo gesto poteva assumere agli occhi di un osservatore esterno: lei, una bamboccia completamente priva di carattere e incapace di badare a se stessa, cercava di convincere una persona che doveva portare a termine un compito probabilmente difficilissimo, a trascinarsela dietro come zavorra in chissà quale avventura. Freyja si chiese cosa la spingesse a mostrarsi così insistente, nonostante fosse la prima a rendersi conto di quanto inutile apparisse la promessa del proprio contributo.

Lidia la fissò per un attimo, in silenzio, poi con un gesto secco si liberò dalla presa e varcò la soglia della casa. Freyja non poté fare altro che seguirla in silenzio, profondamente mortificata.

L’interno della casa doveva essere stato accogliente molto tempo prima, ma ora ospitava un ammasso di mobili piuttosto male in arnese. Nel camino, oltre ad una montagna di cenere, bruciavano debolmente poche braci, davanti, stava una vecchia poltrona dall’aria malconcia con la fodera strappata che penzolava sotto. A terra, una bacinella vuota e strambe carte decrepite.

Lidia gettò un ciocco sulla cenere e vi tese sopra il palmo aperto. Subito, una fiamma poderosa scaturì dai carboni morenti, aggredendo il ciocco. Freyja trattenne il respiro, bloccandosi e Lidia si voltò a fissarla, quasi con sfida, studiando la reazione a quello sfoggio di potere magico.

Freyja ricambiò lo sguardo, impacciata.

“Sei diventata molto potente, Lidia, credimi, ho sempre saputo che avevi delle qualità fuori dell’ordinario ma ho capito quanto magia alberghi in te, la scorsa notte…”

Lidia arrossì leggermente, distogliendo lo sguardo.

“Non è una magia potente, è solo uno stupido trucco…” Mormorò alludendo alla fiamma scoppiettante nel camino.

Freyja le si fece accanto.

“No, Lidia, so che hai un grande potere: l’ho visto. Ho visto come hai ricacciato quella creatura nella tempesta.”

“Quella dell’altra notte era solo un’emanazione, non era una vera presenza malvagia, per questo sono riuscita ad allontanarla con facilità. Non era realmente lì, era…in un altro luogo del tempo…”

Freyja scosse la testa sfiorando con la mano il gomito dell’amica che si irrigidì.

“Mi hai salvata, Lidia, mi hai salvata l’altra notte come tante volte, da bambine: mi hai salvata dalla mia paura.” Le sorrise timidamente proseguendo. “Ascoltami, so di non meritare il tuo perdono, ora so di averti dimenticata per tanti anni e neanche io capisco come tu sia potuta uscire così completamente da tutti i miei pensieri tanto a lungo…però, credimi, Lidia, adesso voglio rimanere con te, voglio aiutarti a ritrovare il luogo a cui appartieni. Il paese della pioggia – aggiunse tentennando – Ora, ora io ti credo…”.

Lidia si mosse piano verso il focolare e raccolse da terra il catino vuoto.

“Freyja, non sai di cosa parli. Io non sono più l’amica che conoscevi. Le cose sono molto cambiate da quando raccoglievamo fiori nel Pratone delle Margherite.” Le rivolse uno sguardo triste. “Non so neanche io quello che farò adesso, ma di certo non è un’avventura emozionante quella che mi aspetta. Ci saranno dolore e oscurità e, molto probabilmente, morte …ti ringrazio per tuo sostegno ma quella che hai in mente tu è soltanto una fantasia romantica: non c’è gioia in quello che mi aspetta.” Si lasciò cadere nella poltrona logora. “Ti ho sempre voluto bene, come non ne ho voluto a nessuno, forse. Quando arrivai a Belafois non ero abituata all’amore. Conoscerti è stato come lasciar entrare un caldo raggio di sole nella stanza buia in cui ero cresciuta: gli anni che abbiamo trascorso insieme rimarranno i più sereni della mia vita ma noi siamo diverse, apparteniamo a due mondi diversi…tu sei una creatura della luce…” La guardò con occhi vacui. “Non c’è oscurità nel tuo destino…e io non voglio che ce ne sia. Torna a Belafois e sii felice. Io conserverò per sempre il ricordo della nostra infanzia insieme.” Un lampo accese i suoi occhi verdi mentre proseguiva. “Non ti trascinerei in un viaggio suicida…oltretutto mi saresti solo di impaccio. Domani mattina ti riporterò a casa; ora togliti quel vestito prima che ti venga una polmonite, ti darò qualcosa di mio…”.

Freyja avrebbe voluto opporsi a quella conclusione che suonava senza appello, avrebbe voluto trovare parole solenni per convincere l’amica di essere forte abbastanza per seguirla e, soprattutto, di essere indiscutibilmente decisa a farlo. Ma, all’improvviso, era come se la sua testa si fosse svuotata e che nessuna frase sensata volesse avventurarsi fuori dalla sua bocca.

Non poté fare altro che seguire Lidia, in silenzio, nella stanza accanto.

Si sfilò il vestito, sporco e strappato, abbandonandolo su una sedia polverosa e indossò una dritta tunica nera che risultò un po’ stretta e troppo lunga. Finito di cambiarsi, cercò con poco successo di costringere i ricci bagnati in una pesante crocchia, rivolgendo un’occhiata miserevole al suo riflesso che si muoveva, sfocato, nel vetro spesso della finestra.

Lidia raccolse il vestito dalla sedia, rivolgendo a Freyja un sorriso impacciato.

“Cercherò di sistemartelo.”

“No, non ce n’è bisogno…non preoccuparti.” Freyja cercò di riprendersi l’abito ma Lidia allontanò in fretta la mano.

“Non c’è problema, davvero, posso farlo.” Poi, aggiunse schiva. “Non lancerò nessun maleficio sul tuo bel vestito, stai tranquilla.”

“Non è per quello!” Esclamò Freyja, indignata. “Non ho paura che mi lanci un maleficio…Come puoi pensare una cosa del genere?!”

Lidia sembrava divertita. “Beh, la tua amica l’altro giorno credeva che io fossi una strega, ricordi? E in fondo non ha tutti i torti…” Sorrise voltando le spalle a Freyja.

“Fiona…è solo una sciocca: è abituata a dire sempre tutto quello che le passa per la testa e spesso a passarle per la testa sono un mucchio di sciocchezze!” Esclamò Freyja, arrossendo.

“Una sciocca?” Lidia si voltò per osservarla. “Mi sembrava foste molto amiche, quel giorno al Picco e…mi sembrava che suo fratello fosse anche più che un semplice amico.” Si sarebbe potuto dire che la voce che pronunciò quelle parole fosse insinuante ma un sorriso distaccato, distante aleggiava sulle labbra della fanciulla.

Freyja, però, era paonazza e non osava alzare gli occhi nel timore di incontrare quelli della giovane.

“Ben e Fiona sono stati i miei più cari amici negli ultimi anni…” Disse con un filo di voce. “Per tutto questo tempo hanno occupato completamente la mia mente, sono diventati parte della mia vita. E’ vero, ti hanno sostituita nei miei pensieri e la loro presenza, ancora non capisco come, ha scalzato tutti i ricordi che avevo di prima…di prima che…”

“Di prima che io me ne andassi?” Lidia mosse impercettibilmente la mano verso Freyja che, immobile al centro della stanza, tremava per il freddo e la contrizione.

Sollevò gli occhi offuscati dalle lacrime e, nella penombra, la figura di Lidia le sembrò più alta; per un attimo, gli occhi color smeraldo le sembrarono pozze nere e profonde: era come se un’altra Lidia la stesse osservando attraverso uno specchio scuro. Sbattè le palpebre lasciando due grosse lacrime libere di rotolarle sulle guance, mentre le mani si affrettavano a nascondere il suo volto all’amica che, immobile anch’ella, continuava a fissarla stupita.

Una volta che furono di nuovo nel logoro salotto, Lidia accostò la poltrona al fuoco che continuava a bruciare crepitante, facendo cenno a Freyja di sedervi.

“Immagino avrai fame…non c’è molto da mangiare, qui…”.

Freyja scattò in piedi. “Posso cucinare io! Almeno quello so farlo…”.

“Cerca di asciugarti, ci dovrebbe essere ancora della zuppa.” E così dicendo avvicinò un paiolo al fuoco, lasciandolo appeso ad un gancio annerito. “Mangi tutte le verdure, no?” Freyja annuì riprendendo posto tra la polvere della poltrona. “Beh, qui dentro ne troverai di rare…” Aggiunse con una smorfia che somigliava a un sorriso e avvicinando anche lei una sedia imbottita al camino. In grembo teneva il vestito di Freyja e in mano un lungo ago ricurvo. Per un po’, mentre aspettavano che la minestra riprendesse a bollire, rimasero in silenzio sedute vicine; fu Freyja la prima a parlare.

“Non ci crederai, ma ad aprirmi gli occhi su di te…a farmi rendere conto di come ti avessi inspiegabilmente cancellata dai miei pensieri, è stata la signora Jennings.” Guardò l’amica. “Ti ricordi di lei?”

Lidia strinse gli occhi, mantenendo lo sguardo fisso sul fuoco: alla luce delle fiamme, il pendente del suo orecchino emanava bagliori talmente vividi da sembrare animati.

“La vecchia insegnante di musica…” Disse, quasi soprappensiero.

“Già. Non ci crederai, è una fattucchiera.” Freyja sembrò riflettere. “O forse tu già lo sapevi. Beh, io sono talmente ottusa che in tanti anni che la conosco, non me ne ero mai accorta.” Lidia distolse lo sguardo dal fuoco.

“Sì, lo sapevo. Quella donna ha continuato ad andare e venire da casa nostra finché le gambe l’hanno retta. Credo volesse controllarci. Ho sempre pensato che fosse una vecchia pazza, intrigante: chissà cosa si era messa in testa. Mia madre però apprezzava la sua compagnia.” La sua voce divenne un sussurro. “Era una povera pazza anche lei.”

A quelle parole Freyja sembrò scuotersi dal torpore che l’aveva afferrata.

“La signora Jennings non è una vecchia pazza! Credo che lei volesse solo assicurarsi che non accadesse niente di brutto…”

La risata di Lidia le fece gelare il sangue, non aveva mai sentito qualcuno ridere così: era una risata senza gioia, senza sentimenti.

“Per questo era pazza! Cosa si illudeva di poter fare, casomai qualcosa di brutto fosse davvero accaduto? Non sai di cosa parli, Freyja, e nemmeno quella vecchia sapeva di cosa parlava mentre vuotava il sacco con gli insulsi pettegolezzi che è riuscita a mettere insieme sulla mia famiglia, ficcando il naso, per anni, in casa nostra”. Per la seconda volta, quella serata, Freyja arrossì.

“Non è pazza, ti dico. E non è malvagia…” Mormorò tenendo lo sguardo fisso sulle mani.

La voce di Lidia si ammorbidì. “E tu non sei ottusa” Le disse, quasi con dolcezza. “Non hai capito che la Jennings era una maga semplicemente perché non lo è.”

“Lo so: è un’incantatrice!”

Sul viso di Lidia passò di nuovo l’ombra di un sorriso; un sorriso, invero molto trattenuto, ma sembrava più a suo agio ora. Riprese a cucire il vestito con lo strano ago senza filo, fermandosi però poco dopo.

“Te l’ha fatto lei? Quello, intendo…” Indicò l’orecchino.

La mano di Freyja corse rapidamente a cercare la lunga pietra.

“Sì…” Rispose esitante, poi aggiunse: “Lidia, questo orecchino mi soccorre…mi ha già aiutato due volte e i suoi riflessi sono…strani.”

“Quando te l’ho regalato ti ho detto che ti avrebbe protetta: sta soltanto facendo il suo dovere.” Agitò il vestito con un gesto rapido. “Ecco, è a posto”.

Freyja la guardò incredula. “Come hai fatto? Sembra nuovo…non è più nemmeno macchiato di fango!”

“Sono una strega, te l’ho detto!” Lidia rise e, versando la zuppa in una ciotola, la porse all’amica.

Fu come se il cuore di Freyja riprendesse a battere, dopo ore: restituì all’amica un sorriso ampio, disteso, talmente carico di affetto che costrinse Lidia a distogliere lo sguardo, sopraffatta da tanta ingenua fiducia.

“La signora Jennings non è una vecchia pazza, io non sono una sciocca e tu non sei una strega, d’accordo?”. Concluse Freyja immergendo il cucchiaio nella ciotola fumante.

“…d’accordo.” I loro sguardi si incrociarono di nuovo e, per la prima volta dopo tanto tempo, Lidia avvertì un tepore, dimenticato, in fondo al petto.

Più tardi, mentre Freyja cercava di pensare a come convincere l’amica a non farla tornare al villaggio, una domanda le attraversò la mente.

“Lidia, ma dov’è la signorina Ludlum? Credevo tu vivessi con lei…”

Lidia, che era immersa nella lettura di un grosso tomo dalle pagine consunte, la guardò sorpresa.

“La signorina Ludlum…?” Sembrò cercare le parole adatte. “Fammi pensare, la signora Ludlum potremmo dire che si è dissolta dopo avermi insegnato tutto quello che poteva sui misteri della natura e le arti magiche.”

Freyja spalancò la bocca. “Cosa?! Che significa dissolta?!”

“Immagino significhi che è evaporata…è penetrata nelle pareti e nei pavimenti di questa casa. Si è ricongiunta al potente incantesimo di protezione che vi impose quando decise di stabilirsi qui ed è diventata parte di esso.” Rispose Lidia, asciutta.

“Ma è orribile! Come puoi dire così tranquillamente che una povera istitutrice è evaporata trasformandosi in una casa?!” Freyja era incredula.

“La signorina Ludlum non era esattamente una anziana signora. Non come la immagini tu, almeno.” Lidia fece una pausa perché Freyja si concentrasse. “Quando lasciammo il Paese della Pioggia un groviglio di antiche magie ci accompagnò per proteggere il nostro viaggio e la nostra esistenza lontano da casa. La massa di energia magica che viaggiò con noi era la signora Ludlum…non era un essere umano ed era chiaro che se fosse venuta con noi a Belafois avrebbe suscitato la curiosità vorace di certe persone ed avrebbe attirato l’attenzione su di noi. Perciò, non appena giunti ad una distanza consona dal Paese, fu lasciata libera di cercare un luogo dove io l’avrei raggiunta quando fosse arrivato il momento del mio addestramento; così gli incantesimi trovarono questa casa. Anzi, trovarono il pozzo che ora è nel cortile e vi eressero intorno questa casa che è anch’essa un’illusione, in un certo senso. Per questo non avresti mai potuto trovarla da sola e mai, mai avresti potuto vederla se non avessi avuto l’orecchino.

Quando raggiunsi l’età giusta, cinque anni fa, l’energia mi richiamò e per tutto questo tempo è stata come un flusso di corrente che mi ha messo in relazione con le più antiche forze della natura. Gli incantesimi mi attraversavano costantemente insegnandomi e rilasciando il loro potere nella mia mente, consumandosi via via che io acquisivo consapevolezza…”

“Vuoi dire che per cinque anni tu sei stata qui da sola?” Freyja non poteva credere alle sue orecchie.

“Non del tutto sola…ero con i miei pensieri che, perlopiù senza che riuscissi a controllarli, mi mostravano frammenti del mio mondo. Col tempo ho imparato a richiamare quel genere di visioni senza lasciare che mi travolgessero come accadeva all’inizio.” Poi, la voce di Lidia divenne un sussurro. “Non ero del tutto sola…”

Freyja non sapeva cosa dire per esprimere in maniera adeguata il dispiacere di non aver compreso quanto dura fosse la realtà in cui aveva vissuto l’amica.

“Oh Lidia, sei rimasta sola per tutto questo tempo in questa capanna spaventosa nel folto del bosco…io, io non ce l’avrei mai fatta a resistere!” Abbassò gli occhi. “Se solo penso che avevi soltanto me…ero la tua unica amica e invece di prestarti l’attenzione che meritavi, mi rallegravo di quanto tu fossi brava a raccontare le favole…” Le prese la mano, stringendola ma Lidia si ritrasse.

“Non temere Freyja, non sei un mostro quindi smetti di prenderti colpe che non hai. Quando litigammo, quel giorno, fu soprattutto colpa mia. Sapevo da sempre quale destino mi attendeva e l’avevo accettato, ormai, ma conoscere te mi aveva fatto capire quanto orribile potesse essere la solitudine. Volevo condividere con te le mie ansie pur sapendo che non avrei potuto raccontarti tutta la verità. Quel giorno ti provocai perché avevo bisogno di un pretesto per lasciarti andare e rinunciare all’esistenza tranquilla e spensierata che avevamo conosciuto insieme, a Belafois…In questi anni ho capito che, per quanto fossimo amiche, esistevano ed esistono aspetti di me che neanche tu avresti potuto accettare. Anch’io li ho scoperti da sola e li ho trovati insopportabili…Non so cosa ti abbia raccontato la tua signora Jennings ma non puoi venire con me e non puoi fare niente per aiutarmi. Siamo state amiche da bambine, tutto qui, ormai le nostre strade sono lontane anni luce e la vita ci riserva un futuro diverso. So cosa ti è costato lasciare tutto e venire fin qui da sola, un po’ ti conosco ancora.” Sorrise. “Ma non devi farti suggestionare dai discorsi di una vecchia incantatrice: nel mio destino ci sono morte e dolore, non avventure fatate e, comunque vadano le cose, non ci sarà un finale lieto.”

Rimasero in silenzio, senza osare guardarsi. Fuori la notte era scesa a ricoprire la foresta come un manto pesante e la luna brillava, vicina, facendo risplendere le pietre della casa. Freyja si domandò se a risplendere fosse la signora Ludlum. Osservandola, Lidia appariva stanca e occhiaie bluastre le segnavano il volto.

“Non sono venuta perché pensavo di poterti aiutare: non mi illudo di poterti essere utile in alcun modo. Mi accorgo di non conoscerti bene come credevo, capisco che questi cinque anni ti hanno cambiata, trasformandoti in una donna, una maga se vuoi, dotata di un grande potere e con un fardello pesante che devi sostenere da sola. Non ti chiedo di dividerne il peso se non puoi e non posso costringerti ad accettare di nuovo un’amicizia di cui non hai bisogno.” Con uno scatto, Lidia sollevò la testa ma Freyja proseguì. “Sono un’ingenua, lo sono sempre stata. Così come sono sempre stata codarda. Tu, Lidia, mi proteggevi anche da questo, quando eravamo piccole, era come se la tua presenza, i tuoi racconti, tenessero lontane tutte le mie paure. E’ anche grazie a te che sono cresciuta serena e amata. Sono sempre stata talmente occupata a pensare a me stessa che, anche quando litigammo, ero troppo dispiaciuta di non aver avuto la prontezza di reagire per capire che ti stavi allontanando perché dovevi farlo. E quando sei partita, ero così preoccupata di rimanere sola che mi concentrai completamente sui miei nuovi amici, accettando, senza oppormi, il fatto che noi due non saremmo più state insieme. Ora non so che cosa mi spinga a cercarti con tanta forza, anch’io capisco quanto possa apparire inutile ai tuoi occhi la mia offerta di venire con te, eppure, sento che stavolta non posso lasciarti andare via da sola come feci cinque anni fa. Qualcosa, dentro al cuore, mi dice che devo partire insieme a te, che devo rimanerti accanto…credimi, Lidia, per quanto terribile sia il futuro che ti attende, affrontarlo con qualcuno, anche un’incapace come me, lo farà apparire meno tremendo. Non voglio che tu parta da sola, Lidia, è una mia scelta: ti prego, accettala.”

“Ma tu non c’entri con questa storia e io non intendo coinvolgerti, Freyja…non capisci, occhi splendenti, che non resisteresti in mezzo alle tenebre? Io non potrei proteggerti sempre…e non voglio che ti accada qualcosa, perché sei l’unica amica che abbia mai avuto…” Lidia era agitata, i suoi occhi brillavano febbrilmente e sulle guance si era diffuso un lieve rossore. Sembrava stesse combattendo contro sé stessa e sembrava che la lotta la indebolisse. Appariva estremamente affaticata.

“Anche tu sei la migliore amica che abbia mai avuto e, a parte forse i miei genitori, sento che sei la persona che tiene di più a me. Non riesco a capire perché sia così ma voglio meritare il tuo affetto.” Rispose Freyja e si avvicinò all’amica che sedeva, svuotata, nella vecchia sedia. “E poi non è vero che la luce non ha bisogno delle tenebre: se non ci fosse l’oscurità la luce stessa non avrebbe nessuna ragione di esistere. Lasciami venire Lidia.”

Lidia chiuse gli occhi e, con immensa sorpresa di Freyja, due piccole lacrime le scivolarono sulle guance. Nel lungo orecchino nero era come se lampi verdi si contorcessero nell’atmosfera ovattata della stanza. Freyja ripensò alle parole dell’amica su come l’energia della Ludlum l’avesse attraversata negli anni dell’addestramento facendo da tramite tra il suo potere e quello degli elementi domandandosi se anche adesso, nel fragile corpo di Lidia si stessero affrontando, forze opposte. Si chiese quanto l’amica le nascondesse qualcosa, se davvero la loro amicizia e l’impulso incontrollabile che la spingeva ad accompagnarla nel viaggio non dipendessero in realtà da qualcosa che Lidia conosceva e le stava tacendo.

La pietra al suo orecchio diffondeva un calore nuovo e Freyja si chiese perché Lidia le avesse donato un oggetto che sembrava tanto prezioso. Non si chiese, però, se l’amica stesse in qualche modo ingannandola intenzionalmente perché quanto aveva deciso non era più in discussione e niente ormai l’avrebbe fatta tornare indietro.

Esitante, sfiorò con la mano la fronte di Lidia che scottava. L’amica ebbe un sussulto e spalancò gli occhi. Al posto del verde intenso cui era ormai abituata, due macchie nere e cupe trafissero l’azzurro degli occhi di Freyja.

Fu come se una morsa le stringesse il cuore fino a sopprimerne il battito, come se un grido disperato le rimbombasse, lancinante, nelle orecchie e nella testa e un sentimento di incontrollabile angoscia si riversasse nel suo corpo fino ad immobilizzarla. Freyja afferrò le mani di Lidia e le strinse, gridando per coprire l’orrore che provava. Sul viso dell’amica si dipinse una sofferenza indicibile, allungò le gambe sprofondando sulla poltrona e rovesciando la testa all’indietro.

Per un attimo sembrò che avesse smesso di respirare. Poi, lentamente, il suo corpo si rilassò e la tensione allentò la morsa nella gola di Freyja che si lasciò scivolare sul pavimento, abbandonando le mani sulla pietra fredda. Come le era accaduto la sera della tempesta, sentì la forza che abbandonava le sue membra, strisciando via dalla punta delle sue dita. Si appoggiò alla pietra del camino. Il fuoco si era spento improvvisamente e la stanza era precipitata nell’ombra.

Intorno era freddo e Freyja rabbrividì. Davanti a lei, Lidia si muoveva piano, ancora completamente abbandonata sulla sedia; cercò di raddrizzarsi, socchiudendo gli occhi in cui Freyja riconobbe l’amato, innaturale verde. Le occhiaie erano, adesso, due solchi profondi. Quando Lidia parlò, la sua voce era un sussurro.

“Non posso impedirti di venire Freyja. Vorrei risparmiarti questo viaggio ma…non ce la faccio.” La fissò con sguardo stremato. “La luna è alta e luminosa, domani notte sarà piena. All’alba partiremo e forse non tornerai mai più a Belafois. Dormi ora perché sarà un viaggio duro come non puoi nemmeno immaginare…” Si interruppe, alzandosi a fatica. “Sono esausta, seguimi.”

Freyja si rimise in piedi e si trascinò fino alla stanza in cui si era cambiata d’abito. Lì, salì sul grosso letto che le indicò Lidia e, nel momento stesso in cui la sua testa toccò il cuscino, piombò in un sonno pesante e senza sogni.

Lidia si stese al suo fianco e rimase a fissare le assi del soffitto per molto tempo prima di addormentarsi anche lei, precipitando in un vortice di visioni distorte e confuse che le tennero compagnia fino all’alba.

 

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