Oscar 2019 – The Green Book


Green Book è un film del 2018 di Peter Farrelly, con Viggo Mortensen e Mahershala Ali.
Nominato in 5 categorie agli Oscar 2019 e vincitore di tre Golden Globes.

green book

Questa recensione esce un po’ in ritardo rispetto al solito, ma per una buona ragione: ho scelto di vedere questo film in lingua originale. Devo dire che è stata la scelta migliore, più avanti vi spiego perché.

Ispirato ad una storia vera – e prodotto dal figlio di uno dei personaggi rappresentati, Green Book è un viaggio nell’America dei primi anni ’60, quando era necessaria una guida per sapere dove un afroamericano potesse fermarsi a mangiare, dormire o fare benzina.
Il protagonista è Tony Lip, lo stereotipo vivente dell’italoamericano, che lavora in un locale di New York come buttafuori. Quando il locale chiude per ristrutturazione, Tony deve cercare un lavoro che tenga occupati due mesi per sostenere sua moglie Dolores e i loro bambini e lo trova: un certo Don Shirley, pianista afroamericano raffinato e un po’ eccentrico, ha bisogno di un autista che lo accompagni e lo aiuti ad evitare problemi durante una tournée nel profondo sud degli Stati Uniti – un luogo molto pericoloso per chi non è bianco.

Green Book

Il contrasto tra i due protagonisti è immediato: Tony è grezzo, quasi un bifolco, molto diretto e semplice, mentre Shirley è tormentato, elegante, un po’ snob ma brillante. Tony è lo stereotipo per eccellenza mentre Shirley stupisce lo stesso Tony per la distanza dalle categorie stereotipate dei neri di quell’epoca. Tra i due il rapporto stenta ad ingranare, un po’ per la distanza che Shirley impone con il resto del mondo, un po’ per i goffi tentativi di Tony di bilanciare ciò che gli viene naturale e ciò che invece ha imparato dalla società.
Tony è affetto da quello che io definisco “razzismo per osmosi“, ossia quello che affligge le persone tramite la propria cerchia sociale e non per propria convinzione, quello convogliato dalla comunità intorno: la casa di Tony si affolla di parenti e amici quando due uomini di colore si presentano per dei lavori in casa Vallelonga (il vero cognome di Tony). “Teniamo compagnia a Dolores, e tu dovresti stare più attento” dicono a Tony, indicando i due operai. Dolores, dal canto suo, sembra gentile con i due e offre loro da bere: dopo qualche momento di confusione, Tony getta nella spazzatura i bicchieri usati dagli operai – recuperati successivamente dalla moglie. Tony non era in allarme per l’arrivo degli operai ma ha captato l’ansia razzista dalla sua cerchia di familiari e amici ed ha agito di conseguenza.

La semplicità del carattere di Tony è essenziale per questo film: non solo è esilarante e, in contrasto con il carattere di Shirley, regala momenti di comicità pura, ma rende anche evidenti i limiti dei pregiudizi. Tony ha imparato che deve trattare gli afroamericani diversamente ma non sa perché e la sua barriera viene meno con una facilità disarmante. In più, il carattere di Tony permette ai due di superare più di una spiacevole situazione dovuta ai pregiudizi e al razzismo che pendeva ancora forte sugli Stati del Sud, dove le leggi Jim Crow rendevano una superficiale maschera di eguaglianza e rispetto dei diritti civili ma di fatto non risolvevano il problema delle aggressioni e dei soprusi (“separati, ma uguali“).

Green Book

Senti, Shirley, sono temi difficili da trattare, non mi giudicare, I love you

Green Book è stato nominato a 4 BAFTA e a 8 Golden Globes, di cui ha vinto nelle categorie di “Miglior attore non protagonista” (Mahershala Ali), “Miglior sceneggiatura” (Nick Vallelonga) e “Miglior film commedia o musicale”. Il prossimo 24 febbraio, correrà agli Academy Awards in 5 categorie:

  • Candidatura per il miglior film
  • Candidatura per il migliore attore protagonista a Viggo Mortensen
  • Candidatura per il migliore attore non protagonista a Mahershala Ali
  • Candidatura per la migliore sceneggiatura originale a Nick Vallelonga, Brian Currie e Peter Farrelly
  • Candidatura per il miglior montaggio a Patrick J. Don Vito

Non ho ancora visto tutti gli altri film candidati, sospetto che La Favorita (recensito da Giulio QUI) abbia tutte le carte in regola per battere Green Book. MA. Ho dei MA. Prima di tutto, sono sconvolta che non abbiano candidato questo film per la colonna sonora: seriamente, parla di un musicista geniale apprezzato solo quando sfiora i tasti del pianoforte. C’è la musica classica, c’è il jazz, c’è Aretha Franklin. Di che altro avete bisogno? Non ho tenuto i piedi fermi per tutta la durata del film. Grazie, Kris Bowers.
Le riprese e la fotografia erano davvero piacevoli, simmetriche e significative, ma i vanti di questo film vanno oltre: Mahershala Ali è formidabile, sono innamorata di lui dai tempi delle lobby di House of Cards. Parla meglio italiano lui di Viggo che, tesoro mio, ha avuto comunque la sfida di parlare con accento pseudoitaliano per tutto il film. Quando vi consiglio di vedere il film in lingua originale è per questo: metà della comicità, per noi italiani, viene persa nel momento in cui perdiamo gli esilaranti tentativi di pronunciare bene espressioni italiane. Avevo le lacrime agli occhi, è stato bellissimo. L’altra metà delle perdite nel doppiaggio, stanno nel tentativo di domesticare (ossia la tecnica di trasposizione di espressioni e riferimenti con il corrispettivo della lingua di arrivo) anche il contrasto linguistico tra i due personaggi. La lingua diventa un ponte che unisce i due: la forma perfetta di Shirley e la sincerità di Frank, unita nel tentativo di mandare lettere a Dolores durante il viaggio.

Il cinema è pieno di film in cui un bianco e un nero fanno da nemici-amici, in cui gli stereotipi vengono distrutti e i due diventano una squadra. Il fatto che questo film sia semplice e segua un filone già conosciuto, ma che tratti allo stesso tempo con profondità e leggerezza di temi pesanti lo rende perfetto per convogliare il messaggio a chi ancora non crede nell’uguaglianza dei diritti civili. Cielo, che tristezza dover scrivere questa frase nel 2019 ma…c’è davvero ancora bisogno di film come questo. Ne abbiamo un bisogno disperato, di personaggi che sono stereotipati ma crescono, di personaggi alteri che abbassano le difese, di personaggi a tutto tondo che crescono alla fine di un percorso. Di personaggi che importano e in cui ci si può immedesimare a prescindere dal loro aspetto. (Viggo, ti amiamo anche con la pancia, la canotta della salute e la catenazza). Ancora una volta, il cinema ha questo salvifico potere di veicolare i messaggi di cui abbiamo bisogno, nell’America di Trump come a casa nostra. Questo film ci ricorda che serve coraggio per cambiare il mondo e ci infonde un po’ di quel coraggio ricordandoci che non siamo soli, anche se ci sentiamo tali, ad avere paura di fare il primo passo.

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Sono sicura che questo film sia il film giusto da far vedere a quella fetta di italiani indifferente ai drammi che accadono nei nostri mari, che non vuole essere accogliente, che pensa che “prima gli italiani“: mai come oggi abbiamo bisogno che qualcuno ci ricordi che gli italiani, per altri popoli, erano indesiderati e definiti “mezzi negri” e che ognuno di noi, non con violenza, ma con la dignità e il coraggio può fare il primo passo per cambiare qualcosa, nel cuore delle persone prima ancora che nel mondo.

 

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