Progetto HOPE – Selezione (parte 3)


Fui io a interrompere quel silenzio che sembrò durare in eterno

«Quindi mi faccia fare un riassunto rapido: voi avreste intenzione di addestrarci per farci diventare una sorta di supersoldati, per poi spedirci pressoché allo sbaraglio nelle zone di guerra? Il tutto perché noi possediamo capacità extraumane?».

«Ha il dono della sintesi, signor Meijer. Sì, il progetto HOPE è essenzialmente questo» rispose Beckham come fosse la cosa più naturale del mondo.

«E.. se… noi non… accettassimo?» Quasi impercettibile si udì la voce con un marcato accento spagnolo della ragazza coi capelli rossi.

«Miss Gomez, nessuno vi obbliga a stare qui. Siete liberi di non accettare, se lo credete, sarebbe comprensibile. Lei poi è in una situazione molto delicata, dato che so che è stata prelevata dal suo appartamento a Buenos Aires due giorni fa e che è stata quasi tenuta segregata in albergo fino a quando non l’ abbiamo condotta qui».

Io e Jankovic, l’ energumeno slavo, ci scambiammo istintivamente un’ occhiata accigliata

«Dovete cercare di capire… Questo incontro è stato organizzato in fretta, fino a quando il signor Meijer non è stato aggredito dagli studenti di Princeton non eravamo neppure sicuri che avesse quelle facoltà…».

Saltai sulla sedia: «Fermi, fermi, fermi… Significa che ipotizzavate già che io fossi dotato di queste capacità?»

L’ espressione di Beckham si fece terrea, anche se il suo tono di voce rimase pacato: «Sì, signor Meijer… Vi monitoriamo da tempo, e sospettavamo effettivamente che aveste acquisito capacità extra…»

«Superpoteri» intervenne la giovane bionda «Conviene chiamarli superpoteri, a questo punto». Poi sorrise: «Fa più effetto».

«D’ accordo, superpoteri. Il punto è: ognuno di voi ha doti specifiche, che si vanno a sommare a questi cosiddetti superpoteri. Potete anche decidere di ignorarli e di tornare alla vostra vita di tutti i giorni, il che naturalmente comporta che nessuno debba mai venire a sapere di questo incontro, pena delle… noie con il governo, se così volete definirle. Ma siete persone che hanno ricevuto in dono abilità che vi rendono unici, e avete l’ occasione per cambiare il corso degli eventi. Perché non sfruttarla?»

«Ma sono le nostre vite, quelle in gioco» puntualizzò Sasaki

«Certo, e sarete allenati perché il rischio si riduca. Ma davvero, avendo ricevuto più di altri, non sentite di dover fare qualcosa di più per il mondo?»

«Io ci sto». Tutti ci voltammo verso Jankovic. «Ho vent’ anni, ho vissuto in pieno la guerra tra Serbia e Bosnia, so cosa significa vedere morire tanta gente attorno a te e non avere la possibilità di non fare nulla. Ho visto orrori nel mio paese che nessuno di voi penso potrà mai capire. Se sarò l’ unico pazienza, ma io ci sto, sono dei vostri».

Rimanemmo tutti colpiti da quelle parole. Ognuno di noi restò in riflessione per qualche istante. C’ era chi si guardava le punte delle scarpe, chi le mani, chi aveva gli occhi fissi sulla parete, poi iniziammo a guardarci l’ un l’ altro.

«So che potrei pentirmene ma… ci sono anche io» disse Sasaki

«Io pure». Anche la Wilkins si aggiunse

L’ attenzione si focalizzò su di me e su miss Gomez. Guardai ciascuno negli occhi. L’ idea di poter perdere la vita non mi entusiasmava granché, ma il discorso del ragazzo serbo mi aveva smosso dentro qualcosa. «Oooooh, e va bene… Però se a un certo punto non me la sento più posso smettere, vero?»

«Naturalmente. Ricordando però sempre quanto ho detto prima».

A questo punto, gli sguardi si rivolsero tutti sulla rossa dall’ accento spagnolo

«Io… Non so… Dovrei pensarci… Avrei bisogno di qualche giorno…»

«Miss Gomez, se le serve un po’ di tempo non glielo posso negare. Però sappia che tra non molto avremo bisogno di una risposta. E tenga conto che le sue, di capacità, sarebbero fondamentali, per noi».

Esitò: «Io… » Rimanemmo in silenzio, pendendo letteralmente dalle sue labbra. «Accetto»

«Magnifico! Allora faccio preparare le attrezzature, tra una settimana cominciate l’ addestramento, vi verremo a prendere noi. Faremo in modo di coprire ognuno di voi nelle vostre attività. I contatti per fortuna non ci mancano».

«Ho una sola domanda» lo interruppi con tono aggressivo: «Cosa significa che ci monitoravate? Perché? Come sapevate…»

«Questo, signor Meijer, temo di non poterglielo ancora rivelare» disse Beckham mostrandomi la porta.

I misteri aumentavano sempre di più

(parte 3 – continua)

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