Psicologia e serie tv -Tony Soprano's daddy issues


Psicologia e serie tv hanno iniziato a divenire un trend nella pop culture negli ultimi anni. Se dovessimo individuare un momento in particolare, potremmo indicarlo nel momento in cui sugli schermi è apparso Lui:

psicologia e serie tv : Tony Soprano in primo piano sotto la scritta/brand The Sopranos in secondo piano la Famiglia

(fonte: Hbo)

Stiamo parlando naturalmente di Tony Soprano. Imprigionato come un orso in gabbia nello studio della dottoressa Melfi, il malavitoso padre di Famiglia ha iniziato a confessare i suoi problemi con la figura paterna. I suoi daddy issues (“questioni irrisolte con papà”) erano il risultato di una stratificazione di comportamenti e atteggiamenti della tradizione paternalistica da cui proveniva.
Tony Soprano è una figura divenuta iconica nel panorama televisivo dell’ultimo ventennio, è l’antieroe che ha fatto da padre a tutti quelli che gli sono succeduti sul piccolo schermo: è grazie alla sua mastodontica presenza se ora possiamo avere nel nostro immaginario tutti i Walter White (Breaking Bad, 2008), i Don Draper ( Mad Men, 2007), i Frank Underwood (House of Cards, 2013) che siamo capaci di amare e detestare in egual misura. Psicologia e serie tv si fondono in queste figure che così donano diverse forme all’archetipo dell’antieroe.
Questo è il periodo dell’anno in cui varie comunità sparse nel globo si apprestano a festeggiare il papà e il suo ruolo nella società. Quindi è interessante andare a scovare nei meandri del nostro immaginario quella figura paterna che si è dimostrata Padrino dei nuovi antieroi televisivi e pater familias di una delle più interessanti Famiglie del piccolo schermo.

Tony Soprano: quando psicologia e serie tv creano il loro paziente zero

 
La tv ci aveva già abituati ad altre grandi iconiche famiglie che vivevano tra i suoi palinsesti (un esempio su tutti: I Robinson), ma quando i Soprano arrivano a bucare lo schermo nel 1999, il dramma familiare assume tinte del tutto differenti. Gli intenti di psicologia e serie tv convergono e diventano demiurghi di una nuova creatura: The Sopranos. David Chase  riesce finalmente a convincere la Hbo a produrre la serie da lui ideata. L’elevator pitch con cui il creatore dei Soprano convince i piani alti della casa di produzione è la messa in scena della dicotomia: omertà mafiosa e il “dire tutto freudiano” (la seduta di psicoanalisi). Lo spettacolo è garantito già dalla sua premessa ed è così che Tony Soprano si ritrova capofamiglia in crisi che deve gestire i suoi due mondi: quello domestico e quello degli affari mafiosi; “due mondi” che continuano a procurargli notevoli preoccupazioni e stress emotivo. Il dramma della Famiglia non era mai stato reso così intenso e stratificato: tutto quello che avviene all’interno del nucleo familiare è qui amplificato nella duplicità dell’essere Tony Soprano: gangster e padre. In breve tempo The Sopranos diventa un’attrazione, un magnete a cui pubblico e critica non riescono a staccare gli occhi di dosso; è la prima volta che s’intravede il potenziale televisivo di creare storie che scavano in profondità. La routine della vita familiare è nella serie resa dall’andare in onda settimanalmente, il logorio del quotidiano crea frizione con le esplosioni violente della vita malavitosa, la complessità degli eventi che traumatizzano e ristorano la figura di Tony Soprano lo rendono un incantevole mostro da guardare e analizzare. Psicologia e serie tv iniziano la loro personale odissea e l’uomo che erra alla ricerca di se stesso diventa un viaggiatore pieno di difetti che naufraga nel mare magnum del suo quotidiano. Tony Soprano è l’antieroe di un’opera magistrale che trova risonanza tutt’oggi, a oltre dieci anni di distanza dal finale della serie.
Tony Soprano è interessante innanzitutto perché la modalità in cui ci è presentato desta interesse e cattura l’attenzione: se settimanalmente ci era consentito avere uno scorcio sulla sua quotidianità tra malaffare e dramma familiare, il tutto era poi riportato all’interno della cornice della seduta di psicoanalisi. Un appuntamento tra il mobster del New Jersey e la dottoressa Melfi che coincideva con la nostra visione della serie settimana dopo settimana.
Le sedute con la psicoterapeuta diventano così il contesto in cui analizzare le azioni che avvengono all’interno dei singoli episodi, oltre che un mezzo per approfondire la contorta visione del mondo di Tony Soprano. I suoi attacchi di panico, la sua depressione, la sua bulimia nevrotica, sono gli elementi scatenanti che permettono di guardare a ritroso le sue scelte di vita e di approccio all’esistenza.  In un commisto tra psicologia e serie tv, si scopre così la complessa rete di relazioni e rapporti umani che hanno creato Tony Soprano e che suggeriscono e informano le modalità che egli adotta per affrontare il suo vivere quotidiano. Grazie alla dottoressa Melfi comprendiamo che i Soprano sono una famiglia disfunzionale (come tutte del resto: “Ogni famiglia infelice è infelice a modo suo”, Anna Karenina docet). Le esperienze traumatiche vissute nell’infanzia sono quello che compone l’ombra di Tony Soprano nel suo presente: il difficile rapporto con la madre (anaffettiva e per lo più assente), la prematura scomparsa del padre di conseguenza idolatrato, e il tentativo di sostituirlo con lo zio paterno, che però risulta un surrogato inadeguato. Da qui, la continua ricerca di guide per il resto della sua adolescenza e giovinezza. Quest’amalgama di ingredienti difettosi guida le azioni del protagonista della serie. E di conseguenza connota le scene più drammatiche in cui questi conflitti ancora aperti vengono a galla.

Iconica in questo è la scena del tentato assassinio di Tony Soprano. Un tentativo di parricidio ordito da zio e madre, che si trova al finire della prima stagione di The Sopranos. In questa vi è anche una strizzatina d’occhio a un’altra figura paterna della serie: Il Padrino; le arance simbolo di sventura e di morte di Don Corleone per Tony Soprano diventano un più commerciale succo d’arancia.
Così avviene ne Il Padrino:

Così accade in The Sopranos:

“Trasformare la propria prigione in un castello” (Kafka, 1919, “Lettera al Padre”)

 
Il conflitto con la figura paterna – quale è la relazione surrogata che hanno Junior e Tony Soprano, che per l’appunto sono molto più che rispettivamente zio e nipote – è ancora più accentuato dal fatto che quello che avviene nel penultimo episodio della prima stagione non è l’unico tentativo di parricidio. Infatti sarà sempre Junior sul finire della serie a mandare in coma Tony, quando ormai preda della demenza senile inaspettatamente gli sparerà una pallottola dritta nel petto.
Il disfunzionale rapporto con la madre Livia sarà spesso al centro delle sedute con la dottoressa Melfi. Un focus che proseguirà fino alla comprensione di Tony Soprano che il risentimento covato verso la figura materna è dovuto alla mancanza di protezione: un senso di abbandono dei figli, trascurati e lasciati in balia dell’influenza negativa del padre. A questa rivelazione il protagonista giunge grazie all’analisi del comportamento di sua moglie Carmela, una mamma orsa (al contrario di Livia) sempre pronta a difendere i propri cuccioli, anche dallo stesso papà orso Tony.
Emblematica in tal senso la simbologia della scena dell’incontro ravvicinato con l’orso che avviene in “Two Tonys”, episodio della quinta stagione:

Psicologia e serie tv si fondono ancor più nella quinta stagione. Ecco la permeante definizione che la dottoressa Melfi dà della depressione che affligge Tony Soprano in “Cold Cuts”: “Because depression is rage turned inward”(“perché la depressione è rabbia rivolta verso l’interno”). La rabbia dunque è quella che Tony inconsciamente prova per un padre, che con lo scorrere delle stagioni si scopre sempre più una figura genitoriale assente, che abbandona. Al contrario quando questo si rivela episodicamente presente assume il ruolo di un padre dalla presenza tossica e dannosa. Si scopre così in “Fortunate Son” come il piccolo Tony Soprano sia venuto a conoscenza del mondo malavitoso del padre, quando lo vede affettare con una mannaia il dito di un debitore al gioco; è con quest’azione che lo stesso Johnny Boy introduce il figlio undicenne all’essere uomo, in una visione tossica di machismo che vede il diventare uomini come un atto di perpetua violenza sull’altro per il dominio e il controllo. La brutalità di questa visione del mondo diventerà una componente della vita di Tony. Nelle sedute di psicanalisi affiorerà più volte il senso di  inettitudine al suo stesso ruolo di padre nella paura di tramandare alla prole i suoi peccati. L’esperienza vissuta come figlio, imprigionato nella lezione di vita del papà, renderà Tony Soprano una complessa figura paterna.
Questa linea di pensiero per cui i peccati del padre ricadono sui figli sarà quella che porterà a una delle uccisioni più simboliche e drammatiche all’interno di The Sopranos: il soffocamento di Chris Moltisanti.
Christopher Moltisanti è il nipote nonché figlioccio di Tony Soprano. Il suo arco narrativo è costellato da alti e bassi, dove i bassi sono accompagnati da droga e alcol e gli alti dalla scrittura di sceneggiature e la possibile uscita dalla Famiglia attraverso il mondo del cinema. Proprio attraverso lo scrivere film, Chris riesce a dare sfogo alla sua rabbia repressa nei confronti di Tony Soprano, figura paterna di riferimento. “La mannaia” è il titolo della pellicola tratta dalla fantasia di vendetta che Chris ha scritto nero su bianco per sublimare il suo odio; è interessante notare come titolo e protagonista del film però sembrano appartenere alla rabbia repressa di Tony Soprano. Infatti il boss malavitoso su cui s’incentra l’azione romanzata è Sally Boy, molto simile al Johnny Boy dalla mannaia facile del ricordo d’infanzia di Tony.
Se il desiderio patricida di Chris ha la sua valvola di sfogo nella realizzazione del suo film, la rabbia di Tony Soprano verso la figura paterna rimane ancora latente e pronta all’eruzione. In “Kennedy e Heidi” (uno degli ultimi episodi della serie) ecco che si presenta la catarsi perfetta per il nostro antieroe.
Zio e nipote sono in macchina e sulle note di Comfortably Numb dei Pink Floyd. La guida inebriata di Chris li porta a schiantarsi a bordo strada. Se Tony si ritrova nel complesso illeso, lo stesso non si può dire per il suo compagno di viaggio, che si trova incastrato all’interno del veicolo con un’evidente emorragia interna in atto. Nonostante la gravità della situazione, il nipote chiede all’altro di non chiamare i soccorsi ma un taxi, per via della sua guida in stato di ebrezza. Tony ci pensa su, ma vede il seggiolino vuoto della figlia di Chris sul sedile posteriore: un ramo l’ha trafitto, e se ci fosse stata a bordo anche la piccola non avrebbe avuto scampo. Il nostro antieroe si avvicina al posto di guida dove giace morente il nipote e gli tappa naso e bocca. È la fine di Chris. Durante la sua morte, viene inquadrato di nuovo il seggiolino vuoto. È un omicidio che assume i connotati del patricidio, Tony Soprano mette in atto la sua fantasia: non vedere ricadere sui figli i peccati dei padri. In un certo senso cerca di liberarsi della figura tossica paterna, che lo ha relegato nella prigione che ora si ritrova a vivere, andando a rompere quel legame alla radice tra la sua nipotina e suo padre. Il suo violento operare per tale fine è però un riflesso della lezione impartita con la mannaia dal padre. Di nuovo, come in un gioco di specchi,  l’uccisione di Chris diviene per Tony Soprano l’ennesimo atto che lo avvicina al padre. Una figura paterna da cui cerca di sfuggire inutilmente, in un destino crudele che ormai è impartito dall’essere figlio.
Tony Soprano è il Kafka di “Lettera al padre” (1919):
“ [..] Scrivevo di te, scrivendo lamentavo quello che non potevo lamentare sul tuo petto. Era un addio da te, intenzionalmente tirato per le lunghe, soltanto che, per quanto imposto da te, andava nella direzione da me determinata. Ma quanto era poco, tutto ciò!”

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