Libertà d’espressione? Ancora molta strada da fare


Svariate sono le battaglie per i diritti che si continua a combattere ogni giorno instancabilmente. Molte società e nazioni si reggono ancora su disuguaglianze non dichiarate ma ben visibile, come quelle di genere o quelle economiche, che vengono tollerate o per l’incapacità di analizzare e smontare schemi mentali passati e tradizionalisti che risultano comodi per mantenere uno status quo di privilegio o per avidità capitalistica, solo per citare alcune motivazioni. Le disuguaglianze di genere, ad esempio, si sono dimostrate un problema attuale recentemente, palesandosi nei fatti di cronaca sotto la veste dello scandalo Kavanaugh, nominato giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti, nonostante le accuse di violenza sessuale che gli sono state rivolte e che avrebbero dovuto far ripensare la sua nomina, la sua etica come persona e come giudice, e che soprattutto hanno messo in luce l’ostinazione generale a sminuire o non considerare la voce della parte femminile della popolazione mondiale.

Il diritto di libera espressione è un altro diritto per cui si continua a combattere. Si pensa che nella maggior parte del mondo sia un traguardo raggiunto, a volte uno strumento addirittura abusato per screditare un gruppo politico o religioso differente dal proprio. Ma è necessario guardare la questione da un’altra angolazione per capire meglio, quella che riguarda il giornalismo, ovvero la concretizzazione della libertà d’espressione nell’ambito della comunicazione e dell’informazione. Da questa angolazione, lo scenario appare tutt’altro che moderno o “sviluppato”, così come invece si descrivono i paesi dove negli ultimi giorni sono accaduti eventi che fanno rivalutare la situazione della libertà d’espressione nel mondo.

Da www.alaraby.com.uk

Il primo fra questi eventi è la sparizione di Jamal Khashoggi, giornalista saudita conosciuto e importante a livello nazionale ed internazionale, che secondo le fonti di Human Rights Watch, il 2 ottobre 2018 è entrato nel consolato saudita ad Istanbul e non ne è più uscito. Il giornalista era andato al consolato per chiedere dei documenti necessari per il matrimonio con la fidanzata, ma secondo quest’ultima, era cosciente di correre pericolo, poiché aveva lasciato istruzioni su come agire nel caso si fossero perse sue notizie. Il Washington Post ha rivelato di possedere intercettazione che proverebbe un piano premeditato dietro la sua sparizione e forse dietro al suo omicidio, di cui però non si ha certezza assoluta.

L’Arabia Saudita è un paese ricco e che vuole occidentalizzarsi nei modi e nei costumi per questioni economiche e di relazioni internazionali, ma la sua politica interna non è una politica di apertura, ma di repressione dei dissidenti politici e di chiunque osi mettere in discussione o criticare in qualsiasi maniera il governo del principe Mohammad Bin Salam, al potere da quasi un anno. Le conseguenze di questo rifiuto chiaro e violento del diritto di libertà di espressione potrebbero e dovrebbero essere gravi, per esempio l’incrinamento del rapporto con gli Stati Uniti, con cui l’Arabia Saudita ha stretto un accordo da 110 miliardi di dollari per armi e denunce e sanzioni da parte di organi sovranazionali. Tuttavia, è facile prevedere la possibilità di guadagno economico data dal mantenimento di buoni rapporto fra questi paesi impedirà prese di posizione dure.

Stoyan Nenov/Reuters

Nemmeno una settimana dopo e la stessa cosa si ripete, in un altro paese, in altro modo, ma si ripete. La giornalista Viktoria Marinova viene violentata e poi assassinata il 7 ottobre 2018 mentre fa attività fisica lungo il fiume Danubio, nella città di Ruse, in Bulgaria.

La giornalista era sostenitrice di molte cause sociali, apprezzato a livello pubblico, una voce autorevole e uno spirito determinato e intelligentemente critico, secondo quanto raccontano i giornali internazionali, che faceva sentire la sua voce in programma televisivo chiamato Detektor che andava in onda su un canale locale chiamato TVN.

Ma tutto ciò non ha significato niente (o forse ha significato “troppo”) per i suoi assassini  in una paese come la Bulgaria, nonostante appaia nella posizione 111 in un ranking di 180 paesi presi in esame nell’ambito degli scandali di corruzione, dall’organizzazione Transparency International. Secondo i suoi colleghi, l’omicidio potrebbero essere legato al fatto che lei non avesse timore a parlare di ingiustizie sociali e proprio anche della mancanza crescente di libertà di espressione. È anche vero che questo fatto s’inserisce in una serie di tragedie simili, tutte criminali, che hanno portato alla morte di diverse giornaliste donne, fra cui Daphne Caruana Galizia o Tatyana Felgenhauer, lo scorso anno, rispettivamente a Malta e in Russia. Potrebbe quindi esserci anche un movente di genere e non solo politico.

La libertà d’espressione viene data molto per scontato. Tuttavia, i recenti fatti ci spingono a riconsiderare questa convinzione ingenua che è alimentata dalla facilità con cui ci sembra di poter esprimere la nostra opinione sulle reti sociali e di essere liberi. La libertà d’espressione, quella che denuncia e critica, quella che spesso svela realtà dure da accettare ma che bisogna affrontare, è ancora da proteggere e sostenere.

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