Mi hanno regalato un sogno – Quando un fioretto ti regala la voglia di vivere


Non sono mai stata una divoratrice di biografie, lo ammetto. Ma “Mi hanno regalato un sogno” (Ed.BUR) è stata una rivelazione, tanto quanto -ai tempi- la biografia di Jim Morrison.

Non si dice mai di no a un libro che ti capita in casa, e complice il fatto di conoscere almeno un pochino il mondo della scherma -quella olimpica ma soprattutto quella storica -, curiosa, mi sono assicurata un posto sul divano pensando di leggere giusto un paio di capitoli. Inutile dire che sono arrivata a metà libro senza accorgemene.

Libro Mi hanno regalato un sogno e sciabola ottocentescaIl romanzo è diviso in tre parti ben distinte: la prima parte racconta la spensieratezza della vita con la famiglia e gli amici, la scoperta delle sue passioni -le tre S-; poi si fa più seria, con il racconto di quei 104 giorni passati in ospedale. La parte più corposa è l’ultima parte, “il secondo tempo”, quella nella quale racconta con semplicità disarmante le cure, le protesi -anche quelle con il tacco- e la forza contagiosa che impiega per tornare in carreggiata, perché la malattia non qualifica una persona, ma lo fa il suo valore umano.

La famiglia e gli amici sono uno sfondo costante e profondamente supportivo per lei, tanto da fondare l’associazione “art4sport”, per permettere ai ragazzi con disabilità di cominciare o continuare a praticare sport. Lei ne è portavoce fervente e miglior esempio: dopotutto può vantare un oro di fioretto alle Paralimpiadi!

Beatrice, o meglio Bebe, racconta con linguaggio fresco e colloquiale la sua vita, dall’infanzia alla malattia che l’ha colpita tanto repentinamente quanto profondamente. Ma non abbastanza da toglierle la positività che sembra colmarla.

Quello che più mi ha colpito è che questo è il racconto di una ragazza che nel suo essere disabile ha tirato fuori tutta l’abilità di vivere appieno la vita, sostenuta dalle persone che ha intorno ma soprattutto guidata dalle passioni che le permettono di “fregarsene” del dolore e della fatica passata e di gioire del presente. Qui e ora. E senza alcuna retorica.

Arrivata all’ultima riga ciò che mi è rimasto addosso è un sorriso dolce amaro e la forza di alzarmi e fare. Qualsiasi cosa renda migliori.

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