Aborto: libertà individuale e obiezione 40 anni dopo l’approvazione della 194


Ha sollevato non poche polemiche il maxi manifesto anti aborto dell’associazione ProVita, apparso il 5 aprile scorso sulla facciata di un palazzo della Capitale e rimosso nel giro di 24 ore, forse dalla polizia locale su mandato del Campidoglio, forse dalla stessa concessionaria pubblicitaria.

Di certo c’è che non è la prima volta che l’associazione finisce nel mirino dell’amministrazione comunale per iniziative analoghe, perché in contrasto con quanto prescritto dal Regolamento in materia di Pubbliche affissioni di Roma Capitale, che vieta “esposizioni pubblicitarie dal contenuto lesivo del rispetto dei diritti e libertà individuali”.

Ma qual è il contenuto, ritenuto lesivo, del cartellone?

7×11 metri. La gigantografia di un feto nel grembo materno e la scritta: “Tu eri così a 11 settimane. Tutti i tuoi organi erano presenti. Il tuo cuore batteva già dalla terza settimana dopo il concepimento. Già ti succhiavi il pollice. E ora sei qui perché la tua mamma non ha abortito”.

 

L’indignazione

Le proteste di associazioni, sindacati e personalità politiche hanno portato il Comune ad avviare delle indagini e alla successiva rimozione.

A chiedere la rimozione sono state le consigliere dem Michela Di Biase, Valeria Baglio, Ilaria Piccolo, Giulia Tempesta e quella della Lista Civica Svetlana Celli, spiegando che il manifesto «offende la scelta delle donne di abortire, una scelta, sempre sofferta e dolorosa, garantita dalla legge 194 che a maggio compirà 40 anni. Si tratta di immagini che offendono la sensibilità anche di tutte le persone che hanno subito la fine di una gravidanza per i motivi più diversi».

È intervenuta su Twitter, invece, la senatrice PD Monica Cirinnà lanciando l’hashtag #rimozionesubito. E, sempre su Twitter, altri utenti hanno commentato: «Benvenuti nel Medioevo», o ancora «un ricatto morale», «una vergogna».

D’altra parte c’è anche chi non ha ritenuto particolarmente offensivo il manifesto, forse perché a differenza di altri casi più forti, questa volta immagini e parole sembrano obiettivamente inattaccabili. Nessuna offesa esplicita per chi decide di ricorrere all’aborto, ma una semplice constatazione di fatto: è indubbio che a 11 settimane tutti gli organi siano formati (lo dice la scienza), così com’è incontrovertibile che se non si abortisce si viene al mondo.

Il confine tra il tentativo di dissuasione e la negazione del diritto all’autodeterminazione, però, è labile. Di per sé il cartellone non sembra ledere la libertà individuale di nessuno, anzi pare richiamare la stessa autodeterminazione (anche se dalla prospettiva opposta) che la 194 rivendica per coloro che intendono interrompere la gravidanza. Così sarebbe se non fosse che a dare ragione a chi si è sollevato sopraggiungono le dichiarazioni del presidente di ProVita Toni Brandi, il quale in un’intervista ha sottolineato che «il maxi manifesto di Roma riporta l’attenzione sulla violenza e dramma di una condanna a morte prima di nascere».

 

Blitz di FN alla Casa delle Donne

Un secondo attacco alla legge sull’aborto è giunto pochi giorni dopo la rimozione del mega cartellone dell’associazione ProVita. Siamo sempre a Roma: sabato 7 aprile Forza Nuova si presenta davanti la Casa Internazionale delle Donne con uno striscione dai toni durissimi: “194 strage di Stato”. Immediata la reazione dell’associazione che pubblica la foto su Facebook definendo l’atto come «un grave attacco alla libertà e all’autodeterminazione delle donne».

E sempre su Facebook interviene l’Assessore alle Pari Opportunità e Turismo della Regione, Lorenza Bonaccorsi, scrivendo che «gli ultimi attacchi alla libertà delle donne e alla legge 194, avvenuti a Roma a pochi giorni di distanza, ci dicono che la guardia a protezione dei diritti alla salute e all’autodeterminazione delle donne non va mai abbassata».

Mentre il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, avvalendosi di Twitter, qualifica il blitz di Forza Nuova come «un attacco vigliacco e squadrista».

Il presidente del Municipio I di Roma, Sabrina Alfonsi, e l’Assessore alla Cultura e alle Pari Opportunità, Cinzia Guido, invece pongono l’accento sulla gravità di questo secondo attacco, ritenuta maggiore «perché fatto nel luogo che per tutte le romane (e non solo) simboleggia la lotta delle donne per vedere riconosciuti i propri diritti», aggiungendo che «l’unica strage che va fermata è quella delle donne, vittime degli aborti clandestini e della violenza maschile».

La legge 194 è temuta – secondo la Alfonsi e la Guido – perché «l’autodeterminazione, la consapevolezza e la libertà delle donne fanno paura».

 

Etica e diritto

La 194 è una legge che tutela anche chi non la condivide, garantendo esplicitamente il diritto all’obiezione di coscienza e implicitamente il diritto di non ricorrervi.

Ed è inconcepibile – a quarant’anni dalla sua entrata in vigore e dal successivo referendum che ne ha sancito la validità – che qualcuno pensi di metterla in discussione. Tesi a sostegno della quale si è schierata, all’indomani dei casi di Roma, la segretaria nazionale della Fp Cgil, Cecilia Taranto, secondo cui semmai la normativa «andrebbe rafforzata».

Sebbene la legge sia nata per garantire alle donne la possibilità di interrompere volontariamente una gravidanza, infatti nella realtà la sua applicabilità viene minata dall’elevato numero di medici che, per motivi etici, decidono di non praticare aborti.

 

Il concorso che guarda al futuro

Secondo una ricerca dell’associazione LAIGA (Libera Associazione Italiana dei Ginecologi per l’Applicazione della legge 194) nella regione Lazio in 10 strutture pubbliche su 31 non è nemmeno più possibile accedere alle interruzioni di gravidanza.

Al San Camillo di Roma, il centro per l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) più importante del Lazio, i ginecologi obiettori sono oltre l’80 per cento.

Per garantire il rispetto della legge 194, nel novembre del 2015 il San Camillo ha indetto un concorso per dirigenti medici riservato ai non obiettori di coscienza, la cui funzione, si legge nell’oggetto del concorso, è quello di praticare interruzioni di gravidanza.

Voluto fortemente dal governatore del Lazio, Nicola Zingaretti, il concorso del San Camillo è diventato un modello ed è approdato in Parlamento con una mozione della senatrice Pd Laura Puppato, che ne ha chiesto l’applicazione in tutte le regioni italiane.

Va ricordato, inoltre, che già nel 2014 Zingaretti aveva firmato un decreto che imponeva ai medici dei consultori, anche obiettori, l’obbligo di rilasciare le certificazioni necessarie alle donne per poter poi andare ad abortire in ospedale. Secondo quanto prescritto dalla legge 194, al comma 3 dell’articolo 9, infatti, l’obiezione di coscienza non esonera il personale dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento.

Contro il decreto, come prevedibile, si sono sollevati il Movimento per la vita e altre associazioni di medici cattolici, presentando un ricorso al Tar, che nell’agosto del 2016 si è espresso a favore della Regione respingendo il ricorso perché infondato.

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