La banalità del male


Chi non ricorda il passato è condannato a ripeterlo” è una frase tanto vera quanto spaventosa proprio nella sua veridicità: in un momento storico che ricalca macabri scenari visti circa un secolo fa, anno più anno meno, sembra che il mondo moderno abbia scordato una lezione alla fine ancora relativamente recente, quasi fosse convinto che sia impossibile il ripetersi di tali orrori al giorno d’oggi. Eppure il tripudio del nazionalismo, il rifiuto del diverso e dello straniero, la fede nelle pseudoscienze sono campanelli d’allarme che in tanti rifiutano di vedere, cullati da cent’anni di pigra condiscendenza.

Ricordare il passato significa sapere guardarsi alle spalle fin negli occhi delle vittime, e rendersi conto che il male perpetrato cambia irrimediabilmente il carnefice sì, ma anche e soprattutto chi lo subisce, macchiando l’innocenza e scambiando la vendetta per giustizia. Per questo “La Banalità del Male. Eichmann a Gerusalemme” è ancora oggi un libro pivotale per capire le conseguenze, anni dopo la fine della violenza, del male sulla psiche collettiva. Hannah Arendt crea un’opera giornalistica fondamentale proprio perchè riporta fatti accaduti 15 anni dopo la fine della guerra che però ne sono diretta conseguenza.

Andiamo per ordine: nel 1960 Adolf Eichmann, gerarca nazista sfuggito al Processo di Norimberga rifugiandosi in Argentina, venne rapito dal neonato Mossad e portato a Gerusalemme, dove venne successivamente processato e condannato a morte. Il processo venne considerato irregolare in molti aspetti, politicamente si riteneva fosse una mossa nata per rafforzare il giovane Stato di Israele, formalmente non ancora riconosciuto, ma fu il processo stesso a risultare “forzato”. Le vittime a Gerusalemme si ergono a giuria, giudice e carnefice, creando un processo farsa, basato su leggi inesistenti al tempo del male commesso e senza creare quella base di legalità che aveva costruito il Processo di Norimberga, che aveva poi portato alla creazione della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.

La mancanza di neutralità all’interno di questo processo ci fa capire quanto ancora fosse radicata negli animi delle vittime ebree la necessità di vendicare i torti subiti, ci parla di un male tanto radicato che un’intera generazione non ha saputo dimenticarlo nemmeno dopo tanti anni: Hannah Arendt non ci racconta solo un processo, ci racconta un popolo alla ricerca di una conclusione ad un dolore troppo grande per essere affrontato razionalmente.

Ed il male è davvero banale, il caso di Eichmann ce lo dimostra chiaramente, perchè quello che traspare all’interno di questo processo non sono le macchinazioni orribili e consapevoli di uno psicopatico, bensì l‘indifferenza e l’inconsapevolezza di un essere umano non particolarmente brillante ed anzi sicuramente non di un genio del male. Eppure Eichmann è stato un ingranaggio fondamentale nella grande macchina nazista delle deportazioni e dei campi di sterminio, considerato un “esperto in questioni ebraiche” perchè sapeva parlare l’Yddish e aveva letto la Torah, era salito velocemente ai vertici delle SS anche e soprattutto per la sua capacità di obbedire agli ordini al massimo delle sue capacità. E questo fa in quegli anni terribili, applicando le proprie notevoli capacità organizzative crea il sistema ferroviario perfetto ed organizza  campi che funzionano con regolarità svizzera, senza fermarsi a riflettere a COSA servisse tutto ciò.

Questo fa davvero paura: per creare una delle vicende più terribili mai viste sulla faccia della Terra non serve solo una mente malata dotata dell’immaginazione necessaria a visualizzarla, ma anche e soprattutto servono quelle migliaia di individui PRIVI dell’immaginazione e dell’empatia necessarie a vederne le conseguenze. Suona familiare?

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