I, Tonya ovvero il paradosso della verità


Una strepitosa Margot Robbie interpreta la contraddittoria pattinatrice statunitense Tonya Harding.

Tonya Harding è una giovane pattinatrice di talento statunitense.

Grazie a una forza fisica ed un temperamento impressionanti e spronata da una madre tanto mefistofelica quanto ingombrante, Tonya scala i vertici del pattinaggio mondiale americano, riuscendo a vincere i campionati nazionali nel 1991 e qualificandosi per le Olimpiadi invernali di Albertville del 1992, alle quali, però, non riesce, per varie vicissitudini, a sfondare.

Il “fallimento” olimpico comporta un momento di appannaggio della carriera di Tonya, alle prese con un marito violento, isterico e possessivo e con il progressivo allontanamento dall’odiosa ma motivazionale madre.

La incredibile performance di Alisson Janney nel ruolo della odiosa madre di Tonya

Nel 1993 divorzia dal marito prevaricatore e incapace (almeno in apparenza) di frenare i suoi impulsi violenti, e tenta il successo nei Campionati Nazionali che arriva, però, solo grazie ad un evento destinato a cambiare la vita della Harding per sempre: il 6 gennaio 1994,  un uomo assoldato dall’ex marito e il mitomane amico Sean, si rende autore di un attentato nei confronti della principale rivale di Tonya, Nancy Kerrigan.

Nancy, favoritissima per il titolo nazionale, viene messa fuori gioco e così Tonya diventa nuovamente campionessa nazionale, qualificandosi per le Olimpiadi.

Pur dichiarandosi estranea all’aggressione (secondo la sua versione dei fatti, dovevano essere realizzate solo delle intimidazioni per il tramite di alcune lettere minatorie), le indagini degli inquirenti fanno emergere il concorso quantomeno morale della Harding nell’aggressione. Il Comitato Olimpico la vuole escludere dai giochi olimpici del 1994 ma lei, spavalda, minaccia di intentare una causa milionaria e così viene mantenuta nella squadra.

Delle vicende giudiziarie della Harding si parlò per giorni sia negli Stati Uniti che nel resto del mondo e Tonya divenne, per sua stessa ammissione, “la persona più famosa del mondo dopo Bill Clinton“.

Le Olimpiadi del 1994 si rivelano, però, un disastro e Tonya, poi condannata a 3 anni di domiciliari e interdetta perpetuamente dalla Federazione, ormai sfiduciata e sull’orlo di una crisi di nervi, vede offuscarsi  la sua carriera di pattinatrice.

Quel temperamento di ferro, l’essere preparata all’ingiustizia da una madre oltremodo cinica e crudele e da un marito picchiatore e ignorante, le impediscono, tuttavia, di allontanarsi dallo sport per sempre. Tonya tenta, allora, di rilanciarsi nella boxe americana, ma il talento e, soprattutto, la tenuta mentale (ormai è dipendente da alcool), non le consentono di sfondare.

I, Tonya è un film pregevole (anche se non particolarmente innovativo nello stile narrativo) nel ritmo, nella recitazione e nella sceneggiatura ed ha il merito di porre alcuni interrogativi fondamentali dei tempi attuali: si può arrivare alla verità dei fatti quando nella vita di uomini comuni  entrano a far parte i media, le televisioni e giornali? Ed ancora: l’educazione materna è sempre protettiva e positiva per i figli? Perché le donne, pur riuscendo a emanciparsi nella società con la loro professione, nella vita privata spesso ricascano nell’illusione che l’uomo violento sia in grado di amarle? Ed infine, perché gli esseri umani sono divorati dal desiderio costante di popolarità?

Fra tutti questi interrogativi suscitati da una storia volutamente paradossale perché popolata da persone ignoranti, ciniche, mitomani e bugiarde, ce n’è un altro che mi pare doveroso menzionare, visto che “I, Tonya” è certamente un film sulle fragilità umane, ma anche un film sul ruolo dello sport nella vita di una persona.

Lo sport è ancora un modello di riferimento in cui credere ed un veicolo per la conoscenza dei propri limiti e delle proprie capacità?

è noto che il pubblico spesso idolatra quegli sportivi rozzi, un po’ tamarri, magari dipendenti da qualche sostanza, con una vita privata scombussolata dagli eventi,  proprio come Tonya Harding, che però appaiono decisamente più autentici di quelle macchine da guerra che il mondo dell’agonismo, inflessibile, spesso immorale e schizofrenico oggi genera in molti degli sport diffusamente più praticati nel mondo.

Pensiamo nel calcio a figure come Antonio Cassano, Paul Gascoigne, Diego Armando Maradona o nel tennis ad André Agassi (protagonista assoluta degli anni novanta la sua rivalità con il più convenzionale Pete Sampras) o nel ciclismo a Marco Pantani e nello sci ad Alberto Tomba.

Vero anche che gli anni duemila, rispetto agli anni in cui Tonya Harding gareggiava, hanno decisamente mutato il concetto di sport e di sportivo ideale propendendo per lo sportivo perfetto, politically correct, fisicamente impeccabile e solidale nei confronti dell’avversario.

Un fascismo dello sport e degli sportivi , un diritto canonico dello sport.

In realtà, a rifletterci bene, la vicenda di Tonya che, per senso di competizione, vuole intimorire o mettere fuori gioco la “perfetta” collega, è ancora oggi una storia che si ripete nello sport, con la differenza che, adesso, per sabotare il collega non si usa lo sgambetto ma si utilizzano mezzi più subdoli e meno evidenti.

Sarebbe, peraltro, impensabile che nel panorama sportivo attuale il contesto umano sia così mutato da far apparire  come veri sportivi solamente coloro che mirano ad un’alimentazione impeccabile, o che abbiano tutti un pensiero unico sulle vicende che li circondano (si guardi alle interviste dei calciatori a cui insegnano a dire tutti le stesse cose) e che pratichino il loro sport in maniera perfetta ma senza alcuna personalizzazione dello stile.

 

 

 

 

 

 

 

Margot Robbie in una delle sequenze più emozionanti del film.

 

E’ impossibile pensare che nello sport non esista ancora il solito maschilismo dilagante, l’agonismo e la competizione.

C’è sempre chi ha talento più degli altri e chi ha più stile e chi è più arrogante, stupido e maschilista. Eppure, in molti degli sport oggi passati in televisione non sembra così facile scorgere le differenze.

Forse, rispetto al passato, queste forme di megalomania sono diverse, ma, in qualche modo, restano ancora fortemente dannose per la personalità degli atleti.

Rispetto al passato, però, è sempre più mancante l’imprevedibilità del genio, la possibilità di trasformare in un attimo la partita. Non c’è più la sfrontatezza che, per quanto possa apparire infantile, è in effetti alla base della passione.

Il tennis è una perfetta sintesi del concetto che ho appena espresso: nessuno, tranne pochi adepti, gioca più il rovescio a una mano.  Un colpo bellissimo che non si insegna più, perché è troppo imprevedibile e fragile.

Per questo è impossibile non provare una certa empatia per i disgustosi personaggi di questo film che, nel loro infantilismo e nella loro superficialità, si mantengono, però, in qualche modo, sempre fedeli a sé stessi.

L’opinione è che lo sport sia ancora la traccia del mondo che sta per diventare: un mondo in cui è impossibile provare fiducia e farsi ispirare da un modello fino in fondo; un mondo pieno di talmente tante contraddizioni, mistificazioni del reale e ripetitività che è impossibile scorgere, persino, la verità (assoluta e inconfutabile) del punteggio.

 

 

+ Non ci sono commenti

Aggiungi