Il vaso azzurro e il vaso blu


C’erano una volta un vaso di ferro e un vaso di coccio. Ma questa storia, probabilmente, già la conoscete. Allora è il caso di raccontarne un’altra, visto che il Paese dei Vasi è molto grande e antico, e conserva la memoria di molti racconti.

C’erano una volta un vaso azzurro e un vaso blu. Il vaso azzurro era un piccolo vaso di fattura modesta, con due manici appena abbozzati che lo facevano sembrare quasi una brocca. Ma si sforzava, giorno dopo giorno, di assomigliare sempre più a un vaso vero, senza perdere il suo bel colore azzurro cielo.

Il vaso blu era un bel vaso, elegante e slanciato, simile quasi a un’anfora dei tempi antichi. Il suo colore blu intenso ricordava quello della notte, e per tanti anni il vaso blu era stato considerato da tutti gli altri vasi l’unico depositario del colore del cielo.

Per ogni giorno che trascorreva nel Paese dei Vasi, però, il vaso azzurro diventava un po’ più bello, con i suoi continui sforzi per trovare una forma originale, definire sempre meglio ogni suo elemento e rendere il suo azzurro più splendente.

Fu così che gli altri vasi iniziarono a notarlo: prima pochi, poi qualcuno in più. Fino a quando le voci sull’esistenza di un altro vaso che aveva il colore del cielo arrivarono al vaso blu.

Ed ecco che un bel giorno il vaso blu si presentò dal vaso azzurro, e lo apostrofò con fare deciso: «Il Paese dei Vasi è troppo piccolo per due vasi che abbiano entrambi il colore del cielo».

Stupito, il vaso azzurro rispose: «Ma il tuo blu è il colore della notte, mentre il mio azzurro rappresenta il cielo durante il giorno: in fin dei conti ci completiamo. Anche gli altri vasi sapranno distinguere tra noi due, no?».

«Gli altri vasi parlano già troppo di te» disse seccato il vaso blu. «E poi non venirmi a dire che il cielo è stata la tua unica fonte d’ispirazione: è evidente che quando hai scelto il tuo colore hai voluto copiare il mio! Sarai anche un bel vasetto» aggiunse il vaso blu «ma io sono qui da molto più tempo di te: ne hai di acqua da raccogliere e versare prima di poterti confrontare con me».

Il vaso azzurro era incredulo. A lui non interessava competere. Né aveva avuto bisogno di copiare il suo colore: l’unico modello per lui era stato il cielo. Pensare a tutta la fatica che aveva fatto per arrivare a quel colore e sentirsi insultato in quel modo lo rattristava molto, e lo faceva anche arrabbiare.

«Come può essere un problema la somiglianza tra noi?» provò a obiettare il vaso azzurro «Io sono un vaso piccolo e largo, tu sei quasi un’anfora… è impossibile che gli altri vasi ci confondano!».

«Ed è qui che ti sbagli» ribatté il vaso blu con malcelato disprezzo per l’ingenua fiducia del vaso azzurro, che in fondo voleva solo sistemare le cose. «Io ora sono alto e slanciato, ma tu stai assumendo una forma sempre più affusolata, e un giorno potresti diventare come me. Come la mettiamo, inoltre, se in futuro io decidessi di cambiare forma? Se ne scegliessi una più semplice diventerei uguale a te. E questo è inammissibile».

Il vaso azzurro non sapeva più che dire. Guardava perplesso le due forme così diverse, senza riuscire a capire come fosse possibile che qualcun altro li scambiasse per lo stesso vaso.

All’improvviso però ebbe un’idea: «E se mi colorassi con il rosa dell’alba, o con l’arancio del tramonto? Sarebbe bellissimo, non credi? Eppure sarebbe sufficiente a rendere evidenti le differenze tra noi» disse speranzoso.

Ma il vaso blu rispose: «Questo non è possibile. Io sono stato il primo a scegliere il colore del cielo, quindi tutti i colori del cielo mi appartengono di diritto, ricordatelo bene».

Questa affermazione avrebbe dovuto abbattere definitivamente il vaso azzurro. E invece servì a rendergli le cose, finalmente, più chiare. Che senso aveva compiacere il vaso blu? Che bisogno c’era di restare a tutti i costi nel Paese dei Vasi?

Nessun vaso avrebbe più potuto scegliere il colore del cielo, se non voleva suscitare la gelosia del vaso blu. Era un motivo più che sufficiente per cambiare aria.

«Allora me ne vado» disse il vaso azzurro con decisione.

«Tu cosa?» rispose stupito il vaso blu.

«Hai capito bene, me ne vado. Il Paese dei Vasi è troppo piccolo per noi due? Allora me ne andrò da qualche altra parte. È assurdo che, solo perché tu sei arrivato prima, sia proibito per chiunque scegliere uno qualsiasi dei colori del cielo. Il cielo è di tutti, non c’è scritto sopra il tuo nome».

Il vaso blu non sapeva che dire. Aveva vinto, no? Rimaneva l’unico vaso colorato come il cielo in tutto il Paese dei Vasi. Eppure…

«Sì, ecco, vattene!» disse stizzito. «Vattene via, tanto sappiamo entrambi che tornerai strisciando, magari colorato di giallo!».

Ma il vaso azzurro non ascoltava più quelle parole piene di risentimento. Aveva deciso di andarsene, e lo stava già facendo: il sole era ormai al tramonto, e l’azzurro del cielo stava sfumando nei meravigliosi colori del crepuscolo.

Il suo azzurro forse non avrebbe più brillato della stessa luce fuori dal Paese dei Vasi. Ma almeno il vaso azzurro poteva continuare a inseguire il colore del cielo. Andando libero per la sua strada.

8 Comments

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    • Luca Rasponi

      Grazie Vanessa! Era tanto tempo che non scrivevo più un racconto, questo era il mio esordio su Discorsivo: sono contento che ti piaccia!

      Le favole della buonanotte sono una tradizione che va assolutamente mantenuta, perché insegnano a sognare… 🙂

    • Luca Rasponi

      Chi lo sa? Il finale della storia è aperto, quindi ognuno può immaginarsi la conclusione che preferisce… a meno che non ci sia un seguito in futuro 😉

      Certo che se il vaso blu si è scelto come braccio armato il vaso di ferro della favola di La Fontaine, per gli altri vasi c’è poco da stare tranquilli…

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