Il commissario Ricciardi, di Maurizio De Giovanni


Maurizio De Giovanni Il giorno dei morti L'autunno del commissario Ricciardi copertinaQuesta è l’essenza della serie Le stagioni del commissario Ricciardi di Maurizio De Giovanni, autore, tra gli altri, del romanzo I bastardi di Pizzofalcone.

Primo: un commissario sui trent’anni. Giovane, di bell’aspetto, con degli occhi verdi indimenticabili.

Secondo: una Napoli degli anni Trenta, in cui il Fascismo non fa solo da sfondo ma diventa esso stesso protagonista.

La saga prende avvio nel 2006 con la pubblicazione di Le lacrime del pagliaccio (ripubblicato l’anno successivo dalla Fandango Libri con il titolo Il senso del dolore. L’inverno del commissario Ricciardi). Ad oggi, l’ultimo volume pubblicato è del 2019 e si intitola Il pianto dell’alba. Ultima ombra del commissario Ricciardi. Di alcuni volumi della serie, la Sergio Bonelli Editore ha edito la versione a fumetti. Infine, nel 2020 (data non meglio specificata) dovrebbe uscire la fiction Rai sulla serie, con Lino Guanciale nei panni del commissario.

 

Commissario Ricciardi fumetto BonelliUn commissario in una Napoli fascista

Luigi Alfredo Ricciardi è un nobile del Cilento trasferitosi a Napoli in qualità di commissario. Pur essendo estremamente ricco, ha un totale disinteresse per le proprie sostanze: è Rosa, la sua testarda e fedele domestica, a gestire il patrimonio di famiglia. Donna ormai anziana, è dedita alla famiglia Ricciardi fin dalla propria giovinezza e ha promesso alla madre del “signorino”, come lo chiama lei, di supportarlo fino alla fine dei propri giorni.

Pur essendo circondato da donne di singolare bellezza e intelligenza, ama Enrica, ragazza ordinaria ma dolce e ferma di carattere, che abita nel palazzo di fronte al suo. Due sono i colleghi che considera amici, ai quali in più di un’occasione dimostra il proprio affetto sincero, nonché la propria lealtà: il primo è il brigadiere Maione, un simpatico poliziotto dal carattere irascibile, che compensa con la sua parlantina la scarsa loquacità del commissario; il secondo è il dottor Modo, uomo cinico e sincero che non teme di esprimere liberamente la propria opinione, spesso in opposizione al regime.

 

Il suo carattere

Ricciardi ha un temperamento misurato, che difficilmente sfocia in scatti d’ira. Non tollera la falsità, né la presunzione tipica della sua classe sociale. Lo infastidisce l’eccessivo attaccamento al denaro e il servilismo di coloro che aspirano a riconoscimenti dal regime. Ama il suo lavoro, e lo svolge con una dedizione tale da accattivarsi le antipatie dei colleghi. Che, inoltre, mal sopportano il suo atteggiamento altero, come se avesse sempre pensieri più gravi su cui soffermarsi.

In effetti, c’è qualcosa che non va in lui. Qualcosa che fa temere a Rosa che non si sposerà mai, che lo rende talvolta indecifrabile a Maione e che fa spazientire il dottor Modo. Qualcosa che fa intuire a Enrica un grande dolore che li terrà separati per sempre: il commissario può vedere le anime dei morti.

 

Lui lo chiama Il Fatto. Ricciardi, insomma, ha la facoltà di vedere i morti di morte violenta nei loro ultimi attimi di vita: corpi gonfi e violacei affogati in acqua, tagliati a metà da un tram, morti di freddo, avvelenati da cibo per topi. Le anime ripetono incessantemente il loro ultimo pensiero: frasi d’amore, di odio, di paura, di stizza. Frasi che significano una vita intera, oppure che rivelano l’inutilità di una morte evitabile.  

Tali visioni sono la causa del suo carattere riflessivo e schivo. Ma soprattutto, sono la sua maledizione, e in quanto tale, vuole sopportarne da solo il peso. Perché sua madre, maledetta nello stesso, identico modo,  era impazzita e nessuno le aveva mai creduto. E perché teme di poter generare un figlio con la medesima maledizione.

 

Tra i suoi casi, quello che più mi ha colpito di più si intitola Il giorno dei morti. L’autunno del commissario Ricciardi

Il cadavere di un bambino viene trovato sulle scale di una chiesa; c’è un cane al suo fianco. Il caso viene liquidato quasi subito: il bambino, uno dei tanti orfani che vagano per le vie di Napoli, ha ingerito del veleno per topi. Un errore, un errore fatale.

Ma il commissario non vede Il Fatto nel luogo in cui è stato ritrovato il cadavere. Questo, una piccola mano che pende dalla barella con cui verrà trasportato nella sala mortuaria, e il cane, che segue il commissario come se fosse lui il committente, inducono Ricciardi a investigare più a fondo. E, scavando nella vita del bambino, si ritroverà faccia a faccia con una Napoli povera e dimenticata, popolata da orfani disperati che non sanno vivere ma solo sopravvivere e da parroci vili, che venderebbero l’anima pur di avere qualche entrata in più. Una Napoli che appartiene a venditori ambulanti opportunisti, che rubano in casa mentre mostrano la propria merce, e a benefattrici, che tutto distribuiscono meno che il proprio cuore.

 

La vicenda è come una pennellata delicata di colori freddi. È come se tutto il romanzo fosse un omaggio all’infanzia rubata. E delicati sono i personaggi principali, personaggi a tutto tondo, pur descritti unicamente tramite le loro azioni. Il bambino, Tetté, è un orfano balbuziente: la balbuzie gli impedisce di avere relazioni “umane” e per questo si affeziona a un cane, che sa rispettare i suoi tempi e non gli mette fretta nelle risposte. Tetté ha occhi profondi e riconosce il bene quando lo vede. Interessante è Cristiano, un orfano che non vuole il male di nessuno ma non è forte abbastanza da scegliere il bene. Infine, ben riuscito è anche il cane, così fedele da essere onnipresente, proprio come un’ombra.

E in tale delicatezza, ancora più inaccettabile sarà la scena finale, nonché soluzione del caso.

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