Romanzi della Resistenza – Il sentiero dei nidi di ragno


In occasione delle celebrazioni per il 25 aprile ho voluto riprendere in mano Il sentiero dei nidi di ragno di Italo Calvino.

Chi non lo conosce?

E’ la storia di Pin, un bambino di dieci anni che, orfano di madre e (probabilmente) anche di padre, vive con la sorella prostituta. A causa del furto di una pistola (P38), finisce in carcere. Qui incontra Lupo Rosso, di qualche anno più grande di lui. Grazie a lui, Pin evade e incappa nel gigante Cugino, un partigiano del distaccamento del Dritto, che lo porta con sé nel rifugio. Pin vive con i partigiani fino a quando, a causa di un evento spiacevole, non decide di andarsene. Si rifugia nel suo covo segreto, il sentiero dove i ragni fanno il nido; quasi per magia, incontra di nuovo Cugino. Il libro termina con i due che si allontanano, mano nella mano.

Del libro se n’è parlato tanto. 

Lo stile è secco e incisivo. L’immaginario è fiabesco: i sentieri dei nidi di ragno sono un mondo meraviglioso, in cui gli adulti si interessano ai bambini e in cui è possibile vivere delle piccole cose. Colpiscono le figure dei partigiani: uomini e donne che hanno partecipato alla Resistenza per motivi umani e non  ideologici. E il protagonista è Pin, un bambino che non capisce il mondo dei grandi e dai quali non è compreso.

Perché ancora oggi questo testo ha qualcosa da dirci?

Ce lo spiega Calvino, nella Presentazione del suo libro. Lui è nato in una famiglia borghese, intellettuale, benestante. Ha sempre vissuto in famiglia e il suo antifascismo

[…] era prima di tutto opposizione al culto della forza guerresca, una questione di stile, di sense of humor.

Improvvisamente, le sue idee (o meglio, la coerenza con le sue idee, come dirà lui stesso) lo portano a vivere davvero la Resistenza. Racconta di averla vissuta con molta intensità e con una strana euforia.

Avevamo vissuto la guerra, e noi più giovani – che avevamo fatto appena in tempo a fare il partigiano – non ce ne sentivamo schiacciati, vinti, ‘bruciati’, ma vincitori, spinti dalla carica propulsiva della battaglia appena conclusa, depositari esclusivi d’una sua eredità.

Finita la guerra, finita la Resistenza, iniziano i giudizi degli altri, sia di coloro che l’avevano vissuta davvero, la Resistenza, sia di coloro che non ne avevano preso parte. E Calvino, come gli altri, è scandalizzato dalla subitanea mitizzazione dei partigiani: eroi che avevano scelto la patria, che disprezzavano la vita in nome di qualcosa di più grande, cavalieri senza macchia e senza paura.

Tutti volevano la Liberazione, ma non tutti avevano scelto quella strada. E anzi, Calvino stesso afferma che di molti dei suoi coetanei ‘solo la morte dava alle loro scelte un segno irrevocabile’.

 

Ecco quindi cosa può ancora insegnare Calvino sulla Resistenza.

La Resistenza è stata compiuta da uomini e donne proprio come noi. Persone come noi, che spesso non avevano mai visto un fucile e non avevano idea di cosa fosse la violenza. Che non erano pronti a morire. Molti erano nostri coetanei ma di molti di loro noi, Millennials, siamo già più grandi – e ciò fa particolarmente effetto. E per questo è giusto e dovuto onorare coloro che, per motivi differenti (talvolta anche semplicemente personali), trovatisi in balia degli eventi, hanno fatto parte della Resistenza. Per la loro e per la nostra libertà. 

E, specialmente in una giornata del genere, non possiamo rimanere indifferenti davanti alle guerre e alle Resistenze che oggi ci sono nel mondo.

Concludo con una canzone dei Modena City Ramblers, Il sentiero, dedicata a Calvino.

 

 

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