Prevenire gli avvelenamenti da funghi: la parola al micologo


“Avvelenata dai funghi a 2 anni. Riuniti, salva dopo il trapianto” (L’Eco di Bergamo.it, 12 ottobre 2012). “Pavia, due avvelenati dai funghi. Subiranno il trapianto del fegato” (Repubblica.it, 22 ottobre 2012). “Funghi killer, tre vittime a Cascina” (Repubblica.it, 23 ottobre 2012). L’elenco potrebbe continuare a lungo. A scorrerlo, pare un bollettino di guerra: con l’arrivo dell’autunno il numero delle intossicazioni da funghi è letteralmente esploso, con centinaia di casi registrati in tutta la penisola. 290 nella sola Lombardia nelle prime tre settimane di ottobre, tanto per fare un esempio: oltre un terzo rispetto al numero dei ricoveri per avvelenamenti registrati ogni anno. E nuovi episodi sono all’ordine del giorno: è delle ultime ore la notizia di un’intera famiglia finita all’ospedale a Perugia dopo aver consumato funghi.

Infografica su Amanita phalloides realizzata da Nicolò OppicelliUna situazione che ha ormai assunto i connotati di una vera emergenza su scala nazionale. Ma quali sono le cause di questa crescente ondata di avvelenamenti? Nicolò Oppicelli, micologo e direttore della rivista “Passione Funghi e Tartufi”, non ha dubbi: «L’inesperienza e la superficialità dei cercatori. In molti si improvvisano “fungaioli”, e dopo aver raccolto qualunque cosa risembri o ricordi un fungo nel bosco, si rivolgono a qualche “santone” pseudoesperto del posto che inevitabilmente correrà il rischio di far intossicare i conoscenti, non essendo un micologo iscritto al registro nazionale. I funghi bisogna sempre conoscerli prima di raccoglierli, e vanno raccolti esclusivamente quelli che si conoscono, lasciando interi nel bosco tutti gli altri».

Un monito che, se ascoltato, salverebbe ogni anno la vita a decine di persone. Perché le specie insidiose sono molte, e non sempre facili da distinguere da quelle commestibili per un occhio inesperto. Ma quali sono i funghi più pericolosi? «La famosa amanita falloide o Amanita phalloides, velenosa mortale, che spesso viene confusa con funghi commestibili dei più vari generi, dalle russole ai prataioli, all’ovolo buono, alle mazze da tamburo. Ma anche il “perfido” Entoloma sinuatum è un fungo spesso raccolto da cercatori inesperti, che invogliati dalle sue dimensioni lo ripongono nel cesto, magari associandolo al tossico agarico delle nebbie, Clitocybe nebularis, un tempo specie raccolta e apprezzata localmente, da anni eliminata dal registro delle specie commestibili presenti in Italia per la presenza di tossine nelle sue carni. Pericoloso anche l’Omphalotus olearius, fungo dell’olivo, che nasce a piccoli gruppi su legno di latifoglia e spesso inganna i cercatori per la sua somiglianza con il galletto buono, il Cantharellus cibarius. E poi il peveraccio delle coliche o Lactarius torminous, tossico, spesso scambiato con i buoni sanguinelli o Lactarius deliciosus, che hanno lattice color carota e mai biancastro. Si potrebbe fare un elenco infinito dei funghi pericolosi e non, per cui resta valido il consiglio di raccogliere solo i funghi che si conoscono, e, possibilmente, di raccogliere solo esemplari sani».

E delle specie universalmente riconosciute come commestibili? Ci possiamo fidare? Anche in questo caso, ci sono precauzioni da prendere: «Molte intossicazioni sono anche causate dal consumo di porcini mal conservati o troppo maturi, esemplari che andrebbero lasciati riposare nel sottobosco, insieme a quelli troppo piccoli. Poi, per alcune specie, come il chiodino o Armillaria mellea, è obbligatoria una prebollitura di 20 minuti per eliminare alcune tossine termolabili presenti nelle sue carni. E bisogna evitare il consumo eccessivo di funghi in più pasti, e, se possibile, evitare anche di consumare da crude specie eduli come porcini ed ovoli buoni».

Ma se abbiamo dubbi sulla determinazione di una specie che cosa possiamo fare? A chi ci possiamo rivolgere? «L’unica autorità predisposta a determinare la commestibilità di un fungo è il micologo, iscritto al registro nazionale. Non bisogna per alcun motivo affidarsi al classico “vicino di casa”, “santone del paese”. L’unica figura predisposta a detta determinazione è quella del micologo». Un invito alla prudenza più volte ribadito anche sul gruppo Facebook della rivista diretta da Oppicelli, che nei giorni scorsi ha fatto circolare un’infografica – che sarà pubblicata anche nel numero di dicembre di “Passione Funghi” – pensata per sensibilizzare tutti i cercatori sulla pericolosità dell’Amanita phalloides.

Ad aggravare la situazione, la sensibile crescita, registrata negli ultimi anni, del numero degli appassionati che, nella stagione propizia, si recano nei boschi alla ricerca di funghi. Ma può essere il caso di rendere obbligatori corsi di micologia di base vincolanti, ad esempio, per il rilascio dei permessi di raccolta, come già avviene ad esempio in alcune regioni? «Occorrerebbe maggiore prevenzione e informazione: per esempio con il nostro mensile in edicola stiamo presentando ogni mese una piccola puntata di un minicorso micologico. Sì, sarebbe il caso, che ogni regione obbligasse tutti i cercatori ad avere una autorizzazione specifica per la raccolta. Prevenire sarebbe meglio che trapiantare».

9 Comments

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  1. emilio

    condivido tutto al 100%. Purtroppo quelli che si avvelenano non leggono le riviste. Il problema è proprio questo: come informare i cercatori occasionali?
    ciao
    emilio

  2. Claudio Carminati

    Grazie Emilio per il commento. Provo a mettere nero su bianco qualche personalissima idea.

    Le soluzioni possibili sono diverse. E’ relativamente esiguo il numero delle persone che leggono riviste, è vero. Probabilmente la TV, mezzo di comunicazione ancora oggi più utilizzato, presente in quasi tutte le case, dovrebbe farsi carico del ruolo di informare ed educare, instillando buonsenso, prima ancora che conoscenze scientifiche. E magari sfatando una volta per tutte superstizioni popolari foriere solo di disgrazie – dalla prova del cucchiaio d’argento a quella dell’aglio, recentemente riproposta (incredibile!) nel corso di un programma di cucina su un canale Sky…

    Altre soluzioni? Le ipotesi possono essere molte. Un tesserino nazionale obbligatorio, necessario per il rilascio dei permessi di raccolta. Maggiori controlli nei boschi finalizzati non tanto – o non solo – ad accertare eventuali comportamenti illeciti, ma a verificare prima di tutto che nei cesti non siano finiti funghi velenosi. La distribuzione di materiale informativo insieme ai permessi di raccolta. La moderazione attenta e costante da parte di micologi su forum e gruppi di discussione presenti in rete, spesso veicolo di informazioni sbagliate.
    Soluzioni ce ne possono essere tante, alcune più valide e sensate, altre meno, ma a mio avviso tutte egualmente utili.

  3. Angelo Flamini

    d’accordissimo,ma anche i corsi devono essere fatti più seriamente, le ASL dovrebbero rendere più fruibile l’ufficio micologico e soprattutto andrebbe più pubblicizzato dalle istituzioni il pericolo che si corre ad essere troppo superficiali

  4. Anonimo

    sul corso posso anche approvare imparare fa sempre bene, ma francamente non credo sia utile allo scopo,perchè chi va a funghi sa cosa cercare il problema si pone x chi va a funghi 3 o 4 volte l’ anno propio quando c’è la buttata e vien raccolto di tutto e le guardie forestali non riparano a fare verbali,come fare a vedere i funghi velenosi di queste persone ? potrebbero essere utili dei cartelli pubblicitari lungo le strade con le foto dei funghi velenosi
    da non raccogliere a diversi stadi di vita, perchè ci son dei funghi velenosi che presi chiusi o piccoli a un primo sguardo possono trarre in inganno anche uno esperto figuriamoci uno indeciso che è li solo x far pieno il cestino..!!

  5. emilio

    siamo in fase di spending review, possibile che al ministero della sanità non facciano una valutazione di cosa costano in soldi e sofferenze gli avvelenamenti da funghi? Visto che sono parecchie decine di migliaia, sarebbe più che giustificata una bella campagna informativa nei media in particolare la tv. Penso ad un programma serio, scientificamente corretto, tenuto da specialisti medici e micologi. oggi alla tv dicono solo stronzate sui funghi, non solo ripropongono le dicerie demenziali che risalgono alla notte dei tempi, ma spesso fanno vedere le muscarie dicendo che sono le phalloides…. Una informazione così non è utile, è pericolosa.

  6. Claudio Carminati

    Concordo sul fatto che non sempre è facile sapere dove si trova l’ispettorato micologico più vicino e quando è aperto. Sarebbe sufficiente, ad esempio, stampare qualche informazione sui permessi di raccolta, oltre che pubblicarla sui siti internet istituzionali, in primis quelli dei Comuni.

    Il Ministero della Sanità, dal canto suo, dovrebbe intervenire con campagne informative mirate, d’accordissimo con Emilio. Che la questione non venga del tutto ignorata, se non altro, lo conferma l’interesse mostrato dal Ministero per una vicenda avvenuta proprio questi in giorni, quella del canale Sky citata nel mio precedente commento. Su segnalazione dello stesso Oppicelli, Sky ha ricevuto ieri dal Ministero richiesta di adeguata rettifica rispetto alle informazioni sbagliate fornite nei giorni scorsi. Ora sarebbe il caso che dall’intervento d’emergenza stimolato dal singolo episodio si passi a un piano informativo ed educativo su scala nazionale, articolato e ben mirato.

    Va da sé, chi va a funghi 3-4 volte l’anno senza alcuna conoscenza di base è in effetti il soggetto a maggiore rischio, e non c’è cartello o avvertimento che tenga, né sulle strade, né nei boschi. Ma ci sono altri soggetti a rischio: ci sono quelli – e sono tantissimi – che, in barba alle indicazioni dei micologi, oltre che ad ogni invito al buonsenso, si ostinano a raccogliere e mangiare specie riconosciute tossiche e questo solo “perché è tradizione”, “perché lo si è sempre fatto e non è mai successo niente”. Si pensi a Clitocybe nebularis, gli “ordinari” citati anche nell’articolo.

    • Anonimo

      Buongiorno.
      Sono una studentessa in Tecnico della Prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro, sto ultimando la mia tesi di laurea sulle credenze popolari e su come queste influiscono ancora sulla raccolta dei funghi epigei spontanei.
      Mi sono imbattuta solo adesso in questa discussione, ti sarei grata se potessi fornirmi qualche informazione sul programma sky da te citato.
      La mia discussione si terrà il 03/04/2013 per cui se potessi rispondermi al più presto mi saresti di aiuto.
      Ti ringrazio in anticipo..
      Dolores

      • Claudio Carminati

        Ciao Dolores,
        innanzitutto, le mie congratulazioni per la tua laurea ormai imminente.

        Quanto alle precisazioni di cui chiedi, all’epoca dei fatti ebbi modo di seguire la vicenda direttamente su Facebook, il dibattito si sviluppò soprattutto a suon di post e commenti e quindi, a oggi, è difficile andare a recuperarlo.

        Il programma incriminato, comunque, si chiama “Il club delle cuoche” (in onda su Alice Tv e Arturo Tv), la puntata del fattaccio è quella del 4 novembre 2012, la credenza popolare pericolosamente divulgata è quella, classica, della “prova dell’aglio”.

        Trovi un resoconto abbastanza esaustivo della vicenda a questo link.

        Puoi invece leggere a questo link la richiesta di rettifica inviata dal Ministero della Salute alla redazione della trasmissione.

        Spero di esserti stato utile. Qualora servisse altro, scrivi pure: per quanto possibile, sarò ben contento di aiutarti.

        In bocca al lupo per la discussione! Poi facci sapere, eh!
        Ancora complimenti!

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