Recensione “L’Amour Flou”, Francia, 2018 – Una gran bella sorpresa!




Verso l’epilogo, la coppia tira le somme di una scelta coraggiosa.



Giunto nelle sale cinematografiche dopo un anno dalla sua uscita in Francia, L’Amour Flou(tradotto in italiano “L’amore sfocato e/o confuso”) è una commedia brillante d’oltralpe di cui consiglio la visione a tutti.

Uno spaccato di una famiglia contemporanea francese ben poco “tradizionale” composta da un uomo, l’attore e regista Philippe Rebbot (che è anche sceneggiatore) e da una donna, l’attrice e regista Romane Bohringer, in un film candidato al Premio Cesar (il più importante concorso cinematografico francese) come migliore opera prima.

Dopo 10 anni di matrimonio e la nascita di due figli, una coppia francese residente nel Nord della Francia decide di separarsi a malincuore.

Grazie a una straordinaria lucidità, Romane, attrice teatrale e corista, propone al marito Philippe, frick di vecchia data con la sindrome di Peter Pan (troverete straordinario il suo look), un autentico esperimento di etica socio-familiare: per evitare che il trauma della separazione si ripercuota sugli amati figli, la coppia si trasferirà in un nuovo appartamento rimanendo separata da una porta, condividendo con i figli una sola “camera neutra” – assimilata nel film, agli interni di un sottomarino.
In barba ai silenzi e alle perplessità di due psicologhe ritratte nella loro forma più caricaturale, incuranti dei consigli degli amici e dei coetanei, nonché dell’opinione non richiesta dell’odioso preside della scuola elementare, Philippe e Romane rivendicano per sé una scelta educativa personale nel segno della continuità familiare e del rispetto reciproco.

Certo la scelta, come potrete constatare, non è scevra da dubbi e rivendicazioni reciproche, ma è libera e, per questo motivo, onesta.

La novità di questo lungometraggio non risiede nel contrasto fra la serenità familiare e l’esterno costellato di pericoli e insicurezze, ma nella rappresentazione brillante e divertente di un contesto urbano tanto individualista quanto fragile.

E così Philippe, dopo la separazione e il trasloco, si accompagna al parco con un amico che parla dei cani paragonandoli alle persone; fa la corte a una donna impegnata politicamente (con un look femminista alla Giovanna D’Arco) che lo rimprovera di essere “un rivoluzionario pigro” pur apparendo del tutto indifferente alle emozioni.

Un ritratto dell’atipica famiglia protagonista del film.

Allo stesso modo Romane si concede una notte di passione con un giovane e affascinante corista, ritrovandosi, suo malgrado, a fargli da madre e da infermiera; accoglie in casa la coppia dei vicini gay che, noncuranti della sua volontà, le propongono di divenire madre surrogata dei loro figli.

Di fronte ad una scelta coerente e a due personalità molto dissimili, che condividono solamente l’apertura mentale e la disponibilità all’ascolto, le persone, all’inizio diffidenti, si ritroveranno magneticamente attratte dalla realtà familiare e ne finiranno coinvolte.
Il fascino del focolare e della casa fungono da catalizzatore della solitudine e dell’insoddisfazione altrui.

Non meno banale – ed è chiaro che si tratta del tema principale del film – è il fatto di realizzare una pellicola sul tema della separazione personale. Separarsi, come è giusto, è comunemente accettato e favorito dagli ordinamenti giuridici occidentali. Una parte dell’opinione pubblica, però, sembra aver dimenticato il dolore che ne consegue, le difficoltà atroci che condizionano per sempre la vita di una famiglia in cui viene a mancare il desiderio dei genitori (non importa di che sesso siano) di continuare a vivere insieme.

La mancanza di unione fra le persone e il desiderio di costruirsi un nido è troppo spesso sacrificato proprio da quella parte di opinione pubblica che solo a sentir parlare di “famiglia” si fa venire i capelli dritti e s’indigna, concependo la famiglia come la madrina di tutte le catastrofi.
Ed è meraviglioso vedere, invece, con quanta laicità, libertà e modernità il tema venga affrontato in questa commedia. 

Il mondo esterno alla famiglia è stereotipato e caricaturale ma, nelle intenzioni dei registi, un ritratto credibile dell’umanità contemporanea troppo stessa dimentica della centralità dell’essere umano.

Un’opzione registica, quella di giocare con gli stereotipi con libertà e senza paura di sfondare nel non politicamente corretto, che personalmente ho molto apprezzato.

Forse il finale – come spesso accade nelle commedie francesi – ha il difetto di ricercare un po’ sbrigativamente un lieto concludersi di una storia complessivamente molto ben orchestrata, senza lasciare allo spettatore il privilegio di porsi delle domande.

Però, questo film farà comunque pensare i vecchi radicali e liberali, che si sono trasformati in esseri più bigotti dei peggior bigotti!

Buona visione a tutti!

+ Non ci sono commenti

Aggiungi