Da Glee ad American Horror Story – Ryan Murphy e la bellezza delle sue serie tv


In questo ultimo periodo tra fine quarantena ed estate dove si passa meno tempo davanti alla tv mi sono ritrovato a vedere due serie tv che mi hanno colpito: Hollywood e la seconda stagione di The Politician. Sì, ma colpito per cosa? Non è così facile da spiegare perché sono sensazioni che inizialmente sono molto inconsce: particolari della fotografia o della sceneggiatura magari, la sigla o altro che all’inizio non capisci bene perché ti piacciano, ma che lasciano come la sensazione di avere l’acquolina in bocca.

ryan murphy - hollywood

Hollywood (Credits: Netflix)

Chi è Ryan Murphy

Quando poi mi sono soffermato sui titoli di coda è apparso un nome che non mi era nuovo, ma che non avevo mai approfondito: Ryan Murphy.
Infatti non sono mai stato il tipo che quando inizia una nuova serie tv bada subito a chi l’ha scritta, prodotta, o chi è alla regia. Mi lascio piuttosto trasportare dall’istinto o magari da qualche consiglio dato da un amico o da qualche sito di news trovato in rete.
Per chi non lo conoscesse Ryan Murphy è regista, produttore, sceneggiatore e aggiungerei showrunner di alcune serie tv già passate alla storia come Nip/Tuck, Glee, American Horror Story e American Crime Story. Tutte serie molto diverse tra loro sia per tematica che per sceneggiatura, ma che se riguardate con un certo occhio rivelano il loro comune denominatore.
Se siete dei professionisti – leggi nerd – nel campo delle serie tv sono sicuro che prima di guardarne una andrete ad approfondire i dettagli della stessa come autori, regista, protagonisti ecc.
E so che molti di voi, come la maggior parte della redazione di Discorsivo,  lo fa. Come dicevo sopra me ne strafrego, ma non per supponenza, ma perché vivo l’esperienza della visione di una serie tv come un momento in cui mi rilasso e stacco la mente lascio campo libero al dito sul mio telecomando. E dove mi porta mi porta.
In questo articolo quindi il percorso di associazioni di idee – spesso malate – che vi propongo è inverso a quello che un bingewatcher di Netflix si aspetterebbe. Ma nessuno è perfetto.

Ryan Murphy racconta Hollywood

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Ryan Murphy (Credits: Dominick D, Creative Commons)

Partiamo da Hollywood, una delle ultime fatiche di Ryan Murphy, uscita il 1° maggio  su Netflix.
La miniserie narra l’ambiente delle grandi case cinematografiche hollywoodiane negli anni 50, in un’America molto diversa da quella di oggi. Bianca e “maschia” potremmo definirla, dove solo i Wasp (White, Anglo-Saxon, Protestant) avevano la supervisione culturale, politica ed economica del Paese. Le minoranze non avevano un posto rilevante nella società, figuriamoci in quella cinematografica.
In un miscuglio di fatti veri e inventati, che lo stesso Murphy chiama “faction” – neologismo nato dalla fusione delle due parole inglesi fact e fictionsi cerca di cambiare in meglio la storia aggiungendo un finale alla “e vissero tutti felici e contenti” molto hollywoodiano.

Sogno o metafisica?

Se badate bene guardando Hollywood  e poi tutte le altre serie di Murphy noterete la cura estrema del dettaglio: costumi, pettinature, arredi, colori, fotografia, composizione della scena, scelta degli attori, sigla, colonna sonora. Sarebbe difficile elencarli tutti e non essendo un professionista che potrebbe anche tecnicamente spiegare queste cose, vado più a sentimento. Si nota subito l’aria patinata che ogni scena porta con sé: mai una sbavatura, un oggetto fuori posto o un colore che stona. Si rimane meravigliati da come sia tutto estremamente nuovo, ben fatto, quasi perfetto.
Siamo lontani dallo stile di Wes Anderson che lavora a un altro livello, più etereo o metafisico potremmo dire. Ryan Murphy invece resta pragmatico come solo gli americani sanno essere e riesce a trasformare un prodotto popolare in qualcosa che dà l’idea di essere stata partorita da un sogno, da un ideale.

The Politician  e l’importanza di una buona sigla

ryan murphy - the politician

The Politician (Credits: Netflix)

La seconda serie che mi ha fatto arrivare a questa illuminazione è The Politician,  in particolare la seconda stagione uscita il 19 giugno scorso. Oltre ai già citati “elementi visivi”, Ryan Murphy cura un elemento spesso sottovalutato: la sigla. Non mi stancherò mai di ripeterlo, ma una buona sigla anticipa – quasi – sempre una buona serie. Esempio lampante è quella di Game of Thrones, diventata iconica.
Quella di The Politician oltre a essere ovviamente molto curata racconta già una storia, riassume in pochi secondi gli elementi cardine che andremo a trovare poi lungo tutto lo show preparandoci psicologicamente a gustarci un ottimo prodotto. Se una sigla riesce a non farci spingere il tasto “salta introduzione” di Netflix, benedetto in alcuni casi, allora vuol dire che la qualità che andremo a trovare non ci deluderà. Qualità che oggi diventa, purtroppo, sempre più rara da trovare.


Se quindi in questo pigro luglio non saprete che serie tv guardare il mio consiglio è di rivedervi alcune di quelle citate sopra,  tenendo a mente questo mio piccolo excursus tra i lavori del produttore americano. Sono sicuro che apprezzerete come ho fatto io.
Buona visione!
 

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