Maduro contro Guaidó, rebus Venezuela


Il rebus Venezuela sembra essere ormai diventato inestricabile. Dopo anni di difficoltà economiche e un crescendo di azioni repressive da parte del governo, la proclamazione di Juan Guaidó come presidente ad interim in contrapposizione a Nicolás Maduro ha gettato definitivamente il Paese nel caos.

Diventato presidente nel 2013 alla morte di Hugo Chávez, Maduro non ha saputo invertire la rotta di un declino economico già cominciato negli anni del suo predecessore. Le accuse di cattiva amministrazione dello Stato e in particolare della sua immensa ricchezza petrolifera, di conseguenza, sono andate moltiplicandosi di pari passo con quelle di autoritarismo.

A nulla sono valse le crescenti proteste popolari – alle quali il presidente ha risposto con la violenta repressione dell’esercito – né il cambio di passo elettorale che ha portato l’opposizione politica a ottenere la maggioranza all’Assemblea nazionale (il parlamento venezuelano), di fatto esautorata con la riforma costituzionale varata da Maduro.

Si arriva così alla situazione odierna, divenuta insostenibile da tutti i punti di vista. Mentre i beni di prima necessità sono praticamente introvabili – cibo e medicinali in primis – il denaro è diventato inservibile, con l’inflazione che ha raggiunto il livello inimmaginabile del 10.000.000% (avete letto bene, ci sono sette zeri: quello che prima si pagava un bolívar, adesso ne costa 100mila).

Un tracollo economico di proporzioni tali da spingere 5 milioni di persone – un sesto della popolazione – a fuggire dal Paese. Inducendo alcuni osservatori a parlare di fine dell’esperimento socialista nell’America del Sud, soprattutto alla luce del rinnovato filo-americanismo di diversi governi del sub-continente.

Di certo c’è che, in risposta a questa tragica situazione, lo scorso 22 gennaio l’Assemblea nazionale ha affidato a Juan Guaidó la guida del Paese in attesa di nuove elezioni, scatenando l’ira di Maduro. Con la conseguenza che ora il Venezuela si ritrova con due presidenti in aperto conflitto tra loro.

La comunità internazionale non ha tardato a reagire, con una raffica di riconoscimenti del nuovo presidente partita dagli Stati Uniti e rapidamente allargatasi a diversi Paesi del continente americano e rappresentanti dell’Unione Europea.

Una prontezza che se da un lato denota la giusta attenzione per una situazione critica ormai da anni, soprattutto per le sofferenze a cui è sottoposta la popolazione venezuelana, d’altra parte sottende – nemmeno troppo velatamente – una contesa tra interessi economici e geopolitici contrapposti.

Come accaduto per la guerra civile siriana, torna a riproporsi uno schema da guerra fredda: gli Stati Uniti di Donald Trump che si ergono a paladini della democrazia con una mossa apparentemente affrettata ma in realtà preparata da mesi, mentre la Russia di Vladimir Putin si fa garante del governo in carica in nome del principio inviolabile della sovranità nazionale.

Le considerazioni sui reali motivi alla base di un interesse così spiccato – del tutto assente, ad esempio, per alcuni Paesi africani – sono fin troppo facili: accesso alle ricchezza petrolifere con il benestare del governo che riuscirà a prevalere, egemonia su un’area in fase di profondo mutamento politico, con la svolta a destra di Stati-chiave come il Brasile, e così via.

Ma i prossimi sviluppi del rebus Venezuela rimangono comunque un’incognita, prima di tutto perché resta aperta la questione della legittimità. Sia internamente, dal momento che non è facile stabilire chi debba essere considerato il vero presidente del Paese, sia esternamente: quante e quali influenze si possono e si devono permettere gli altri Stati sulle sorti del Venezuela?

E poi perché in una situazione di caos totale come questa, in cui l’uso della forza potrebbe rivelarsi determinante per indirizzare il destino del Paese in un senso o nell’altro, assume centralità assoluta il ruolo dell’esercito. Che per il momento resta fedele a Maduro, ma domani chissà.

Mentre ci si dovrebbe augurare un intervento dell’Onu, che non si concretizzerà per l’opposizione di almeno due Stati membri del Consiglio di sicurezza, non rimane che restare alla finestra. Sperando che il numero dei morti non aumenti e che si arrivi presto a una soluzione del rebus Venezuela.

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